G8 Genova, fotoreporter Mark Covell: “Voglio i nomi di chi mi stava per uccidere. Nell’archivio Scajola forse la verità”

Arianna Giunti, L’Huffington Post  |  Pubblicato:   Aggiornato: 23/05/2014 11:50

 

“I responsabili del mio tentato omicidio non hanno ancora un nome. Se la verità è contenuta in quei dossier, ora è il momento di tirarla fuori. Per me e per le altre vittime”.

 

Il blitz alla scuola Diaz di Genova, una delle pagine più nere della storia della Repubblica italiana, ancora oggi dopo tredici anni continua a rimanere una ferita aperta, piena di misteri. Uno di questi è l’identità mai rivelata dei quasi quattrocento agenti in tenuta antisommossa che quella notte hanno fatto ingresso nella scuola genovese dando inizio a una feroce mattanza, in quella che è stata definita come “la più grave sospensione dei diritti umani in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale”.

 

Alcuni di questi agenti sono responsabili di un tentato omicidio, quello del fotoreporter inglese Mark Covell: in seguito al feroce pestaggio venne lasciato a terra senza essere soccorso per venti minuti; riportò danni alla spina dorsale e è rimase in coma profondo per 14 ore. Nonostante una lunga inchiesta e tre processi la Procura di Genova, infatti, non è mai riuscita a identificarli. L’indagine sul tuo tentato omicidio è stata archiviata un anno fa dal gip di Genova Adriana Petri. Nessun testimone si è fatto avanti. I responsabili sono stati protetti da un invalicabile muro di omertà – come denunciarono gli stessi magistrati – che si è immediatamente innalzato a difesa degli appartenenti alle forze dell’ordine.

 

A capo del Viminale, in quei giorni di guerriglia urbana, sedeva Claudio Scajola. Nella cui abitazione proprio in questi giorni i magistrati che indagano sull’inchiesta Matacena hanno trovato alcuni dossier privati. Uno di questi riguarda appunto il G8 di Genova.

 

Oggi Mark Covell ha 46 anni. Disabile, vive in una casa popolare di Londra. E chiede a gran voce che si faccia luce su quei documenti, che potrebbero contenere la verità anche sui nomi degli agenti coinvolti nel blitz.

 

Lei sostiene che quei 340 nomi fossero ben noti ai vertici della polizia, ma che furono fatti sparire.

 

Esatto, le indagini coordinate dal pubblico ministero Enrico Zucca della Procura di Genova hanno trovato da subito un ostacolo enorme. Da parte delle istituzioni e dei ministri del governo Berlusconi ci fu immediatamente uno scaricabarile di responsabilità. Penso per esempio a Fini – vice presidente del Consiglio presente in quei giorni a Genova – e, appunto, a Scajola. Però tutti quanti fecero immediatamente quadrato con i servizi segreti e i vertici delle forze dell’ordine.

 

Perché Scajola, a capo del Viminale, avrebbe dovuto sapere qualcosa su quei nomi? Chi coordinò il blitz alla scuola Diaz?

 

È ormai accertato da tre sentenze che il blitz alla scuola Diaz fu ordinato per “punire” i black bloc. Erano passate poche ore dall’omicidio di Carlo Giuliani e la polizia era in fibrillazione. Il blitz alla Diaz fu pretestuoso, lo sapevano benissimo che in quel palazzo dormivano solo manifestanti inermi e giornalisti, come me. I poliziotti del I Reparto Mobile (un reparto di polizia creato ad hoc proprio in quei giorni, ndr) arrivarono portandosi dietro prove false, le bottiglie molotov. Ci sono filmati e tre sentenze che lo dimostrano. I loro capi erano tenuti ad avere una lista dei poliziotti che vi avevano preso parte. Così come di quelli appartenenti al Settimo nucleo speciale della Mobile, responsabili dei pestaggi. Succede per tutte le altre operazioni di ordine pubblico. Queste liste finiscono direttamente al Viminale.

 

Questi nomi però non vennero mai comunicati alla Procura di Genova, che li chiese una volta iniziate le indagini…

 

Solo in parte sono stati comunicati, con molta fatica. Se questo fosse stato fatto, con facilità – anche grazie alle telecamere – avremmo potuto identificare i poliziotti che mi hanno massacrato di botte fino quasi ad uccidermi, in quella che nei processi è stata definita una “macelleria messicana”. Io sono convinto che Scajola sia un personaggio chiave in questa storia. Non direttamente responsabile, sicuramente. Però sono certo che sappia molto di più di quello che, allora, ha fatto capire di sapere.

 

Secondo lei dunque in quei dossier relativi al G8 potrebbe essere contenuta la verità sul blitz di quella notte e su altri aspetti controversi di quei giorni a Genova?

 

Io sono convinto che qualcuno abbia nascosto i files con i nomi dei 340 agenti. Grossissime responsabilità sono da imputare non solo ai vertici della polizia ma anche ai ministri del governo Berlusconi, che hanno insabbiato la verità, distrutto le prove e protetto i colpevoli. E poi ci sono troppe incongruenze legate a quella notte. Penso per esempio alla sostituzione del vicecapo della polizia Ansoino Andreassi, l’unico che si oppose invano alla perquisizione alla Diaz e in seguito l’unico alto dirigente a testimoniare in Tribunale. Ci devono la verità. Non solo a me ma anche a Lena Zulke, Niels Martensen, Jaroslaw Engel, Melanie Jonachse, Daniel Albright e gli altri manifestanti pestati a sangue quella notte. Se Scajola decidesse di parlare si potrebbe riaprire l’indagine sul mio tentato omicidio.

 

Ha mai ricevuto scuse ufficiali da parte delle istituzioni e dal governo?

 

Chiedere scusa significa ammettere la propria colpevolezza. E quindi certo che no, non ho mai ricevuto scuse. Il G8 di Genova continua a rimanere un’ombra nera nella mia vita, che mi perseguita. Però io voglio continuare a credere che un giorno qualche poliziotto onesto trovi il coraggio di rompere il silenzio su quella maledetta notte che ha stravolto la mia vita. Ancora oggi, quando torno in Italia, io non sono tranquillo. Vivo con la paura di incontrare uno dei poliziotti della Diaz, e che le minacce di quella notte diventino realtà.

 

 

 

 

 

Fonte:
http://www.huffingtonpost.it/2014/05/23/g8-genova-fotoreporter-mark-covell-intervista_n_5377292.html?1400837794&utm_hp_ref=fb&src=sp&comm_ref=false

Un pensiero su “G8 Genova, fotoreporter Mark Covell: “Voglio i nomi di chi mi stava per uccidere. Nell’archivio Scajola forse la verità”

  1. TESTIMONIANZA DI UN GASSATO

    Da “Germinal” (Trieste, 2002) una brutta storia comune a centinaia (forse migliaia) di persone.

    TESTIMONIANZA DI UN GASSATO COSTRETTO A RIPENSARCI SUO MALGRADO
    (Gianni Sartori, 2002)

    Sinceramente non avevo più intenzione di ripensare a Genova 2001. La sensazione di “scampato pericolo”, dopo aver conosciuto i particolari delle cariche, il trattamento subito dai fermati a Bolzaneto, le conseguenze dell’ attacco notturno alla Diaz?, era stata molto forte e aveva alimentato il desiderio di rimozione. In realtà, come molti altri, probabilmente mi ero illuso di esserne uscito indenne. Invece a distanza di tempo, dopo aver trascorso il peggior inverno della mia vita (2001-2002) , anch’io avevo dovuto prendere seriamente in considerazione la possibilità di aver subito danni biologici non insignificanti (per quelli morali possiamo soprassedere) per aver inalato (ma la contaminazione sembra possa avvenire anche attraverso la pelle, gli occhi, i vestiti?)i famigerati gas CS utilizzati dalla polizia in quantità industriale (almeno seimiladuecento candelotti), nonostante il loro uso (ma paradossalmente solo in guerra) sia proibito dalla Convenzione di Ginevra.

    Non credo sia eccessivo parlare di un esperimento di “guerra chimica a bassa intensità in tempo di pace”.

    Ma andiamo con ordine.

    Sabato 21 luglio 2001 ero arrivato a Genova in pullman; facevo parte della consistente delegazione di esponenti di varie associazioni vicentine che intendevano portare la loro pacifica protesta al G8: Movimento U.N.A.- Uomo Natura Animali, Gocce di Giustizia , Lipu, Lega per i diritti e la liberazione dei popoli, Rifondazione comunista, pacifisti della Casa per la Pace di Vicenza, Collettivo Spartakus, Centro sociale “Ya Basta!”, qualche sindacalista della CGIL, alcuni iscritti alla Cisl particolarmente sensibili alle tematiche terzomondiste?

    Intendevo anche raccogliere testimonianze da usare per eventuali articoli. Durante il viaggio avevo conversato a lungo con il compagno Cestaro, militante maoista dai primi anni sessanta, sempre in prima fila in tutte le battaglie pacifiste e antimperialiste degli ultimi quarant’anni. Ricordo in particolare che per quasi vent’anni l’ho visto picchettare ogni domenica, o quasi, la base americana di Longare.

    Parlando dei vecchi tempi gli avevo chiesto notizie su tutti quei militanti di buona famiglia, solitamente pieni di boria e aspiranti capetti che, dopo gli entusiasmi giovanili, erano rientrati all’ovile. Mi raccontava che uno era diventato dentista, un altro ingegnere, un altro imprenditore?E fin qui niente di male, naturalmente, ma alcuni, incontrandolo, fingevano di non conoscerlo. “In base a che cosa -gli avevo chiesto- si permettono questo atteggiamento?”.

    Risposta : “Caro Sartori, te me pari bauco (ingenuo, n.d.t.); ma xe logico. In base al’articolo quinto: “Chi che ga fato i schei ga vinto”. Purtroppo l’ottimo e saggio Cestaro alla sera non è rientrato con noi in pullman ma si è fermato a Genova (il giorno dopo voleva portare dei fiori sulla tomba di un vecchio amico) ed è andato a dormire alla Diaz. A distanza di tanto tempo porta ancora segni molto evidenti del pestaggio subito (braccia e gambe spezzate).

    L’ho rivisto con gioia, indomito, a Firenze, mentre entrambi uscivamo dalla Fortezza da Basso per accodarci al corteo del 9 novembre 2002.

    Per quanto riguarda i gas CS di Genova 2001, ho subito una prima esposizione nel punto in cui il corteo, proveniente da Corso Italia, svoltava a destra, in prossimità dei giardini Martin Luther King, per poi percorrere Corso Torino in direzione di piazza Ferraris, dove si teneva il comizio.

    Come unica protezione avevo prima un fazzoletto e successivamente una mascherina di carta (di quelle vendute in farmacia) che mi ha passato un altro manifestante . Niente per gli occhi. Dato che ritenevo di partecipare ad una manifestazione pacifica e autorizzata non avevo ritenuto di attrezzarmi in alcun modo, pensando che comunque mi sarei tenuto il più lontano possibile da eventuali “casini”. Con il senno di poi, ovviamente, ho peccato di ingenuità e di eccessiva fiducia nelle istituzioni.

    Sono rimasto in zona pochi minuti, il tempo necessario per scattare qualche fotografia.

    Così a occhio, il “casino” era a parecchie centinaia di metri di distanza, ma diverse zaffate di gas arrivavano con una certa regolarità ( penso da Piazzale Kennedy) anche se sul momento gli effetti non mi sembravano particolarmente intensi ( ho avvertito solo una leggera irritazione agli occhi). Vorrei precisare che come fotografo e giornalista free-lance mi sono trovato altre volte in prossimità di gas lacrimogeni (di tipo “normale”, evidentemente), soprattutto durante gli anni ottanta, ma senza conseguenze.

    Sono passato prima della carica che ha spezzato in due il corteo.

    Dopo qualche centinaio di metri ho intuito che alle mie spalle c’erano grossi problemi, sia per il fumo dei lacrimogeni che per le “ondate” di persone in fuga che arrivavano all’improvviso mettendo in movimento tutto il corteo antistante (come un’onda, appunto), nonostante gli inviti alla calma.

    Comunque sono riuscito ad arrivare in Piazza Ferraris e ho seguito i vari interventi fino alla fine.

    In questo momento di pausa ho avuto modo di apprezzare la grande eterogeneità della “moltitudine” presente. Elencando alla rinfusa: bandiere bianche con striscia diagonale azzurra e stella rossa dei Galleghi; bandiere gialle con quattro strisce rosse dei Catalani; bandiere con i quattro mori di un movimento (NON partito, ci tengono ndr) indipendentista sardo; qualche ikurrina basca listata a lutto ?; i familiari dei militanti della sinistra turca in sciopero della fame (attualmente i morti sono ormai un centinaio?) con le foto degli “hunger strikers”; i Sem Terra del Brasile; alcuni comunisti greci che cantavano “Bella ciao” (in greco, naturalmente) ; gli animalisti della L.A.V. di Bassano e, ovviamente, dell’U.N.A. di Vicenza; il comitato di Bozen in appoggio agli Indios U’wa della Colombia; tantissime bandiere dei Curdi ? Perfino, in mezzo ad una schiera di Rifondaroli , un solitario con la bandiera occitana ; alcuni esponenti di un movimento autonomista trentino con due ge
    nziane sulla bandiera (ho poi controllato: attualmente esistono due fazioni; quelli con le due stelle alpine appoggiano il centro-destra, quelli con le due genziane il centro-sinistra); uno striscione in memoria di Edo e Sole, bandiere corse, scozzesi, bretoni?

    oltre naturalmente alle svariate tribù dell’anarchismo (CNT iberiche, CNT francese?).

    Più o meno la stessa eterogenea molteplicità rivista a Firenze nel novembre del 2002?

    Sempre a Genova, del tutto imprevisto, l’incontro con l’ amico “Giaco”, scrittore e giornalista di Radio Popolare (intento a farsi la doccia con le secchiate d’acqua che un’anziana genovese pietosa riversava sulla folla dalla finestra) . Naturalmente non poteva mancare il mitico Vincenzo Sparagna, inossidabile direttore di “FRIGIDAIRE”, intento a distribuire lo specialissimo numero speciale “Il testimone di Genova”.

    Al termine dei vari interventi (Bovè, Hebe Bonafini, Giuliano Giuliani, Agnoletto?) mi sono avviato pensando di poter ripercorrere a ritroso il tragitto del corteo ( Corso Sardegna, Corso Torino?) ma, come tanti altri, ho dovuto ritornare velocemente indietro, di nuovo verso Piazza Ferraris, a causa della forte irritazione alla gola e lacrimazione agli occhi per i gas ancora presenti nelle strade.

    Da quanto mi è stato poi raccontato la coda del corteo diretto verso Piazza Ferraris era stata ripetutamente caricata e investita dai lacrimogeni.

    In questa occasione, dal momento in cui il bruciore acuto agli occhi mi ha costretto a tornare indietro a quando l’irritazione è passata, sarà passato un quarto d’ora, venti minuti. A questo punto, temendo di perdere il pullman per il ritorno , ho cercato di aggirare le strade in cui evidentemente c’erano ancora lacrimogeni.

    Ho seguito altre persone che si dirigevano verso una delle stradine in salita (ritengo via dell’Orso). Anche qui, salendo, ho percepito di tanto in tanto fastidio agli occhi

    ma solo per pochi minuti. Siamo arrivati nei pressi di una chiesa ( presumo sia San Fruttuoso) dove alcuni frati ci hanno offerto acqua in quantità (“dar da bere agli assetati”) e la possibilità di utilizzare i bagni.

    Ci hanno poi indicato una stradina percorribile solo a piedi che avrebbe dovuto portarci verso Corso Europa per arrivare ai pullman. Ormai doveva essere pomeriggio inoltrato, forse un paio d’ore dopo la fine del comizio.

    Un genovese, amico dei frati, ci ha fatto da guida. Ad un certo punto parte della stradina era franata e per qualche metro si poteva procedere solo in rigorosa fila indiana. Alla fine il vicolo sbucava in una strada che in quel momento era percorsa da gruppi di persone, evidentemente reduci dal corteo. Eravamo arrivati a pochi metri quando tutti si sono messi a correre, a scappare.

    Temendo di restare bloccato, mi sono precipitato nella strada e correndo mi sono inserito nel flusso della gente in fuga. A quel punto ero piuttosto agitato, ma ho percepito ugualmente la presenza di gas che provenivano dalle nostre spalle. L’esposizione non può essere durata più di cinque-dieci minuti, ma forse più intensa delle altre. Tra l’altro in questo caso non avevo alcuna protezione e poco dopo ho cominciato ad avvertire un forte senso di nausea. Come molti altri sono fuggito risalendo una scalinata che in certi momenti era completamente intasata da coloro che cercavano di scappare. Non saprei dove collocare esattamente questo episodio , comunque tra San Fruttuoso (in basso rispetto alla Chiesa) e gli Ospedali Civili. Come ho detto dopo questa fuga ho cominciato ad avvertire nausea , senso di vomito e mal di stomaco che mi hanno accompagnato per tutto il tratto di Corso Europa. I pullman dovevano trovarsi in una laterale di Corso Europa (via Isonzo) ma invece il punto
    d’incontro era stato spostato di circa un chilometro . Sono arrivato al pullman dopo le 19 (appena in tempo per non dovermene restare a Genova), attraverso altri vicoli, ancora una volta grazie ad un cittadino genovese che si è offerto come guida.

    Complessivamente l’intensità dell’esposizione non dovrebbe essere stata troppo alta (anche se non saprei dire rispetto a quali parametri vista la particolare natura del CS) ma ripetuta varie volte, per un totale di circa quaranta minuti di esposizione. Nell’immediato ho provato bruciore agli occhi, lacrimazione, irritazione alla gola, anche se sul momento nessun sintomo si è presentato con violenza.

    Più tardi ho avuto nausea e mal di stomaco e anche un leggero senso di ansia.

    Dagli inizi del settembre 2001 ho cominciato ad avere seri problemi di ordine respiratorio, nonostante da molti anni pratichi attività sportiva e mi alleni regolarmente (escursionismo, alpinismo, ciclismo) con discreti risultati. In particolare, sottolineo che fino a pochi giorni prima del 21 luglio avevo compiuto varie ascensioni nelle Dolomiti senza difficoltà o disturbi di sorta.

    Da allora ho dovuto fare uso di medicinali e sottopormi a varie cure.

    Dopo una serie di esami medici ho dovuto prendere atto che i danni c’erano stati e anche a distanza di tanto tempo la situazione resta problematica.

    Ho ritenuto quindi fosse mio diritto e dovere sporgere denuncia contro gli autori dei reati desumibili da quanto ho raccontato.

    In questi mesi (2002 nda) ho anche raccolto varie testimonianze di altre persone che dopo Genova si sono ritrovate con problemi di salute, più o meno acuti. In genere si tratta di problemi respiratori: asma, bronchiti ricorrenti (anche estive), raucedine, difficoltà respiratorie?Ho avuto però l’impressione che molti sottovalutassero la gravità della cosa (quasi una forma di rimozione), sperando forse che “con il tempo tutto andasse a posto”. Personalmente ritengo invece che ogni singolo caso andrebbe preso in considerazione, ricostruendo nei dettagli quanto è avvenuto, cercando di precisare il luogo, l’ora, le circostanze e sottoponendosi ad adeguati esami medici in modo da poter quantificare con precisione quante persone (sicuramente centinaia, probabilmente migliaia), esposte ai CS, hanno subito conseguenze. Soprattutto pensando al futuro, dato che la pericolosità di questo gas è ormai accertata.

    E il futuro attualmente è molto incerto, soggetto sempre più a decisioni prese da altri, per cui anche il semplice partecipare ad una manifestazione autorizzata per esprimere il proprio pensiero potrebbe comportare seri rischi per la salute. Concludo dicendo che, a mio avviso, l’uso massiccio di sostanze altamente tossiche rappresenta (almeno per l’Italia) un vero salto di qualità in campo repressivo.
    Gianni Sartori

    n. Per ulteriori notizie sui CS rimando all’articolo “Genova per noi, un anno dopo” su A, Rivista anarchica n.283 (estate 2002). Pag. 13

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