SIRIA: SALE A OLTRE 50 IL BILANCIO DELLE VITTIME DELL’OSPEDALE DI MSF BOMBARDATO. IL SACRIFICIO DELL’ULTIMO PEDIATRA.

Siria: sale a 50 il bilancio delle vittime dell’ospedale bombardato di Al Quds supportato da MSF

29 Aprile 2016
Il bilancio delle vittime del bombardamento dell’ospedale Al Quds, che era supportato da MSF e alcune altre organizzazioni, è salito a oltre il 50. Le vittime si trovavano nell’ospedale e nelle aree circostanti, dove sono cadute le prime bombe, e includono pazienti e almeno 6 membri del personale medico.
La situazione ad Aleppo è critica perché gli attacchi aerei non risparmiano nessuna parte della città. Già oggi ci è arrivata la segnalazione di un altro centro di salute – non supportato MSF – che è stato colpito.
Non è la prima volta che l’ospedale Al Quds viene bombardato: è stato danneggiato e parzialmente distrutto un certo numero di volte. L’ultima nel 2015.
Al Quds è uno dei numerosi ospedali che MSF supporta ad Aleppo e in tutta la Siria. MSF sostiene l’ospedale dal 2012 con donazioni saltuarie e dal 2014 forniture mediche regolari.
MSF è estremamente preoccupata per le circa 250.000 persone che rischiano sempre più di essere completamente tagliate fuori dall’assistenza medica.
MSF vuole rendere onore al lavoro eroico dei medici siriani in tutto il paese che continuano ad assistere le loro comunità in condizioni inimmaginabili. L’ospedale ha chiesto il supporto di MSF in termini di attrezzature mediche e farmaci, e l’organizzazione si è impegnata a supportarlo anche per la ricostruzione.
“Il cielo sopra ad Aleppo sta cadendo. La città, costantemente in prima linea in questa guerra brutale, rischia ora di finire sotto un’offensiva totale, in cui nessun punto viene risparmiato. Gli attacchi contro gli ospedali e il personale medico sono un indicatore devastante di come la guerra in Siria è condotta, uno dei numerosi e brutali modi in cui i civili vengono presi di mira” ha dichiarato Muskilda Zancada, capomissione di MSF in Siria. “L’attacco all’ospedale Al Quds ha distrutto uno degli ultimi posti rimasti ad Aleppo, in cui si poteva ancora trovare l’umanità. Aleppo è già lo scheletro di ciò che era una volta, e quest’ultimo attacco sembra determinato a eliminare anche quello.
“MSF ha sostenuto Al Quds fin dal 2012. E ‘stato un onore incredibile per noi essere in grado di lavorare a stretto contatto con queste persone così impegnate. Vediamo giorno dopo giorno il modo in cui rischiano la vita nell’inferno in terra che è la guerra, per garantire l’accesso alle cure mediche alle persone. La loro perdita è la nostra perdita, e ci impegniamo a sostenerli nel riavvio delle attività dell’ospedale”.
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Siria, il sacrificio di Mohammed
l’ultimo pediatra rimasto
Morto per curare i bambini

Doveva sposarsi, una bomba ha colpito il suo reparto nell’ospedale Al Quds di Aleppo gestito da Medici senza frontiere: decine le vittime, molti i bambini

Se non fosse vero e verificabile, verrebbe da pensare che sia il personaggio romanzato di un film. Una sorta di eroe tutto positivo che si sacrifica per il prossimo, dona interamente se stesso, sino a perdere la vita. In effetti la morte del dottor Mohammed Wasim Moaz, 36 anni, fidanzato che sperava di sposarsi nei prossimi mesi, racconta di eroismo e altruismo come difficilmente possono comprendere coloro che non hanno vissuto la guerra o una grande tragedia collettiva. «Era l’ultimo pediatra residente nei quartieri di Aleppo ancora controllati dalle brigate che si ribellano alla dittatura di Bashar Assad», dicono dalla città assediata. Al quartier generale di Medici Senza Frontiere a Gaziantep, in Turchia, ne ricordano la professionalità, la dedizione, il rifiuto di partire per non abbandonare le decine di migliaia di bambini che aveva in cura. «Cosa farebbero senza di me tutti questi bambini? Chi si occuperebbe di loro?», rispondeva via email e WhatsApp a tutti coloro che da inizio gennaio, quando i bombardamenti dei caccia russi e i famigerati «barili bomba» lanciati indiscriminatamente dagli elicotteri del regime di Damasco hanno intensificato lo scempio dei quartieri civili, lo invitavano a mettersi in salvo.

Ma è parlando soprattutto con i suoi colleghi siriani che si coglie la forza di questo medico e il significato del suo sacrificio tra le macerie del suo ospedale, ucciso mercoledì notte dall’ennesima bomba vigliacca contro le strutture sanitarie nazionali tra le migliaia, che sin dall’inizio della guerra civile repressa nel sangue, hanno imbarbarito il conflitto. «Mohammed è caduto da eroe. Non è propaganda. Non è retorica. Affatto. Il mio amico Mohammed è morto per aiutare gli altri. Noi gli avevamo detto che era giunto il momento di partire. Da sempre la soldataglia di Assad e gli agenti al suo servizio attaccano medici, infermieri, farmacisti. Tanti medici hanno lasciato Aleppo. Qualcuno opera ancora in cliniche e ricoveri di fortuna nei villaggi, nelle campagne del nord, stretti tra le zone curde, Isis e l’avanzata dei filo-regime. La maggioranza è emigrata in Turchia, o addirittura in Europa. Ne sono rimasti una cinquantina ancora attivi in otto ospedali nelle zone libere a occuparsi dei circa 300.000 civili. Tra loro almeno 150.000 tra infanti, bambini e ragazzi giovani. A loro pensava lui. Soprattutto a loro. Per questo motivo rifiutava persino di trattare il tema della sua eventuale partenza. Era fuori discussione», dice per telefono Ahmed Leila, il medico legato al fronte delle milizie ribelli che dalla Turchia si occupa di coordinare gli aiuti sanitari con Nazioni Unite, Croce Rossa e organizzazioni umanitarie internazionali.

Sono amici da tanti anni Ahmed e Mohammed, sin da quando studiavano medicina all’università di Aleppo. «Me lo ricordo agli esami. Un ottimo studente. La sua famiglia è molto nota nella nostra città. Sono tre fratelli, tutti e tre medici affermati e tutti ancora attivi sotto le bombe. Bakri, 39 anni è chirurgo. Hussam, 35 anni, è oculista e dirige uno degli ospedali ancora funzionanti. Mohammed però sapeva bene di essere l’unico pediatra rimasto. Per lui era come una missione. Anche per questo aveva scelto di rinviare il matrimonio. Gli altri due fratelli hanno mandato mogli e figli in Turchia. Lui scherzava, da single diceva che poteva rischiare di più. Ma adesso con la nuova fidanzata prendeva maggiori precauzioni. O almeno provava. Vivere ad Aleppo è una continua sfida con il destino. Eravamo in contatto quotidiano. Negli ultimi scambi due giorni fa abbiamo parlato via web sulle questioni dell’amministrazione sanitaria locale, si devono eleggere i nostri rappresentanti alla municipalità della zona libera».

Tra i temi discussi anche quelli delle necessità sanitarie e le riserve di medicinali. I rappresentanti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ultimamente si erano attivati per far confluire aiuti approfittando della tregua limitata iniziata a fine gennaio. E pare che gli ospedali di Aleppo avessero ricevuto importanti quantitativi di medicinali. «Da questo punto di vista lui era abbastanza soddisfatto. Gli ospedali si erano organizzati a riempire i magazzini nella prospettiva della ripresa dei combattimenti e il peggioramento dell’assedio, come in effetti ora sta avvenendo», aggiunge il dottor Ahmad. Ma il problema grave resta il degenerare complessivo della situazione a causa della guerra. «Mohammed non credeva che la tregua avrebbe tenuto. E continuava a dirmi che in particolare i bambini piccoli soffrono per la mancanza di pulizia, le carenze d’acqua potabile, i cibi avariati. Chiedeva disinfettanti, agenti filtranti. È morto temendo che la situazione potesse peggiorare».

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