Rosarno, migrante ucciso da un carabiniere nella tendopoli: versioni contrastanti sulla dinamica

Secondo la ricostruzione ufficiale il giovane maliano ha aggredito un militare che gli ha sparato colpendolo mortalmente. Ma alcuni braccianti raccontano l’accaduto in modo diverso. L’episodio in ogni caso conferma la situazione insostenibile in cui vivono i braccianti stranieri che lavorano negli agrumeti

di ALESSIA CANDITO

SAN FERDINANDO (Reggio Calabria) – Una lite scoppiata per motivi futili che non si riesce a sedare, animi surriscaldati, troppo nervosismo, un coltello di troppo, una pistola che spara. Sono questi gli ingredienti del dramma che si è consumato oggi alla tendopoli di Rosarno, dove un bracciante straniero è stato ucciso con un colpo di pistola da un carabiniere.

Secondo la ricostruzione ufficiale, la vittima, Sekine Triore in mattinata avrebbe aggredito con un coltello un altro ospite del campo per motivi futili, quindi si sarebbe scagliato contro un altro uomo tentando di strappargli il borsello. Preoccupati dal comportamento di Triore, già a metà mattina visibilmente ubriaco, gli altri ospiti del campo avrebbero tentato invano di calmarlo, mentre qualcuno allertava le forze dell’ordine. Ma l’intervento dei militari non ha fatto che innervosire ulteriormente Triore, che si è scagliato contro di loro. A farne le spese è stato uno dei carabinieri, ferito vicino all’occhio da un fendente del bracciante. Terrorizzato, il milite avrebbe sparato, colpendo il migrante maliano all’addome.

Tutto è successo di fronte a molti degli abitanti della Tendopoli. Ma alcuni danno versioni diverse dell’accaduto. Parlano con i pochi volontari che continuano a lavorare in zona, insieme ai sanitari di Medici per i diritti umani (Medu) che cercano di fornire l’assistenza minima ai braccianti “fantasma” che lavorano tra San Ferdinando e Rosarno. Sì, ammettono, è vero, c’è stata una lite in mattinata. Ma nessuno di quelli che hanno assistito a quello scontro è certo di aver visto “un fratello” scagliarsi contro il militare. La colluttazione – affermano – sarebbe avvenuta quando i carabinieri hanno tentato di avvicinarsi. Altri sostengono che uno dei due uomini avrebbe sì puntato il coltello contro il carabiniere, ma solo a grande distanza. Altri ancora che i due militari avrebbero raggiunto Triore all’interno della tenda, lì sarebbe avvenuto lo scontro e il giovane maliano sarebbe stato ucciso da un colpo di pistola all’addome. Il carabiniere che ha sparato è stato iscritto nel registro degli indagati per omicidio volontario, ma il procuratore capo di Palmi, Ottavio Sferlazza, sembra orientato a considerare la reazione del militare legittima difesa.

Nella tendopoli adesso tutti hanno paura. Una condizione permanente nel ghetto che ospita i braccianti che lavorano nei campi circostanti. Sei anni dopo la rivolta che ha rivelato all’opinione pubblica le disumane condizioni di sfruttamento dei lavoratori migranti che permettono alla arance di Rosarno di arrivare nei mercati di tutta Italia, per loro poco o nulla è cambiato. Usciti dalla “Cartiera”, lo stabile fatiscente in cui hanno trovato per anni alloggio e riparo, abbattuta dopo la rivolta, solo in pochi hanno trovato affitti accessibili in paese, o un casolare diroccato in cui trovare riparo, mentre la tendopoli messa in piedi dalla Protezione civile per ordine della Prefettura si è rapidamente gonfiata a dismisura, rendendo assolutamente insufficienti docce e servizi. Lì era previsto che vivessero non più di 350 persone. Oggi sarebbero 1.000. Senza un contratto che ne regolarizzi la posizione, ma spesso anche senza documenti che ne certifichino l’esistenza, sottopagati, privi di assistenza e tagliati fuori dai servizi, i braccianti di Rosarno non vivono, ma sopravvivono nella Piana, durante la stagione della raccolta delle arance.

Qualche mese fa, a richiamare l’attenzione sulla loro tragica condizione, è stata l’organizzazione Medici per i diritti umani che ha denunciato le terribili condizioni di vita e lavoro dei braccianti, identificate come principale causa delle patologie più comunemente riscontrate. Ma soprattutto ha squarciato il velo sulle aggressioni che negli ultimi mesi i migranti subiscono ormai regolarmente, sempre di notte e sempre senza colpevoli. Colpa dei caporali stranieri? O degli agricoltorirosarnesi? Non è dato saperlo. Le indagini non sono ancora arrivate a nulla, mentre molti casi sono stati archiviati. La comunità ha continuato a subire, rassegnata. Adesso però, dopo l’assassinio di un “fratello”, esige risposte. E punizioni immediate.

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