Eternit, la regola dell’ingiustizia

La tutela contro gli attacchi portati alla vita e alla salute dei lavoratori e dei cittadini in genere da lavorazioni pericolose o produttive di inquinamento ambientale è, nel nostro Paese, totalmente ineffettiva. Il tutto nell’attesa che il Parlamento definisca un’accettabile ipotesi di disastro ambientale (da anni inutilmente in discussione in Parlamento…)

Trent’anni fa, agli ope­rai della Eter­nit di Casale che chie­de­vano spie­ga­zioni su quella pol­vere bianca e sot­tile che si depo­si­tava sulle loro tute, i capi reparto rispon­de­vano di non pre­oc­cu­parsi e di imma­gi­nare di essere sulle spiagge dei Caraibi rese incan­te­voli da una sab­bia simile a quella. Intanto i con­su­lenti in pub­bli­che rela­zioni del magnate sviz­zero Ste­phan Sch­mi­d­heiny, ammi­ni­stra­tore della Eter­nit, ter­ro­riz­zato dalla even­tua­lità che gli effetti deva­stanti dell’amianto venis­sero alla luce, si impe­gna­vano a depi­stare la stampa e scri­ve­vano: «Il con­ti­nuo aumento di atten­zione dei mezzi di comu­ni­ca­zione nazio­nale nei con­fronti dell’amianto è allar­mante. Nono­stante le vicende citate (soprat­tutto il “con­ti­nuo rumore” a Casale Mon­fer­rato) siano docu­men­tate super­fi­cial­mente e (i media) si inte­res­sino solo di spe­ci­fici sog­getti locali, aumenta l’attenzione sulla que­stione amianto in gene­rale. Non si può esclu­dere che qual­cuno, pre­sto o tardi, metta insieme i diversi pezzi del puzzle e sol­levi un ben docu­men­tato caso amianto a livello nazio­nale (o inter­na­zio­nale), di cui l’Eternit sarà ine­vi­ta­bil­mente uno dei pro­ta­go­ni­sti prin­ci­pali» (così L. Gaino. Falsi di stampa, Edi­zioni Gruppo Abele, 2014).

Poi sono arri­vati i morti. Migliaia di morti. E in migliaia con­ti­nuano a morire. E qual­cuno — un pro­cu­ra­tore aggiunto e due sosti­tuti della Pro­cura di Torino — «ha messo insieme i diversi pezzi del puzzle». Così è ini­ziato un pro­cesso per «disa­stro doloso» con­tro i ver­tici di Eter­nit, con­clu­sosi con pesanti con­danne sia in primo che in secondo grado (dove Sch­mi­d­heiny è stato con­dan­nato a 18 anni di car­cere). Ma ieri la Corte di cas­sa­zione ha can­cel­lato con un tratto di penna la con­danna, affer­mando che il reato è ormai pre­scritto, cioè non più per­se­gui­bile in con­si­de­ra­zione del tempo tra­scorso. Non per la durata del pro­cesso (che, pur nella sua enorme com­ples­sità, si è con­su­mato, dall’udienza pre­li­mi­nare alla Cas­sa­zione, in cin­que anni) ma per­ché — qui sta il para­dosso — è pas­sato troppo tempo tra i com­por­ta­menti dell’imputato e le morti a esso con­se­guenti. In sin­tesi: la chiu­sura degli impianti con­se­guente al fal­li­mento di Eter­nit e, dun­que, i com­por­ta­menti dell’imputato risal­gono al 1986 e quanto è acca­duto dopo (cioè la morte di 2.191 per­sone) è una con­se­guenza del reato e non un ele­mento che incide sulla sua strut­tura. Que­sto, almeno, secondo la Cassazione…

Non è la prima volta che un pro­cesso per un disa­stro con­se­guente a lavo­ra­zioni peri­co­lose, nocive o inqui­nanti si con­clude senza col­pe­voli. Anzi ciò è, nel nostro Paese (e non solo), la regola: basti pen­sare a Porto Marghera.

E — va aggiunto — nubi assai cupe si adden­sano sui pros­simi pro­cessi per fatti ana­lo­ghi: da Vado Ligure a Taranto. Ancora una volta, dopo la sen­tenza, al pianto e alla dispe­ra­zione dei parenti delle vit­time, si affian­cano rea­zioni poli­ti­che che lasciano sgo­menti per la loro stru­men­ta­lità, prive come sono di ogni ana­lisi sulle ragioni per cui tutto que­sto è acca­duto e accade. Eppure almeno due con­si­de­ra­zioni si impongono.

Primo. C’è anzi­tutto, alla base di que­sti esiti, una col­pe­vole carenza legi­sla­tiva. La tutela con­tro gli attac­chi por­tati alla vita e alla salute dei lavo­ra­tori e dei cit­ta­dini in genere da lavo­ra­zioni peri­co­lose o pro­dut­tive di inqui­na­mento ambien­tale è, nel nostro Paese, total­mente inef­fet­tiva, affi­data com’è a reati con­trav­ven­zio­nali di mode­sta entità o all’ipotesi di omi­ci­dio (per defi­ni­zione con­te­sta­bile solo dopo la morte e, in ogni caso, di dif­fi­cile prova in punto rap­porto cau­sale tra la lavo­ra­zione peri­co­losa e il sin­golo evento mor­tale). Di qui l’operazione giu­ri­spru­den­ziale di fare ricorso al reato di «disa­stro»: opzione indub­bia­mente fon­data ma non priva di pro­blemi inter­pre­ta­tivi essendo il reato, risa­lente al codice penale del 1930, costruito con imme­diato rife­ri­mento a diverse e più sem­plici fat­ti­spe­cie. Il tutto nell’attesa che il Par­la­mento defi­ni­sca un’accettabile ipo­tesi di disa­stro ambien­tale (da anni inu­til­mente in discus­sione in Parlamento…).

Secondo. La Corte d’appello di Torino, a dif­fe­renza della Cas­sa­zione, aveva rite­nuto che le morti con­se­guenti alle lavo­ra­zioni nocive (alcune delle quali recen­tis­sime) fos­sero ele­menti costi­tu­tivi del reato di disa­stro così esclu­dendo in radice l’operatività della pre­scri­zione. La domanda è ovvia: come è pos­si­bile che due diversi giu­dici abbiano dato una inter­pre­ta­zione così diversa? È pos­si­bile per­ché l’interpretazione non è un sil­lo­gi­smo auto­ma­tico ma un’operazione rico­strut­tiva com­plessa e deli­cata in cui entrano aspetti tec­nici e giu­dizi di valore. Una cosa è certa. Uso, per dirla, parole di un giu­ri­sta raf­fi­nato come V. Zagre­bel­sky: «Se non è pos­si­bile dire che le inter­pre­ta­zioni adot­tate dai primi giu­dici fos­sero “esatte” e sia “sba­gliata” quella della Cas­sa­zione, è però lecito chie­dersi se non c’era davanti ai giu­dici una scelta, ragio­nata e seria­mente argo­men­ta­bile, tra una inter­pre­ta­zione che met­teva d’accordo diritto e giu­sti­zia e un’altra che pro­cla­mava sum­mum jus, summa inju­ria». Non credo — non ho mai cre­duto — alle “scor­cia­toie” pro­ba­to­rie ma sono con­vinto che, alla luce delle dispo­si­zioni costi­tu­zio­nali a tutela della vita e della salute, una scelta inter­pre­ta­tiva diversa da quella dei giu­dici di legit­ti­mità fosse pos­si­bile e auspicabile.

 

 

Fonte:

http://ilmanifesto.info/la-regola-dellingiustizia/