SIRIA, BOMBARDAMENTO “DOPPIO” SU UN OSPEDALE SUPPORTATO DA MSF

2 Dicembre 2015

Un bombardamento “doppio” su un ospedale supportato da MSF  in una zona assediata nel nord del governatorato di Homs, in Siria, ha causato 7 morti, la parziale distruzione dell’ospedale e un afflusso di 47 pazienti feriti con la necessità di essere trasferiti nei vicini ospedali da campo, alcuni dei quali sono morti lungo il percorso.

Intorno alle 09:40, ora locale, di sabato 28 novembre, una barile bomba è stata sganciata da un elicottero su un’area popolata della città di Al Zafarana, a nord est della città di Homs, in Siria, uccidendo un uomo e una giovane donna, e ferendo 16 persone. In seguito all’afflusso di feriti in massa, questi pazienti sono stati ricoverati nell’ospedale di Al Zafarana.

Poco dopo, un’altra barile bomba si è abbattuta vicino all’ospedale, causando danni all’apparecchio di dialisi renale. 40 minuti più tardi, intorno alle 10:30, ora locale, quando i feriti a causa della prima bomba sono stati curati in ospedale, altre due barili bombe sono state sganciate proprio all’ingresso principale, uccidendo un passante e ferendo 31 dei pazienti sotto trattamento e il personale medico, compresi i due paramedici che lavorano per il servizio di ambulanza della Protezione civile siriana, uno dei quali ha subito gravi lesioni alla testa. La seconda esplosione ha causato anche una parziale distruzione dell’ospedale.

I pazienti più gravemente feriti sono stati trasferiti in tre ospedali vicini. I 16 pazienti dell’afflusso iniziale sono stati immediatamente inviati a un ospedale. Una seconda struttura ha ricevuto 21 feriti e 4 che sono morti durante il viaggio, mentre la terza struttura ha ricevuto 10 feriti e 1 morto all’arrivo.

In totale, questi bombardamenti hanno ucciso sette persone e ne hanno ferito 47. La metà dei feriti – 23 su 47 persone – erano bambini sotto i 15 anni e donne.

“Questo attacco mostra tutti i segni di un bombardamento “doppio”, durante il quale una zona viene bombardata e, dopo, un secondo bombardamento colpisce le squadre di soccorso o l’ospedale più vicino che fornisce cure”, dice Brice de le Vingne, direttore delle operazioni di MSF. “Questa tattica a doppio colpo mostra un livello di distruzione calcolato che difficilmente si riesce a immaginare.”

Non è chiaro in questa fase se l’ospedale sarà in grado di riprendere le attività dopo il bombardamento. Sezioni della parete esterna sono state spazzate via dallo scoppio e l’unità di dialisi e parte del magazzino sono state distrutte. MSF sta offrendo supporto per riparare o ricostruire la struttura e si appresta a inviare forniture mediche essenziali per l’équipe in ospedale in modo che sia possibile per loro continuare a operare. “Questo ospedale di fortuna rappresentava un’ancora di salvezza per fornire cure a circa 40.000 persone nella città Al Zafarana e nei dintorni”, dice De le Vingne.

“È già una tragedia che sette persone – tra cui una bambina – siano state uccise, ma se l’ospedale è costretto a chiudere o a ridurre le attività, si tratta di una doppia tragedia per le persone che vivono sotto la minaccia permanente della guerra, con nessun altro cui rivolgersi per l’assistenza medica.”

MSF ribadisce ancora una volta il suo appello affinché tutte le parti coinvolte nel conflitto siriano si impegnino a risparmiare i civili e le infrastrutture civili, compresi gli ospedali e le ambulanze. L’aumento di questi attacchi atroci, con un numero elevato e schiacciante di civili, tra cui donne, bambini e personale medico, feriti o uccisi, deve cessare.

 

 

Fonte:

http://www.medicisenzafrontiere.it/notizie/news/siria-bombardamento-%E2%80%9Cdoppio%E2%80%9D-su-un-ospedale-supportato-da-msf

BARILI-BOMBA E OPPRESSIONE. DA COSA SCAPPANO I SIRIANI

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(di Amr Salahi, per Middle East Monitor. Traduzione dall’inglese di Claudia Avolio). La scorsa settimana foto e video di rifugiati siriani disperati che giungono in Europa – o muoiono nel tentativo di farlo – sono stati tra le notizie di apertura dei media di tutto il mondo, ma ben poca enfasi è stata data alle cause della crisi e le voci dei rifugiati sono rimaste ampiamente inascoltate. La copertura mediatica è stata incline a ritrarre la crisi come una catastrofe naturale o a esagerare il ruolo che Daesh, altrimenti detta Stato islamico (Is), avrebbe svolto nel crearla.

Il conflitto in Siria viene ritratto sempre di più come un conflitto tra il regime del presidente Bashar al Asad e Daesh, con il primo dipinto come il minore tra i due mali. Le organizzazioni della società civile che ancora lavorano sul terreno – allo scoperto nelle zone controllate dalle forze dell’opposizione moderata, di nascosto in quelle controllate dal regime di Asad e da Daesh – sono ampiamente ignorate dai media e le voci dei rifugiati non sono ascoltate.

Uqba Fayyad, giornalista siriano della città di Qusair, nella provincia di Homs, dice che è stato costretto a fuggire dalla sua città-natale nel marzo 2013, appena prima che venisse invasa dalle forze del regime siriano e dai loro alleati di Hezbollah. Racconta che nel mese precedente alla caduta nelle mani del regime, centinaia di persone in questa città di 5.000 abitanti sono state uccise dagli attacchi aerei e via terra da parte del regime. Attacchi che includevano “barili-bomba, bombe a grappolo e napalm” e – racconta –  “poco prima che prendessero d’assalto la città, hanno usato bombe a vuoto in grado di risucchiare l’ossigeno di qualunque edificio, riducendolo in polvere nel giro di secondi”. Non ha avuto altra scelta che quella di fuggire.

“Per tre giorni – continua – abbiamo viaggiato attraverso i boschi senza cibo né acqua, portando sulle spalle i feriti, mentre le loro piaghe si infettavano. Siamo riusciti a raggiungere le città [controllate dall’opposizione] nella zona del Qalamun”. Tuttavia, non sono stati accolti con benevolenza: gli abitanti avevano visto la brutalità dell’assalto a Qusair e temevano che se avessero accolto gli sfollati, un destino simile sarebbe toccato anche a loro. Sono scoppiati scontri e Uqba e gli altri sono fuggiti ancora una volta, verso Arsal in Libano, dove sono stati soggetti a regole molto dure da parte delle autorità locali, incluso un coprifuoco dalle ore 18.00 in poi. Alla fine è riuscito a contattare il consolato svedese in Libano e ha ottenuto asilo in Svezia.

I siriani non scappano, però, solo dai bombardamenti del regime nelle zone controllate dall’opposizione. A volte, quando una zona viene catturata dalle forze di opposizione, alcuni abitanti fuggono in aree ancora sotto il controllo del regime. Di solito temono ciò che il regime potrebbe fare alle aree controllate dai ribelli, tra cui bombardamenti simili a quelli descritti da Uqba oppure – in zone circondate da territorio controllato dal regime – assedi prolungati che conducono alla morte per fame degli abitanti.

Muhammad Manla è un attivista siriano dell’opposizione rifugiato in Germania da quasi tre anni. È fuggito dal quartiere Salah ad Din di Aleppo quando è stato sottratto ai ribelli da parte delle forze del regime siriano nel luglio 2012, ed è arrivato nella parte occidentale di Aleppo, rimasta nella mani del regime. Salah ad Din è diventato poi uno dei luoghi più pericolosi del mondo quando il regime siriano l’ha colpito coi barili-bomba, insieme ad altri quartieri di Aleppo sotto il controllo dei ribelli.

Eppure, anziché trovare la sicurezza nel territorio del regime, ogni volta che Muhammad usciva, veniva fermato ai checkpoint e minacciato da soldati del regime e da agenti che lo accusavano di essere legato ai ribelli, solo perché sulla sua carta d’identità c’era scritto che era di un quartiere controllato dall’opposizione. Due mesi dopo è fuggito ancora una volta, in Egitto, e da lì in Germania.

A questi checkpoint e negli uffici governativi, la gente viene spesso rapita o arrestata in modo arbitrario. Un altro rifugiato della provincia nord di Aleppo controllata dall’opposizione – che preferisce restare anonimo – ha detto che suo padre, un uomo di 70 anni, è stato arrestato quando è andato a ritirare la pensione in un ufficio governativo nella parte occidentale di Aleppo. Accusato di essere un membro di Jabhat al Nusra, è stato tenuto in una cella di 2 metri per 1 metro e mezzo con altri sei prigionieri e picchiato. È stato rilasciato solo perché un amico di famiglia aveva contatti nei servizi di sicurezza.

Il fratello di Muhammad, studente all’università di Aleppo, lo ha raggiunto in Germania di recente dopo aver lasciato la Siria. Una legge approvata da poco ha reso obbligatorio per tutti gli studenti che si stanno laureando di unirsi all’esercito. La possibilità di coscrizione nelle file dell’esercito del regime siriano è un fattore importante che spinge i giovani uomini a lasciare il Paese. Si trovano a tutti gli effetti davanti alla scelta di combattere e forse morire per un regime cui molti di loro si oppongono, oppure intraprendere un pericoloso viaggio all’estero.

Muhammad è chiaro su quella che ritiene essere la soluzione al conflitto: “Una no-fly zone rafforzerebbe di nuovo la rivoluzione. Scuole e università potrebbero venire aperte in zone controllate dall’opposizione, cosa che impedirebbe ai giovani di venire influenzati dall’ideologia dittatoriale del regime e da quella estremista di Daesh. Permetterebbe anche ai ribelli di organizzarsi per combattere Daesh e il regime”.

Mentre le proposte di una no-fly zone suscitano polemiche negli Stati Uniti e in Europa, con molti politici che temono il coinvolgimento in una guerra in Medio Oriente, tra i siriani l’idea è accettata a un livello molto più ampio. La richiesta è stata ufficialmente avallata da Planet Syria, un gruppo di coordinamento composto da oltre 100 organizzazioni della società civile siriana, e dai Caschi Bianchi, un’organizzazione di protezione civile che lavora soprattutto nel salvataggio dei sopravvissuti agli attacchi coi barili-bomba del regime.

Il governo siriano ha il monopolio totale della forza aerea nel conflitto siriano. Gli attacchi aerei hanno causato oltre il 40% delle morti tra i civili verificate dal Centro per la documentazione delle violazioni (Vdc), organizzazione siriana che monitora il numero di civili morti e gli abusi dei diritti umani. L’arma aerea più comunemente usata è il barile-bomba. I barili-bomba sono mortali, indiscriminati e incessanti. Ne sono stati sganciati oltre 11 mila dall’inizio del 2015 e attivisti siriani mettono l’accento sul fatto che da allora il regime ha ucciso 7 volte più civili di quanti ne abbia uccisi Daesh. Pur trattandosi di un’arma molto semplice – barili di greggio senza guida riempiti di esplosivo e scarti metallici – sono comunque mortali, indiscriminati e incessanti.

Mentre gli analisti occidentali continuano a dare la propria interpretazione delle cause della crisi dei rifugiati siriani, con alcuni di loro che addossano la colpa all’estremismo di Daesh e altri che lanciano moniti sui pericoli di un intervento, un’immagine del tutto diversa della crisi emerge dalle storie dei rifugiati e dai dati raccolti da organizzazioni siriane che lavorano sul terreno. I responsabili delle politiche occidentali farebbero bene ad ascoltare ciò che i siriani raccontano su quanto sta accadendo nel loro Paese e sul perché lo stanno lasciando. (Middle East Monitor, 13 settembre 2015)

 

 

Fonte:

http://www.sirialibano.com/siria-2/barili-bomba-e-oppressione-le-radici-della-crisi-dei-rifugiati-siriani.html

ALEPPO: MSF HA CURATO PAZIENTI CON SINTOMI DI ESPOSIZIONE A AGENTI CHIMICI

25 Agosto 2015

Venerdì scorso, 21 agosto, nell’ospedale di Aleppo gestito da MSF, l’organizzazione medico umanitaria ha curato quattro pazienti che presentavano sintomi di esposizione ad agenti chimici.

I pazienti sono una famiglia di quattro persone (i genitori, una bambina di 3 anni e una di soli 5 giorni). Arrivati in ospedale un’ora dopo l’esposizione a queste sostanze, presentavano arrossamento agli occhi, eritema cutaneo e difficoltà respiratorie seguite dalla comparsa di vesciche e un peggioramento delle condizioni respiratorie circa tre ore dopo. Sono stati somministrati trattamenti di supporto e ossigeno fino al trasferimento presso un’altra struttura per una cura specifica.

La famiglia proviene dalla città di Marea (nord di Aleppo, distretto di Azaz) che è stata colpita da pesanti bombardamenti durante tutta la giornata di venerdi scorso, dopo una settimana di violenti attacchi a colpi di mortaio e artiglieria. Secondo la testimonianza dei pazienti, un colpo di mortaio ha colpito la loro casa intorno alle sette e mezza di sera. Dopo l’esplosione, un gas giallo è entrato nel loro salotto. Entrambi i genitori con l’aiuto dei vicini hanno tentato di proteggere i bambini coprendoli con i loro corpi. Sono stati trasferiti all’ospedale di Marea, dove hanno ricevuto le prime cure. Quando le loro condizioni sono peggiorate, sono stati trasferiti presso l’ospedale di MSF.

“MSF non ha test di laboratorio che confermino le cause di questi sintomi. Tuttavia, gli aspetti clinici, l’evoluzione delle condizioni dei pazienti che la nostra equipe ha curato e il racconto di come è avvenuta l’intossicazione, lasciano pensare a un’esposizione ad agenti chimici” ha detto Pablo Marco, responsabile del progetto MSF in Siria.

Questa terribile notizia rappresenta l’apice di una situazione umanitaria in peggioramento nel governatorato Aleppo, dove in differenti attacchi almeno 11 strutture mediche sono state deliberatamente colpite con barili bomba negli ultimi mesi e dove le poche strutture mediche che continuano ad operare non sono in grado di far fronte agli bisogni urgenti della popolazione.

“Qualsiasi uso di armi chimiche rappresenta una gravissima violazione del diritto umanitario internazionale. Rappresenterebbe un’ulteriore sofferenza per la popolazione che sta già sopportando le conseguenze della peggiore crisi umanitaria degli ultimi anni. Facciamo appello a tutte le parti, affinché osservino il rispetto per le vite umane e fermino l’uso indiscriminato della violenza contro i civili” afferma Pablo Marco.

Le attività di MSF:

MSF opera in sei strutture ospedaliere in Siria e supporta direttamente più di 100 cliniche e ospedali nel paese. Fornisce inoltre cure mediche ai siriani che sono fuggiti in Giordania, Libano, Turchia e Iraq.

 

 

Fonte:

http://www.medicisenzafrontiere.it/notizie/comunicato-stampa/aleppo-msf-ha-curato-pazienti-con-sintomi-di-esposizione-ad-agenti-chimici

BANIYAS, NELLA FABBRICA DEI BARILI-BOMBA

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(di Faruq Tayyibi, per Tamaddun. Traduzione dall’arabo di Claudia Avolio). Il barile-bomba − l’arma unica nel suo genere che le forze del regime hanno introdotto nell’arena del conflitto che imperversa nel Paese da oltre quattro anni − è un massiccio serbatoio metallico riempito di esplosivo e fertilizzanti organici e zeppo di oggetti in metallo taglienti. Può pesare dai 250 ai 500 kg e viene sganciato in modo indiscriminato dagli elicotteri del regime che volano ad alta quota per evitare di essere colpiti dalla contraerea dell’opposizione. Il barile atterra con tutta la forza della sua caduta libera sulle città e i paesi rivoltosi, mietendo vittime e feriti tra i civili.

Nazih (pseudonimo), ingegnere civile di Baniyas, guarda infervorato sullo schermo del suo computer un video su YouTube in cui un elicottero sopra Daraya sgancia un grosso oggetto nero che cade rapidamente per sparire per un secondo o due dietro un complesso di edifici. Questo prima dell’orrenda esplosione di fumo, polvere e schegge, tra le grida e i “Dio è grande” di chi sta filmando. Tutto ciò getta un’ombra tragica sulla scena e dà un’idea del disastro che si è abbattuto su quella strada.

Eppure Nazih conosce un altro lato della vicenda che si è svolta a 300 km da casa sua e sembra sapere più della punta visibile dell’iceberg: Nazih conosce la storia della fabbrica che ha prodotto e produce quei terribili strumenti di morte.

Nel suo rapporto sull’argomento pubblicato alla fine del 2013, Amnesty International ha considerato l’uso dei barili-bomba “un crimine di guerra” e “una punizione collettiva” ingiustificabile. Secondo lo stesso rapporto, solo ad Aleppo i barili hanno raso al suolo un quarto dei rioni della città, cambiandone per sempre la fisionomia.

Da Aleppo e Daraya verso un altro luogo che possiede un legame con questa storia, torniamo alla città di Nazih, Baniyas, piccola città costiera oggi tranquilla dopo aver fronteggiato gli eventi seguiti alle manifestazioni del 2011 e il terribile massacro cui sono stati sottoposti i civili per mano degli shabbiha nel 2013.

Gli inizi della raffineria di Baniyas

In questa città divisa come il Paese da fratture confessionali e politiche si trova la “fabbrica dei barili” − come la chiama Nazih − e a quanto pare è un segreto che tutti conoscono. Qui non c’è nulla di segreto né di pericoloso che Nazih abbia scoperto. Lui che non ha neanche 40 anni e che da 10 lavora nella raffineria petrolifera costruita da una ditta rumena a Baniyas all’inizio degli anni ’70 del secolo scorso. Da quando la produzione di petrolio in Siria si è contratta del 90% dopo che lo Stato islamico ha preso il controllo dei pozzi di petrolio, quest’azienda non ha più molto lavoro da svolgere.

Nazih racconta stupito: “Usano l’officina adibita alla manutenzione e alla saldatura dei condotti per fabbricare questi barili”. Nonostante sia trascorso un mese da quando ha scoperto per caso la cosa, sembra evidentemente ancora sotto shock.

“Uno dei miei compiti − continua − prevede che io visiti la sede di un’officina di manutenzione e saldatura dei condotti. Nell’ampio cortile sul retro dell’edificio ho visto le strutture vuote dei barili in fase di costruzione: non c’è stato bisogno di spiegazioni ulteriori. Era tutto chiaro”.

Nazih racconta poi di essersi rivolto al suo collega ingegnere a capo dell’officina, un uomo sulla cinquantina che Nazih trovava simpatico e con cui amava bere il tè di tanto in tanto. Con semplicità gli ha chiesto informazioni sulla questione, e il capo dell’officina con semplicità ancora maggiore gli ha risposto: “Qui fabbrichiamo i barili che colpiranno i bastardi e li bruceranno”. Non è stato facile per Nazih ignorare la nota confessionale che pervadeva le parole pronunciate dal capo dell’officina, che è alawita, la stessa comunità cui appartiene il presidente.

Armi a basso costo e di produzione locale

Dice ancora Nazih: “Ho provato a spiegargli che i barili sono un’arma che non fa distinzioni e cieca, ma non mi ha dato ascolto… Forse era seccato”. In un tono venato d’orgoglio, il capo dell’officina ha poi spiegato nel dettaglio il modo in cui si fabbricano i barili, con sorpresa di Nazih. Ha parlato di grandi viti e bulloni e di triangoli metallici affilati, avanzi delle operazioni di taglio e saldatura degli oleodotti, tutti pressati nel centro del barile riempito di esplosivo.

All’improvviso, dopo aver guardato noncurante intorno a sé gli ammassi di rottami scartati che sarebbero diventati parte di un barile, Nazih ha chiesto:

“Quando costa fabbricarne uno?”

“Meno di 20 mila lire siriane (75 dollari)”, gli ha risposto il capo dell’officina.

Dunque alla fine il regime si serve di un’alternativa a basso costo che non richiede ingenti somme di denaro né abilità tecnologica, di cui il mondo ha visto però l’orribile potenziale di devastazione che si è abbattuto su Aleppo, sui sobborghi di Idlib e su tutte le zone che si sono ribellate e che ha ucciso migliaia di persone e distrutto le abitazioni, stando al resoconto delle reti per i diritti umani in Siria.

“È terribile che 75 dollari siano in grado di strappare la vita delle persone e causare una distruzione che non distingue tra civili e gente armata, ed è ancora più terribile celebrare la cosa e dipingerla come un successo militare”, commenta Nazih.

Una portavoce dell’ufficio stampa di Latakia dell’Unione dei Comitati locali della rivoluzione siriana dice: “Probabilmente la fabbrica di Baniyas non è l’unica, c’è la fabbrica di ferro di proprietà di Ayman Jaber che si trova tra Jabla e Baniyas e non è distante dalla prima”.

Ayman Jaber è un imprenditore di Latakia che gode di stretti rapporti con la famiglia degli Asad e con il suo regime. Con l’inizio del fermento in Siria il suo nome è salito alla ribalta nella zona, perché rappresentava e continua a rappresentare un mix micidiale costituito dall’alleanza di uomini d’affari corrotti con il sistema di sicurezza. Nutre poi le sue attività e la propria reputazione reclutando giovani alawiti poveri nelle milizie degli shabbiha in cambio di ricompense in denaro.

Testimoni oculari dell’ufficio stampa di Latakia sostengono che dei camion trasportano i barili dalle fabbriche al vicino aeroporto di Jabla e da lì agli aeroporti di Hama, Aleppo, Abu az Zuhur (Idlib) e altrove.

Alcuni dei fedelissimi del regime affermano che si è incominciato a utilizzare i barili non all’inizio degli eventi in Siria, ma solo quando la comunità siriana delle regioni interne si è trasformata in un’incubatrice di terrorismo e che perciò la cosa deve essere affrontata con ogni mezzo possibile.

Questo argomento non sembra convincente per Human Rights Watch né per le Nazioni Unite o il Commissariato per i diritti umani. Pare non convincere neppure Nazih mentre siede a contemplare il Mediterraneo dal balcone della sua tranquilla casa a Baniyas, lontano dalla guerra feroce che continua senza sosta nel Paese. Vede un elicottero decollato dal vicino aeroporto di Jabla e non può fare a meno di pensare che ci siano un paio di barili caricati al suo interno prodotti dalla fabbrica della morte vicino a casa sua.

Nazih segue la graduale ascesa dell’elicottero nel cielo. Il velivolo va a est e si dirige nell’interno del Paese, verso una nuova campagna di morte e guerra che sembra non avere una fine all’orizzonte. (Tamaddun, 19 maggio 2015)

 

Fonte:

http://www.sirialibano.com/siria-2/siria-qui-sulla-costa-fabbrichiamo-barili-bomba.html

SIRIA. SARMIN, PROVINCIA DI IDLIB: BOMBARDAMENTI CON ARMI AL CLORO

Dal blog di Asmae Dachan:

Denuncia shock da Sirmin: “Ci hanno bombardato con armi al cloro” – video

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Medici e uomini della protezione civile siriani hanno denunciato ieri mattina, attraverso i microfoni di media attivisti locali, l’ennesimo attacco con bombe al cloro sul villaggio di Sirmin, in provincia di Idlib, controllato dalle milizie Nusra. In rete sono stati diffusi foto e video che mostrano gli effetti devastanti di queste armi sulla popolazione. Secondo fonti locali indipendenti ci sarebbero più di 115 intossicati e diverse vittime, soprattutto bambini. Un’intera famiglia è rimasta uccisa per l’esplosione di un ordigno al cloro sulla propria abitazione. I medici denunciano l’impossibilità di salvare vite umane per mancanza di mezzi adeguati ad affrontare una simile emergenza.

L’opposizione siriana punta il dito contro l’aviazione militare del regime, che più volte è ricorsa ad attacchi con armi illegali e che sta bombardando la periferia di Idlib ininterrottamente da mesi.

In Siria, negli ultimi 4 anni sono state usate in diverse offensive armi chimiche come confermato anche dal OPCW – Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche. L’attacco su Al Ghouta il 21 agosto 2013 costò la vita a oltre un migliaio di civili, oltre la metà dei quali bambini, colpiti all’alba con ami chimiche mentre dormivano nelle proprie case. Ancora nessun colpevole a processo.

Intanto su twitter è stato lanciato un appello denuncia al segretario americano Kerry: #KerryNoNegoWithKiller

+18 Attenzione: immagini drammatiche

 

SIRIA, SUI BARILI-BOMBA

Aleppo. Devastazione

Poche ore dopo l’infelice battuta del presidente siriano Bashar al Asad sui barili-bomba (“non ne abbiamo mai usati, nemmeno pentole-bomba…”) rilasciata alla BBC, Ken Roth di Human Rights Watch (HRW) spiega gli effetti devastanti di queste armi indiscriminate usate contro aree civili. In passato Asad stesso ha riconosciuto la legittimità delle denunce di HRW.

(L. Setrakian, K. Montgomery, per Syria Deeply. Traduzione dall’inglese di Claudia Avolio). Voi avete tenuto traccia dell’uso dei barili-bomba, ed in precedenza anche dell’uso dei missili su aree abitate da civili. Qual è la situazione attuale?

I barili-bomba stanno continuando e di fatto sono la principale ragione per cui i civili stanno morendo oggi in Siria. Tutti sono concentrati su Daesh. Daesh è terribile, i civili stanno soffrendo sotto Daesh, ma se facciamo un passo indietro e diciamo: Qual è lo strumento principale che viene usato per massacrare i civili? È il barile-bomba.

A monte, c’è il fatto che i governi non vogliono affrontare l’argomento, perché sono talmente concentrati su Daesh e non vogliono fare nulla che possa minare l’abilità del governo di Asad di tenere a bada e in teoria di contrattaccare Daesh. La gente non sembra rendersi conto che il barile-bomba non è un’arma militare. È così imprecisa che la forza aerea siriana non osa sganciarne vicino alla linea del fronte per paura di colpire le proprie truppe.

I barili-bomba, per chi non lo sa, sono in genere costituiti da un barile di petrolio o una grossa tanica riempiti di esplosivi e frammenti metallici che fungono da schegge. Vengono sganciati da un elicottero che vola ad un’altezza elevata per evitare il fuoco delle contraeree.

Da quell’altezza, non si può mirare con precisione, si può solo sganciarli su un quartiere, ed è proprio  sui quartieri che i barili-bomba vengono sganciati per il bisogno di tenersi lontani dalla linea del fronte. Se ci chiediamo cosa stia consentendo alle forze pro-regime di resistere, si tratta ora dei barili-bomba.

Qual è l’entità e la portata del problema?

Se parliamo coi siriani, le cose di cui hanno più paura sono i barili-bomba. Si sentono storie di gente che fa spostare le proprie famiglie più vicino alla linea del fronte (e ciò significa sfidare cecchini ed artiglieria) perché lì si sentono più al sicuro, dove i barili-bomba non saranno sganciati.

I barili-bomba stanno colpendo ospedali, scuole e numerose istituzioni civiche nelle aree di Aleppo controllate dall’opposizione ed in altre zone. Se potessimo fermare i barili-bomba, difficilmente si potrebbe pensare a qualsiasi altra cosa per fare la differenza nel fermare il massacro di civili e la distruzione di istituzioni civiche in aree di civili.

Che vantaggio trae il regime dall’usare queste particolari forme di armi in tale, particolare conflitto?

Questo risale agli inizi. Asad sin dall’inizio ha scelto di non combattere questa guerra sotto la Convenzione di Ginevra, che in sostanza impone che si possa sparare soltanto ai combattenti dell’altro schieramento e che si debba fare tutto il possibile per rendere minimi i danni subìti dai civili. Asad ha gettato queste regole dalla finestra. Sta combattendo una strategia bellica fatta di crimini di guerra che prendono di mira in larga parte la popolazione civile. I barili-bomba, usati già da un anno buono o forse più, sono solo la più recente, più crudele e più vasta manifestazione di questa strategia.

Che speranze avete di esercitare pressioni per indurre il regime a cambiare il suo comportamento rispetto all’uso  dei barili-bomba?

Quello che ho capito nelle discussioni coi governi occidentali, funzionari russi ed iraniani, è che per varie ragioni non vogliono limitare le armi militari disponibili per il governo siriano. I grandi governi occidentali sono concentrati in questa fase sulla lotta a Daesh, mentre Russia ed Iran si focalizzano sul rendere Asad più forte. Nessuno di loro ha un interesse immediato nel fermare i barili-bomba. Ho dovuto spiegare la mancanza di rilevanza militare di quest’arma. Quando sentono questo, allora sono disposti a fare un passo indietro. Ho ricevuto alcuni riscontri positivi sia da Mosca che da Tehran su questo punto.

Rispetto ai governi occidentali, hanno paura della questione dei barili-bomba per un altro motivo: non vogliono sobbarcarsi della più ampia questione dell’uso da parte del governo siriano di armi convenzionali per attaccare i civili. Essendosi avvicinati alla soglia del coinvolgimento militare tramite la questione delle armi chimiche, ed essendosi concentrati su altri temi con Russia ed Iran, l’Occidente semplicemente non ha voluto fare cenno a questo. Nessuno nega che l’Ucraina sia la priorità di Mosca e che potenziali armi nucleari sia quella di Tehran, ma dovrebbe esserci campo per farsi carico anche della questione dei barili-bomba. Soprattutto dal momento che la Russia e l’Iran non avrebbero alcun interesse nel protrarsi degli attacchi coi barili-bomba: non sono necessari alla sopravvivenza del regime di Asad.

Sono cautamente ottimista sul fatto che se riusciamo a mettere in risalto la devastazione causata dai barili-bomba e la mancanza di utilità militare, possiamo fare una differenza. Un fattore rispetto all’Occidente è che finora sta seguendo solo una strategia militare contro Daesh. In certa misura stanno cercando di fermare il flusso di armi e uomini verso Daesh, ma non stanno davvero tenendo in considerazione il fascino ideologico di Daesh – parte di esso è religioso e sottende l’idea di un califfato, ma larga parte del suo fascino risiede nel fatto che Daesh può rappresentare in sé l’unica forza che stia cercando in modo effettivo di fermare il massacro dei civili da parte del regime. L’Occidente non dovrebbe dare a Daesh questo pretesto. Ci devono essere modi per occuparsi dei barili-bomba, strumento primario di Asad per uccidere i civili. È la cosa giusta da fare in termini umanitari, ma è anche importante per aiutare ad erodere il fascino ideologico di Daesh.

Le Nazioni Unite hanno fatto appello per porre fine all’uso di barili-bomba. Cosa ci vorrebbe per creare una responsabilizzazione reale e forzare un cambiamento?

Il Consiglio di Sicurezza dellONU ha parlato dei barili-bomba in termini generici. Non ha compiuto alcuno sforzo per sostenere quel linguaggio ampio con una pressione concreta esercitata su Damasco perché si fermi. Abbiamo bisogno di andare oltre una condanna ritualistica e la difesa delle Convenzioni di Ginevra, e focalizzarci sulla pressione da esercitare su Damasco perché la smetta. Abbiamo visto che quando si applica una cospicua pressione, loro si fermano. È ora di applicare quella pressione per fermare i barili-bomba. (10 febbraio, 2015).

Fonte:

http://www.sirialibano.com/siria-2/siria-sui-barili-bomba.html

Kobane, simbolo o battaglia decisiva?

Sembra che a Kobane si decidano le sorti del conflitto in Siria. A giudicare dall’attenzione mediatica, pare che la guerra infuri solo in questa città al confine con la Turchia che da oltre una settimana è assediata dai miliziani dell’Isis. Eppure in Siria la guerra continua. L’aviazione del regime di Damasco sta bombardando da giorni la città di Da’ra, adoperando i famigerati barili bomba che hanno già distrutto mezza Aleppo. A Homs, nel quartiere periferico del Waer, solo ieri sono morte sei persone, fra cui 3 bambini, uccisi da un colpo di artiglieria lealista. Nei dintorni di Hama, ci sono intensi scontri fra brigate ribelli e forze governative. Tutto ciò non è rilevante, in quanto non c’è l’Isis ma la “cara” vecchia guerra fra regime e ribelli siriani.

Invece, Kobane ha assunto un significato simbolico perché vede i curdi del partito Pyd (alleati del Pkk) scontrarsi con l’Isis in una zona di confine con la Turchia che potrebbe coinvolgere quest’ultima nel conflitto. Ma chi sono questi curdi che si scontrano con l’Isis? All’inizio della rivolta siriana, ormai tre anni fa, l’esercito lealista si ritirò dalla regione del Hasaka, lasciandola in mano ai miliziani curdi che repressero il movimento curdo-siriano solidale con la rivoluzione. Uno dei principali leader di questo movimento era Mashaal Tammo, fondatore e presidente del Partito del Futuro Curdo, che fu assassinato nel 2011 e che aveva già trascorso tre anni nelle carceri siriane a causa delle sue posizioni.

La situazione dei curdi in Siria non è mai stata facile, anzi. Centinaia di migliaia di curdi siriani risultavano apolidi, in quanto il regime siriano non gli aveva mai riconosciuto la cittadinanza. Nel marzo del 2004, durante una partita di calcio, scoppiarono dei tumulti fra la tifoseria arabo-siriana e quella curdo-siriana che portarono all’intervento dell’esercito. Seguirono diversi giorni di arresti, repressione e decine di morti (tutti curdi). Vista questa situazione di repressione, parve normale ai curdi, non affiliati al Pyd o al Pkk (entrambi hanno da sempre goduto di una protezione siriana in funzione anti turca), allinearsi con la ribellione, subendo per questo la persecuzione del regime e dello stesso Pyd.

Dal canto suo, la Turchia di Erdogan ha necessità che il Pkk e il Pyd non si rafforzino, grazie a una legittimazione internazionale derivante dalla guerra che questi conducono contro l’Isis, in quanto li potrebbe indurre nel nome dell’indipendenza da Ankara a riaccendere la stagione degli attentati. Non va però dimenticato che Erdogan ha centinaia di migliaia di profughi siriani in casa, che premono perché la Turchia mantenga le sue promesse: la caduta di Assad. L’altro problema, forse più insidioso dei curdi è la presenza di una massiccia comunità alawita (setta a cui appartiene Assad) che potrebbe causare problemi qualora la Turchia decidesse, come ha già peraltro comunicato, d’intervenire contro il regime di Damasco.

Il dato certo è che la guerra dell’Isis sta legittimando molti attori: i curdi del Pyd si sono trasformati in eroi, nonostante la persecuzione portata avanti in Siria contro i curdi e i siriani solidali con la rivoluzione, anche grazie alle brigate di sole donne che agli occhi dell’Occidente richiamano all’emancipazione femminile; il regime di Assad pare sia diventato un partner (indiretto) degli Usa e l’Iran emerge sempre di più come la nuova potenza egemone che – nonostante la brutale repressione che porta avanti contro gli oppositori e il regime integralista che lo governa – tutela la democrazia contro il terrorismo di matrice sunnita. Chi escono delegittimati sono: la rivoluzione siriana, accomunata al fanatismo dell’Isis; l’Islam, in quanto viene costantemente associato al fondamentalismo; i musulmani, indistintamente, colpevoli di non condannare mai abbastanza l’Isis e, ovviamente, il popolo siriano che continua a venir massacrato nel disinteresse generale.

Fonte:
 

SIRIA: ISIS E L’INFIBULAZIONE DEI CERVELLI

Dal blog di Asmae Dachan:

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Cosa può legittimare e giustificare il silenzio del mondo di fronte al genocidio in corso in Siria, che in 40 mesi ha causato più di 200 mila vittime accertate, tra cui oltre 15 mila bambini? Nulla, assolutamente nulla e allora è importante creare un capro espiatorio. L’aviazione di bashar al assad sta bombardando le città siriane con i barili Tnt, distruggendo interi quartieri, ospedali, acquedotti, scuole e luoghi di culto, provocando la fuga di oltre 4 milioni di persone (3 milioni si trovano nella condizione di profughi nei paesi limitrofi e circa 1 milione sono partiti per altre destinazioni) e generando 9 milioni di sfollati interni (gente senza più una casa) “perché sta colpendo i terroristi”. Già, perché secondo quanto riportano i media siriani e chi sostiene ancora il regime di Damasco in Siria è scoppiata un’improvvisa epidemia di terrorismo che ha contagiato i bambini, le donne, i giovani, gli anziani, per cui tutti meritano di morire. Via allora, si rada al suolo l’intero paese, si proceda con l’arresto, la tortura e l’uccisione degli oppositori pacifici e di quelli che hanno disertato per non uccidere il proprio stesso popolo e al contempo si liberino tutti quei criminali detenuti da anni per reati legati al terrorismo. Questi ultimi si sono organizzati, sono stati pagati e armati, con il bene placito del regime e la complicità di servizi segreti internazionali e governi che hanno tutto l’interesse a mantenere lo stato di instabilità sociale, politica, economica in Siria.

E così i civili siriani, che nel 2011 hanno dato il via ad un movimento pacifico, laico, eterogeneo, comprensivo di tutte le componenti etniche e religiose della società siriana, oggi si trovano a dover subire i bombardamenti e le incursioni del regime da un lato e dall’altro le aggressioni, le violenze, le barbarie dei terroristi di daesh/isis il cui capo si è anche autoproclamato califfo.

I media internazionali che alla Siria non hanno mai riservato lo spazio che questo dramma richiede, i media che hanno sempre giustificato il fatto di non condividere e diffondere video girati da citizen reporter che documentano in tempo reale la situazione negli ospedali da campo, nelle città colpite dai barili, nelle tendopoli perché “non si possono verificare le fonti”, continuano a citare le agenzie del regime e a dare la più ampia visibilità possibile a isis e al suo capo criminale al baghdady (evidentemente considerato attendibile). In questo modo, sulla Siria si sente solo parlare del giuramento di assad per il prossimo settennato e al contempo delle minacce alle minoranze religiose e alle donne del famigerato isis/califfato. Quindi? La conclusione, per chi della Siria sa poco o nulla, sarà quella di dire che “assad non è poi così male e così cattivo ed è sempre meglio lui che i terroristi fondamentalisti persecutori”. Concetti che vengono ripetuti e argomentati anche da personaggi nostrani…

In questo quadro delirante trovano voce solo quelle che per milioni di siriani e di donne e uomini liberi nel mondo – che non ci stanno a farsi prendere in giro – sono le due facce della stessa medaglia: assad e il suo terrorismo di stato, isis e il terrorismo internazionale in finti abiti religiosi. A tal proposito basta ammirate le vignette disegnate da artisti siriani, come quelli di Kafranbel (https://www.facebook.com/kafrev?fref=ts) per capire cosa pensi veramente la Siria su questo argomento.

Non ci si dimentica di nulla? Già, ma è una dimenticanza “collaterale” … in fondo cosa sono milioni di civili inermi? Da che mondo è mondo in ogni conflitto sono i civili, gli ultimi, i dimenticati a pagare e lo fanno in silenzio, per cui anche ai siriani tocca la stessa sorte. Qualcuno sa quante persone sono cadute ieri in Siria? No, perché i media non ne parlano, non fa più notizia, non ha mai fatto notizia (non dimentichiamo che l’Onu ha cessato la conta dei morti e questo la dice lunga…). Nessuno mostra le immagini dei bombardamenti, che arrivano incessantemente attraverso la rete, nessuno mostra le immagini dei civili pelle e ossa nelle città assediate, nessuno raccoglie le denunce dei medici che di fronte a più di 1 milione di feriti, tra cui circa 650 mila mutilati e a migliaia di casi di malati oncologici, diabetici ecc. rimasti senza cure non sanno più cosa fare, nessuno ascolta gli appelli delle donne che non hanno più nemmeno acqua potabile per dissetare i propri figli. La gente non deve sapere del dolore e delle sofferenze dei civili. La Siria deve morire e deve farlo in silenzio.

Si alzano così solo le bandiere e gli inni all’odio; le preghiere per la pace e le richieste d’aiuto cadono nel vuoto. Così l’alter ego del regime, isis/califfato si è invece guadagnato le copertine dei media di tutto il mondo con la sua nuova uscita: infibulazione alle donne di Iraq e Siria. Come se le donne di questi due paesi non abbiano già subito abbastanza: senza più una casa, senza più alcun sostegno, stuprate, rese vedove, costrette a tumulare i propri figli a causa delle violenze del regime, ora si trovano minacciate da questa nuova barbara, disumana, blasfema sentenza. Blasfema, sì, perché ormai dovrebbero saperlo anche i muri che l’infibulazione è una pratica abominevole che nulla ha a che vedere con l’islam, ma evidentemente dire che è un insegnamento del Profeta (bestemmia) è funzionale ad alimentare il clima di odio anti-islamico e a ritrarre il criminale al baghdady come l’incarnazione dell’”islam fondamentalista, persecutore misogino e criminale che il bravo assad combatte a suon di bombe”.

È evidente che questi criminali non conoscono la Siria e i siriani se pensano che avranno campo libero nel voler allungare le loro insulse mani sulle donne: gli uomini e le donne siriani pagheranno anche con la vita pur di non farli avvicinare. Ma in fondo è quello che loro vogliono, nuove vittime, nuove morti. L’infibulazione non fa parte della cultura siriana ed è un’abominevole violenza che non trova alcun riscontro negli insegnamenti dell’islam e questo bisogna ripeterlo fino allo sfinimento perché la gente capisca. Bisogna che la politica, la società civile, gli intellettuali comprendano che questi terroristi sono funzionali ai regimi liberticidi e che catalizzando su se stessi e sui loro deliri l’attenzione del mondo tolgono importanza al dramma taciuto di un popolo che continua a morire sotto le bombe, che continua a fuggire e che spesso, cercando di raggiungere l’Europa, non trova altro che la morte in mare.

Ma la cosa forse più importante è che la notizia di questo decreto, ripresa, amplificata, pubblicata e commentata ovunque, si basa su un fake. A tal proposito si legga la ricostruzione minuziosa e approfondita del collega Lorenzo Trombetta: http://www.sirialibano.com/short_news/infibulate-tutte-le-donne-come-un-falso-fa-notizia.html. L’ennesima bufala mediatica, come quella della crocifissione dei cristiani (vedi http://www.diariodisiria.wordpress.com/2014/05/10/siria-sulla-croce-lumanita-intera/) costruita ad arte per distogliere la già flebile attenzione sul dramma dei civili e alimentare nella gente la convinzione che in Siria sia in atto un’offensiva contro le minoranze a cui il regime si trova a dover rispondere. Naturalmente molti discutibili personaggi hanno colto la palla al balzo per far parlare di sé denunciando questo famigerato proclama, pur non essendosi mai interessati al genocidio in atto da più di tre anni in Siria.

Anche in questo caso, le macchinazioni del regime e dei suoi sostenitori, compresi quindi coloro che questi mercenari barbari li stanno pagando, hanno prodotto un’infibulazione dei cervelli e delle coscienze della gente. Quella gente che ora grida giustamente contro l’infibulazione ma che in 40 mesi non si è accorta degli stupri e delle torture subite dalle donne, persino dalle bambine per mano degli uomini di assad. Quella gente che ora applaude soddisfatta dicendo “come volevasi dimostrare, l’alternativa ad assad è solo il terrorismo fondamentalista”. Quella stessa gente che è pronta a gridare il suo dissenso per altri drammi che si stanno consumando nel mondo, come il genocidio a Gaza, ma che sulla morte quotidiana di civili siriani non si pronuncia e arriva persino a negare ciò che sta accadendo.

La Siria sta morendo con i suoi figli, i suoi giovani, le sue donne e i suoi uomini, la sua storia, le sue città. Non fingiamo di non saperlo. Bisogna gridare contro l’infibulazione e contro tutti i crimini commessi ai danni dei civili, ma non farlo a spot, farlo prendendo una posizione ferma e urgente, chiedendo che si parli del dramma dei civili e si ascoltino le loro voci, senza lasciarle soffocare dalle grida dei violenti guerrafondai. I piccoli angeli morti nella sacralità delle loro case, i giovani uccisi in piazza mentre cantavano libertà, gli innocenti inghiottiti dal mare mentre tentavano di fuggire dalla morte, meritano rispetto e considerazione, non di finire nel dimenticatoio o, peggio ancora, di essere inseriti nell’elenco degli “effetti collaterali di una guerra”. La guerra è crimine contro l’umanità intera.

 

 

Fonte:

http://diariodisiria.wordpress.com/2014/07/24/siria-isis-e-linfibulazione-dei-cervelli/

185 MORTI E 1385 FERITI A GAZA DALL’INIZIO DELL’OPERAZIONE BORDO PROTETTIVO, 1 MORTO IN CISGIORDANIA. NEL FRATTEMPO, NELLA VICINA SIRIA, SI CONTINUA A MORIRE SOTTO LE BOMBE DI ASSAD

(Foto: Reuters)

(Foto: Reuters)

Giorno 6 – domenica 13 luglio

Giorno 5 – sabato 12 luglio

Giorno 4 – venerdì 11 luglio

Giorno 3 – giovedì 10 luglio

Giorno 2 – mercoledì 9 luglio

Giorno 1 – martedì 8 luglio

 

AGGIORNAMENTO ORE 21.45 – EGITTO PROPONE UN CESSATE IL FUOCO DA DOMANI ALLE 6 E UN EVENTUALE ALLENTAMENTO DELL’ASSEDIO SU GAZA. SILENZIO DA ISRAELE E HAMAS

L’Egitto ha proposto che un cessate il fuoco abbia inizio alle sei del mattino di domani, martedì 15 luglio e che, eventualmente, si proceda a un allentamento dell’assedio di Gaza “quando la situazione si stabilizzerà”. Lo riferisce al-Jazeera, il cui corrispondente Gregg Carlstrom nota che “un linguaggio simile è stato adottato anche per l’accordo che ha posto fine alla guerra del 2012, ma non è stato mai veramente implementato”. Né Israele né Hamas si sono espressi finora sull’iniziativa egiziana.

AGGIORNAMENTO ORE 21 – AL-JAZEERA: 185 MORTI E 1385 FERITI, A KHAN YOUNIS UCCISO ADOLESCENTE IN MOTOCICLETTA

I morti palestinesi nei primi sette giorni dell’operazione israeliana “Barriera protettiva” contro la Striscia di Gaza sarebbero ora 185 e i feriti 1385. Lo riferisce al-Jazeera. Il portale israeliano Ynet da’ notizia di 5 persone rimaste uccise a Gaza dopo un raid dell’aviazione israeliana, mentre l’agenzia palestinese Ma’an riferisce di un adolescente palestinese, Ziyad al-Najjar, di 16 anni, colpito nella zona di Khan Younis da un razzo dell’aviazione mentre era in motocicletta. Sempre secondo Ma’an, tre persone sarebbero morte e altre sette ferite nel bombardamento dell’aviazione israeliana sulla casa della famiglia Sheikh al-Eid a Rafah.

AGGIORNAMENTO ORE 20 – ESERCITO ISRAELIANO: “HAMAS SEMBRA PRONTO PER IL CESSATE IL FUOCO”. MA IL MOVIMENTO RIBADISCE: “SOLO ALLE NOSTRE TRE CONDIZIONI”

“Notiamo – ha dichiarato un alto ufficiale dell’esercito israeliano a Haaretz – che Hamas è sempre più vicino ad accettare il cessate il fuoco. Sia Hamas che la Jihad islamica avranno interesse a chiudere la partita e mettere fine alle operazioni militari”. Secondo l’intelligence israeliana, l’esercito avrebbe colpito il 50 per cento dei luoghi di fabbricazione dei missili (inclusi quelli a gittata superiore a 80 km) nella Striscia di Gaza. L’intelligence stima inoltre che, in base ai razzi lanciati in questi giorni e ai siti bombardati, l’arsenale a disposizione dei movimenti islamisti sarebbe circa il 55 per cento.

Ma da fonti presenti ai colloqui ora in corso al Cairo per cercare una tregua, Hamas ha detto di acconsentire al cessate il fuoco solo se verranno rispettate tre condizioni:

-l’apertura del valico di Rafah e degli altri valichi di frontiera per l’importazione e l’esportazione;

-il rilascio di tutti i palestinesi arrestati da Israele nei rastrellamenti dell’ultimo mese in Cisgiordania in seguito alla scomparsa dei tre coloni israeliani;

-nessuna intromissione israeliana in un governo palestinese

Inoltre, Hamas chiede che qualcuno monitori il rispetto dell’accordo da parte di Israele. Il corrispondente di al-Jazeera ha riferito che, stando a quanto detto da un ufficiale di Hamas, Stati Uniti, Turchia e Qatar sono i maggiori attori di questi colloqui al Cairo.

Secondo Haaretz, sono 70 i missili lanciati dalla Striscia di Gaza verso Israele: in un’esplosione di qualche ora fa sono rimaste ferite due ragazzine israeliane a Lakiya, nel sud di Israele.

 

AGGIORNAMENTO ore 17.15 – ONU: “L’80% DELLE VITTIME SONO CIVILI, IL 20% BAMBINI”

Nonostante i tentativi israeliani di convincere della volontà di evitare vittime civili, le Nazioni Unite hanno stimato che oltre l’80% delle 173 vittime ad ora dell’attacco israeliano non sono miliziani, ma civili. Di questi il 20% sono bambini (almeno 36). Oltre 1.200 feriti, i due terzi dei quali donne e minori. Le case distrutte sono oltre 940, 400mila persone sono senza elettricità e 17mila i rifugiati interni.

Fonte:
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Le forze israeliane sparano, uccidono un palestinese a sud di Hebron

Pubblicato il 14 luglio 2014 da AbuSara

http://www.maannews.net/eng/ViewDetails.aspx?ID=712825

BETLEMME (Ma’an) – I soldati israeliani hanno ucciso un palestinese vicino nel villaggio  di Samu nei pressi di Hebron presto lunedi mattina, ha detto la gente del posto.

Munir Ahmad Badarin, 22 anni, è stato colpito all’addome e alla coscia durante gli scontri con le forze israeliane ed è morto in un ospedale pubblico di Yatta.

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Testimoni hanno detto a Ma’an che le forze israeliane sul posto hanno  negato ai paramedici l’accesso al ferito per oltre 30 minuti.

La morte di Badarin è il primo nella Cisgiordania occupata da quando l’assalto di Israele a Gaza è iniziato.

A Beit Ummar, le forze israeliane hanno sparato e ferito il  21enne Mahmoud Muhammad Yasser Breghith a una gamba e Mahmoud Nasser Juma Hitawi, 20, ai piedi, ha detto un funzionario del comitato locale.

Le vittime sono state curate in un ospedale pubblico per le ferite non gravi.

I fatti hanno avuto luogo durante gli scontri con i manifestanti che sono scesi in strada per manifestare contro l’offensiva militare israeliana a Gaza.

Giovani palestinesi hanno scagliato pietre, bottiglie vuote, fuochi d’artificio e bottiglie molotov contro i soldati israeliani nel quartiere Asida, con i soldati che utilizzano armi da guerra, proiettili di gomma e gas lacrimogeni sui manifestanti.

Un portavoce dell’esercito israeliano non ha risposto immediatamente alle chiamate in cerca di commento.

 

 

Fonte:

http://reteitalianaism.it/public_html/index.php/2014/07/14/le-forze-israeliane-sparano-uccidono-un-palestinese-a-sud-di-hebron/#more-5389

 

*

NOI SIRIANI, MORTI DI SERIE C…

di Shady Hamadi

Anche oggi l’aviazione siriana sta bombardando le città del Paese. Aleppo soccombe lentamente, schiacciata dalla forza distruttrice dei barili bomba – riempiti anche di pezzi di metallo, così da colpire ancora più persone – sganciati dagli elicotteri dell’esercito. Come al solito, a far accendere i riflettori mediatici sulla più grande tragedia degli ultimi tre decenni, sono sempre e solo le notizie di jihadisti con passaporto occidentale andati in Siria a combattere, le lamentele di una giornalista per la paga troppo bassa o il turista di guerra giapponese che va a fotografare i corpi straziati dei siriani. Degli oltre cento morti giornalieri, da quattro anni a questa parte, a nessuno importa perché ci si è abituati.

Ben altra cosa è il conflitto israelo-palestinese, caricato all’inverosimile di simbolismo e ideologia e per questo capace di annientare qualsiasi dissenso interno in entrambe le parti. Da giorni Israele conduce raid aerei su Gaza e, in cambio, Hamas continua a lanciare una pioggia di missili sulle città israeliane vicine. Il dibattito si è acceso: si tifa uno o l’altro schieramento, si manifesta nelle piazze, anche italiane, scandendo i nomi delle vittime, si dà dei terroristi agli israeliani o ai palestinesi. Per la Siria nulla di tutto questo accade. Qualcuno vede Assad come un “dittatore buono”, antimperialista e estremo difensore dei palestinesi contro Israele. Pochi sanno, o non vogliono sapere, che centinaia di palestinesi sono morti di fame nel campo profughi di Yarmuk, a Damasco, assediato ancora oggi dalle forze fedeli ad Assad. Troppo pochi sanno, o non vogliono sapere, che migliaia di palestinesi si sono andati ad aggiungere all’esercito di profughi (6 milioni) che hanno lasciato la Siria. Suleyman, palestinese di Yermuk, da me incontrato alla stazione centrale di Milano, è uno di loro. Rifugiato in Siria dal 48, Suleyman è sordomuto, ma nonostante questo mi ha mimato, mugugnando e gesticolando, la tragedia che si è lasciato alle spalle: una tragedia di serie C. Sì, di serie C. Se c’è qualcuno che ha ritenuto le vittime israeliane di serie A e quelle palestinesi di B, lasciatemi dire che quelle siriane sono di C!

La voce del mondo si alza indignata contro i raid aerei israeliani e i missili di Hamas ma lascia Assad libero di continuare il suo genocidio (non trovo espressione più appropriata) e si preoccupa solo dei terroristi dell’Isis che, guarda caso, combattono le forze dell’opposizione siriana e non il regime, quasi ci fosse una convergenza di interessi. Nel frattempo, il Papa piange solo i cristiani crocifissi (si è scoperto poi che erano musulmani) ma non Wissam Sara, figlio di uno scrittore rinchiuso per anni nelle carceri siriane, morto sotto torture indicibili. Ma, d’altra parte, la guerra in Siria è “difficile da comprendere, senza parti da poter sostenere: in un buio di tutti contro tutti” – come commentava Roberto Saviano qualche giorno fa. Se questo assunto fosse vero, allora i siriani meriterebbero di morire perché non sono stati capaci di indicare chi sostenere a Saviano e agli altri che la pensano come lui. Eppure Primo Levi, osannato dallo stesso Saviano, ci insegna che nel buio c’è sempre una luce di giustizia. Questa giustizia è ancora viva, ed è rappresenta dalla parte da sostenere. Questo gruppo è composto dagli ultimi superstiti di quel movimento che ha dato vita nel 2011 alla rivoluzione siriana. Sono scrittori, giovani, pacifisti, cristiani e musulmani che gridano solidarietà dall’angolo dove sono stati relegati. Purtroppo, forse ne sono consapevoli, non la otterranno perché l’Occidente non crede in loro. Forse ci crederebbe se Hamas o Israele fossero il responsabile di quello che avviene in Siria ma, poiché è un dittatore arabo a macellare il suo stesso popolo, va bene così. Siamo ipocriti, questa è la verità. Scegliamo di stare in silenzio, credendo di essere neutrali, ma è proprio questa scelta che aiuta il proseguimento del massacro.

Forse, quando tutto sarà finito, bisognerà portare chi ha scelto di non fare nulla, giustificandosi dicendo che è una guerra di tutti contro tutti o che Assad è un buono perché protegge le minoranze, a vedere le fosse comuni ad Aleppo. L’unica certezza che oggi abbiamo noi siriani è che non siamo né palestinesi, né israeliani, per questo i nostri morti possono essere dimenticati.

 

 

Fonte:

http://ninofezzacinereporter.blogspot.it/2014/07/noi-siriani-morti-di-serie-c.html

SIRIA, 15 MAGGIO 2014: BOMBE BARILE SONO STATE SGANCIATE SIN DAL PRIMO MATTINO SU DIVERSE ZONE

#Siria – 15 maggio 2014 –

Bombe barile sono state sganciate sin dal primo mattino su diverse zone della Siria, tra cui le località di Nawa, Tafas, Bosra Al Sham e Jasem in provincia di Daraa, nell’ultima delle quali si sono registrate 4 vittime, così come nelle zone di Lattameneh e Kafar Zeta in provincia di Hama, con almeno conque vittime a Kafar Zeta, e sul sobborgo damasceno di Daraya. Diversi attacchi aerei sono stati condotti anche sulla cittadina di Maarat Al Nouman, in provincia di Idlib, dopo l’esplosione avvenuta ieri nella base militare di Wadi Al Dayf per mano delle forze di opposizione.
Sin dal primo mattino Daraa Al Balad è soggetta a pesanti bombardamenti in parallelo a combattimenti tra forze di opposizione e del regime nella zona di Menshiyeh.
– Idlib

Bombardamenti aerei su Maarat Al Nouman
http://youtu.be/H8F-IroTCNU
http://youtu.be/aux7TTNLPu4
http://youtu.be/8blKCUCt-bs
I primi momenti dopo i bombardamenti aerei su Maarat Al Nouman
http://youtu.be/TRQ9J_Zebs4
http://youtu.be/d0BLpEo1sOs
Soccorso di un uomo ferito a Maarat Al Nouman
http://youtu.be/m-6q1VQKZw8
Il momento dell’esplosione avvenuta ieri per mano delle forze di opposizione nella base militare di Wadi Al Dayf
https://youtu.be/dQn-B34vPRQ

– Daraa

Bombardamenti sui quartieri di Daraa Al Balad sin dal primo mattino
http://youtu.be/xEhVUHdsbTI
Il momento di esplosioni avvenute nella zona di Menshiyeh a Daraa Al Balad dove le forze di opposizione hanno scavato tunnel sotto postazioni del regime per poi farle saltare in aria
http://youtu.be/ZlFbvu9fsy0
http://youtu.be/MtSrOjO4-ko
Bombardamenti aerei sulla località di Nawa
http://youtu.be/_uSf5wRV1jQ
Il momento in cui un elicottero militare sgancia due bombe barile sulla zona di Jasem
http://youtu.be/FAGk1sGa38Y
Effetti dei bombardamenti aerei sulla zona di Jasem
http://youtu.be/d-ignQbjPIk


– DamascoFumo che si leva dal sobborgo di Daraya in seguito ai bombardamenti aerei con bombe barile.
http://youtu.be/DAyxUQulLAk

Foto scattata nella località di Kafar Zeta, in provincia di Hama.

Fonte della foto
https://www.facebook.com/MediaFoundationHama

Foto: #Siria - 15 maggio 2014 -<br />
Bombe barile sono state sganciate sin dal primo mattino su diverse zone della Siria, tra cui le località di Nawa, Tafas, Bosra Al Sham e Jasem in provincia di Daraa, nell'ultima delle quali si sono registrate 4 vittime, così come nelle zone di Lattameneh e Kafar Zeta in provincia di Hama, con almeno conque vittime a Kafar Zeta, e sul sobborgo damasceno di Daraya. Diversi attacchi aerei sono stati condotti anche sulla cittadina di Maarat Al Nouman, in provincia di Idlib, dopo l'esplosione avvenuta ieri nella base militare di Wadi Al Dayf per mano delle forze di opposizione.<br />
Sin dal primo mattino Daraa Al Balad è soggetta a pesanti bombardamenti in parallelo a combattimenti tra forze di opposizione e del regime nella zona di Menshiyeh.</p>
<p>- Idlib</p>
<p>Bombardamenti aerei su Maarat Al Nouman<br />
http://youtu.be/H8F-IroTCNU<br />
http://youtu.be/aux7TTNLPu4<br />
http://youtu.be/8blKCUCt-bs<br />
I primi momenti dopo i bombardamenti aerei su Maarat Al Nouman<br />
http://youtu.be/TRQ9J_Zebs4<br />
http://youtu.be/d0BLpEo1sOs<br />
Soccorso di un uomo ferito a Maarat Al Nouman<br />
http://youtu.be/m-6q1VQKZw8<br />
Il momento dell'esplosione avvenuta ieri per mano delle forze di opposizione nella base militare di Wadi Al Dayf<br />
https://youtu.be/dQn-B34vPRQ</p>
<p>- Daraa</p>
<p>Bombardamenti sui quartieri di Daraa Al Balad sin dal primo mattino<br />
http://youtu.be/xEhVUHdsbTI<br />
Il momento di esplosioni avvenute nella zona di Menshiyeh a Daraa Al Balad dove le forze di opposizione hanno scavato tunnel sotto postazioni del regime per poi farle saltare in aria<br />
http://youtu.be/ZlFbvu9fsy0<br />
http://youtu.be/MtSrOjO4-ko<br />
Bombardamenti aerei sulla località di Nawa<br />
http://youtu.be/_uSf5wRV1jQ<br />
Il momento in cui un elicottero militare sgancia due bombe barile sulla zona di Jasem<br />
http://youtu.be/FAGk1sGa38Y<br />
Effetti dei bombardamenti aerei sulla zona di Jasem<br />
http://youtu.be/d-ignQbjPIk</p>
<p>- Damasco</p>
<p>Fumo che si leva dal sobborgo di Daraya in seguito ai bombardamenti aerei con bombe barile.<br />
http://youtu.be/DAyxUQulLAk</p>
<p>Foto scattata nella località di Kafar Zeta, in provincia di Hama.</p>
<p>Fonte della foto<br />
https://www.facebook.com/MediaFoundationHama

Fonte:

https://www.facebook.com/Huna.Souria?fref=nf