30 Dicembre 1943: l’eccidio di Santa Cecilia

Martedì 30 Dicembre 2014 07:02

altFrancavilla al Mare, in provincia di Chieti, fu una delle prime cittadine italiane in cui si organizzò la Resistenza all’invasore nazifascista. Anche per questo motivo, il paese venne sistematicamente minato, tanto da dover disporre, nel mese di dicembre ’43, lo sgombero degli abitanti, poiché il 90% dei fabbricati non era più in piedi.

Il  30 dicembre 1943, mentre i soldati tedeschi fanno sfollare i contadini dalla contrada di Santa Cecilia verso Chieti, una ragazza che tenta di recuperare delle masserizie da nascondere in un luogo sicuro, subisce un tentativo di violenza da parte di un soldato nazista. Di tutta risposta, il padre della ragazza aggredisce e uccide a coltellate il soldato, per poi fuggire con tutta la famiglia per timore della rappresaglia. La reazione dei militari però, non si fa attendere.

Il comando tedesco scatena subito una feroce rappresaglia secondo la barbara consuetudine di guerra dell’esercito nazista, per cui per ogni soldato morto devono essere uccisi dieci civili. Comincia un rastrellamento selvaggio nelle poche case rimaste in piedi, che viene così ricordato da uno dei sopravvissuti, Antonio Lorito:

«(…)Ricordo che mentre parlavo del più e del meno insieme agli altri amici, sopraggiunse una pattuglia di tedeschi paracadutisti che si piazzò dinnanzi a noi con i mitra spianati. Dalla pattuglia si staccò un graduato che con tono minaccioso urlò: “Alle Kaputt!” – Sì proprio così: “Italiani traditori, tutti kaputt, raus”, gridava spingendoci avanti… ». «Ci chiusero in una stalla – aggiunge – e ci perquisirono dalla testa ai piedi con la speranza di trovare qualche arma, magari il coltello con il quale era stato ucciso il loro camerata, ma non trovarono nulla. Finita la perquisizione ci fecero tornare a lavorare. La paura era sempre tanta. Avevamo una mezza bottiglia di “Strega” e un po’ per il freddo, era il 30 dicembre del 1943, e un po’ per farci coraggio, ci mettemmo a bere. Ad un tratto vi fu un gran trambusto: non si capì bene cosa fosse; l’unica cosa che avvertimmo fu il passo cadenzato di una pattuglia nazista che si avvicinava. Istintivamente alcuni di noi si misero a correre verso una di quelle case che c’erano lì vicino in cerca di un nascondiglio sicuro, magari nell’ultima stanza. Quando i tedeschi arrivarono ad una trentina di metri da noi si fermarono e subito degli ordini concitati risuonarono nell’aria. Immediatamente seguiti da scoppi di bombe a mano, raffiche di mitra, colpi di pistola, invocazioni d’aiuto, lamenti, un inferno, insomma. Le armi sparavano e sembravano non scaricarsi mai,tanto erano continui i colpi. Ho visto quattro amici miei cadere a terra crivellati».

La rappresaglia compiuta dai tedeschi è effetuata due volte, cosi che 20 persone vengono uccise in due luoghi differenti. I pochi sopravvissuti sono poi costretti a scavare una fossa in un mucchio di letame e a seppellire lì nove dei loro compagni barbaramente trucidati.

Il giorno successivo i sopravvissuti vengono portati in una vallata adiacente, dove giù per un fossato trovano ammucchiati i cadaveri delle rimanenti vittime. I corpi, ricoperti in fretta con un po’ di terra, rimasero così fino a dopo la Liberazione, quando furono restituiti ai famigliari.

Nella strage di Santa Cecilia morirono in totale venti francavillesi, tutti erano operai, contadini o studenti.

 

 

Fonte:

https://www.infoaut.org/index.php/blog/storia-di-classe/item/3608-30-dicembre-1943-l%E2%80%99eccidio-di-santa-cecilia

Messina, che c’entra Peppino Impastato con i rosso-bruni?

 

Una inquietante sigla nazionalista, filo Assad e filo Putin, starebbe strumentalizzando il nome del militante di Dp ucciso da Cosa Nostra

di Ercole Olmi

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“L’Associazione di Promozione Sociale Peppino Impastato Messina e la nascente cellula messinese di Socialismo Patriottico hanno incontrato e portato solidarietà ai lavoratori del Birrificio Messina, ri-organizzatisi in cooperativa dopo le vicende legate ai licenziamenti ed alla dismissione della fabbrica degli ultimi anni”. E’ successo il 21 novembre scorso e ne dà notizia il sito di Socialismo patriottico con la foto ricordo dell’accaduto. Nel sito dell’organo ufficiale di Sp, Stato e Potenza, ci sono un paio di articoli del presidente di un’associazione Peppino Impastato, Sonny Foschino.

Socialismo patriottico? Qualcuno a Messina sta usando il nome di Peppino Impastato per un’operazione rosso-bruna? Cosa c’era di patriottico nella vita di Peppino Impastato, militante di Democrazia proletaria, organizzazione antistalinista, libertaria, pacifista e internazionalista?

Lo chiedo proprio a Sonny Foschino su fb che prima mi strapazza un po’, nega, poi dice che ci sarebbe un equivoco, poi minaccia di chiamare Ingroia, dice che mi rovinerà, dice di non avere paura di me e di aver già querelato Crocetta un paio di volte. Poi decide di rilasciare la seguente importante dichiarazione: “Il gruppo APS Peppino Impastato messina è un collettivo che lavora autonomamente e che non ha nulla a che spartire con l’associazione che presiedo”.

Sì, ma ci sono quegli articoli su Stato e Potenza? “Si, li pubblica e non vedo nulla di male in questo. Non sono tesserato a stato e potenza ma ciò non mi preclude il diritto di divulgare i miei articoli. Mi attacchi sui contenuto eventualmente, non sulla testata”.

Retitfico anch’io: qualcuno, non Foschino, sta strumentalizzando il nome di Peppino Impastato? Ma che cosa è “Socialismo patriottico”? A scorrere il sito sembra una sigla filo russa (con buona pace del patriottismo) con un programma militaresco, xenofobo, omofobo, familista, nuclearista, con l’ossessione della famiglia naturale, della solidarietà a tipetti tutto pepe come Bashar Al-Assad e il “compagno Kim Jon-Un” e soprattutto per la ratifica dei trattati commerciali con Putin.

Fate un lungo respiro, servitevi un cordiale, perché stiamo per sciorinare alcuni punti del programma di Socialismo patriottico: “Collaborazione con i BRICS e richiesta di ingresso nella SCO. Completamento del progetto italo-russo “South Stream” e avviamento di piani coordinati Eni-Gazprom per l’esplorazione e l’analisi geologica del sottosuolo nazionale, delle conformazioni montuose, dei bacini e degli arcipelaghi del territorio nazionale. Costruzione o completamento dei grandi collegamenti viari: Ponte sullo Stretto di Messina, Autostrada Due Mari, ristrutturazione dell’Autostrada del Sole, potenziamento della viabilità nelle due Isole maggiori. Completamento e sviluppo della rete TAV e della altre reti ferroviarie nazionali. Ritorno pianificato e compatibile all’energia nucleare per abbattere l’emissione di CO2. Istituzionalizzazione dei sindacati. Revisione delle politiche di accoglienza in base alle esigenze strutturali del paese. Aiutare economicamente le famiglie naturali che desiderano figli. Lotta serrata al commercio e al consumo di narcotici e all’abuso di alcoolici. Riconoscimento dell’unione tra uomo e donna come unico nucleo familiare istituzionale. Scioglimento delle società segrete e delle sette religiose in contrasto con gli interessi nazionali. Sgombero immediato delle occupazioni abusive a scopo associativo e politico. Aumento dei finanziamenti per la Difesa. Incremento dell’impiego di Polizia e Carabinieri nelle strade, trasferendo alcuni loro compiti burocratici agli uffici civili. Espulsione dei clandestini entro 24 ore verso il Paese di provenienza salvo comprovato impedimento. Intensificazione della collaborazione nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico di stupefacenti e all’immigrazione clandestina con i Paesi dell’altra sponda del Mediterraneo. Espulsione e sconto della pena nei Paesi d’origine dei cittadini extracomunitari, dopo la condanna per reati superiori ad 1 anno. Carcere riabilitativo attraverso forme di lavoro socialmente utile alla comunità per pene inferiori ad anni 2. Ergastolo ostativo per i reati di estrema gravità (alto tradimento, attività mafiosa, terrorismo, genocidio e pedofilia)”.

Di Stato e Potenza s’è parlato a lungo, nel recentissimo passato, per certe sue collusioni con pezzi del Pdci, con gli ambienti siriani, con organizzazioni dichiaratamente di estrema destra come Zenit (sospettata di antisemitismo) e Casapound (ora in tandem con il leghista Borghezio) con le quali ha dato vita a manifestazioni “antimperialiste” a sostegno di Gheddafi o Assad.

Cosa c’entra tutto questo con Peppino Impastato che si batteva contro lo sfruttamento di classe che è lo stesso nei paesi Brics e in Occidente?

Sul profilo fb del capo di Sp, il reggiano Bonilauri, spicca una citazione di Costanzo Preve, ex filosofo di sinistra poi divenuto maestro rossobruno di personaggi ambigui come il “marxista” Diego Fusaro che ogni tanto abbindola anche circoli di sprovveduti a sinistra: «I centri sociali sono la guardia gratuita del ceto intellettuale di sinistra. La loro cultura è inesistente, trattandosi di ghetti consentiti e foraggiati dalla Sinistra Politicamente Corretta (SPC), che li può sempre usare come potenziale guardia plebea.
Privi di qualsiasi ragion d’essere storica, costoro, composti di semianalfabeti, intontiti dalla musica che ascoltano abitualmente ad altissimo volume e dallo spinellamento di gruppo, hanno una cultura della mobilitazione, dello scontro e della paranoia del fascismo esterno sempre attuale, ed è del tutto inutile porsi in un razionale atteggiamento dialogico, che pure potrebbe teoricamente chiarire moltissimi equivoci. Ma il paranoico non è un interlocutore.
Anche l’interesse per i migranti è un pretesto, perché essi li vivono come un raddoppiamento mimetico della loro marginalità». Stefano Bonilauri, è indicato sul web come veterano delle delegazioni italiane a Damasco per omaggiare il dittatore Assad. Il gruppo è in ottimi rapporti, oltre che con il Partito Nazional Socialista Siriano, con i governi di Iran e Corea del Nord, nonché con il Partito Comunista della Federazione Russa ed altre formazioni staliniste.

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Siamo sicuri che Peppino Impastato sarebbe stato un alfiere di questo tipo di socialismo nazionale?

Sonny Foschino, leader messinese dell’associazione, poliedrica figura di musicista, letterato e politico, collaboratore di Stato e Potenza, dice anche di essere un leader politico: “Peppino Impastato avrebbe sorriso vedendo i sorrisi, gli abbracci, la gioia che ha trasudato il corteo del 9 maggio 2014. Più di mille e duecento, secondo le stime, i giovani che hanno invaso Piazza Antonello. In testa una presenza importante: quella dell’istituto nautico Caio Duilio. Poi AUT, la corrente di pensiero che si ispira a Peppino Impastato, donnAUT e i ragazzi del progetto AULA AUT ormai presente in numerosi istituti di Messina e Provincia e da poco presente anche su Palermo. Gruppi di attivisti del movimento AUT stanno iniziando a formarsi anche su Catania, Roma, Reggio Calabria, Bologna e Forlì”.

Aut, la corrente di pensiero? A cosa pensa Aut? “Il Movimento Studentesco Aut – Unione degli Studenti Messina è un coordinamento di studenti messinesi in collaborazione con il sindacato studentesco Unione degli Studenti. E’ totalmente apartitico ed è politico solo nell’accezzione [la doppia z dev’essere uno sfizio patriottico, ndr] più antica e vera del termine: Diamo un servizio alla comunità tutta, mettendoci al servizio degli studenti. Ogni studente, di qualsivoglia posizione politica è bene accetto.La collaborazione con l’Uds nazionale consegna al movimento il carattere di sindacato studentesco, in grado di portare avanti battaglie legali contro ingiustizie quotidiane all’interno delle scuole…”.

Nè di destra, né di sinistra, dunque. Proprio come ogni esperienza rosso-bruna prescrive. Anche Sp ha una vera fissa su questo: “L’apertura della sezione si pone l’obiettivo di fornire un punto di riferimento per tutti i soggetti che rifiutano la dicotomia liberale destra-sinistra – recita un comunicato della sezione di Terni – garantendo una credibile alternativa al sistema anti-popolare e anti-nazionale, che condanna l’Italia ad essere un’appendice dell’offensiva ultra-liberista che Stati Uniti e Unione Europea stanno sferrando contro le potenze emergenti e il mondo in via di sviluppo… Famiglia, lavoro e militanza, sono le fondamenta su cui si regge la vita pubblica/privata del nostro militante”, recita la dichiarazione di apertura di una sezione ternana scimmiottando altre trinità del genere (da diopatriafamiglia a credereobbedirecombattere, c’è solo l’imbarazzo della scelta).

La sezione è stata intitolata all’Operaio Ternano Luigi Trastulli, ucciso dalla polizia nel 1949 mentre contestava la Nato e la guerra e ora ucciso di nuovo da questa operazione inquietante, ambigua da gente che rivendica niente meno che la vittoria della Grande Guerra e la trimurti “Patria, Popolo, Lavoro”.

 

Che cosa succede a Terni, Messina e altrove? Si tratta di un gruppo di “socialconfusi” che vivono nell’eterno presente globale, incapaci di decodificare quello che gli accade intorno? E’ la punta dell’iceberg di un’operazione di ricerca della legittimazione come molte esperienze nazimao o rossobrune hanno tentato negli anni (da Rinascita, organo della Sinistra nazionale, alla rivista Indipendenza)? E’ qualcuno che vivacchia con qualche finanziamento di ambasciate e partiti fratelli? E’ ancora peggio?

Il complottismo lo lasciamo ai professionisti di questa corrente di pensiero. Per ora poniamo solo domande a chiunque abbia a che fare con questi personaggi, ad esempio l’Uds che potrebbe capire se il proprio nodo messinese sia coerente con lo spirito che anima il sindacato studentesco, così come ha dovuto fare il Pdci nazionale a Terni in occasione di una manifestazione di fascisti filo Assad a cui presero parte anche militanti cossuttiani al seguito di Sp. Questi ultimi ci rimasero male a sentirsi maltrattati e se la cavarono con queste parole: “E’ opportuno ribadire, inoltre, che, almeno nella fase dei primi diciotto mesi di guerra in Siria, aver preso parte ad eventi pubblici ai quali contemporaneamente hanno preso parte (per proprio conto ed indipendentemente dal contesto) anche persone o sigle riconducibili al mondo della destra radicale, si è reso POLITICAMENTE NECESSARIO per evitare che la questione siriana (da noi trattata e sostenuta sin dall’estate del 2011) fosse lasciata nelle mani di una sola parte politica, con tutte le scontate conseguenze sia in termini di immagine internazionale per il governo siriano che in termini di credibilità per l’ambiente social-comunista, resosi in gran parte responsabile di gravissime omissioni e latitanze sul tema della politica internazionale, quando non di vere e proprie “complicità” politiche e/o morali con gli aggressori imperialisti (vedasi l’assalto all’Ambasciata Libica a Roma del 23/2/2011)”.

Davvero Peppino Impastato si sarebbe mobilitato per il Ponte di Messina, uno degli affari cruciali per Cosa Nostra, e per dittatori osceni come Assad, Gheddafi, Putin. Osceni come Obama e Renzi.

Rosso bruni: c’è un luogo del mondo, in questa epoca, dove se ne possono incontrare: è il Donbass, crocevia (oltre che di sincere aspirazioni internazionaliste) di tardive nostalgie campiste e di gesta pugnaci di soggetti di Forza Nuova, dei loro camerati francesi di Troiseme Voie, del Movimento sociale europeo e, come rivelava domenica il Fatto quotidiano, perfino di ammiratori di Salvini che hanno deciso di fare la guerra guerreggiata. E’ nella lettura delle vicende ucraine che tra i rosso-bruni si fa avanti la tesi dell’inattualità della dicotomia fascismo/antifascismo. Con buona pace dei carovanieri in buona fede che da molto tempo sono costretti a prendere nota della presenza nel Donbass di personaggi francesi, spagnoli, padani e italiani legati a doppio filo ai gruppi neofascisti.

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Prima di chiudere l’articolo l’ennesima precisazione di Foschini: “Io non minaccio nessuno! Sono abituato alle cose concrete. Come insegnava Peppino! Scriva scriva, è chiaro che alle sue dichiarazioni seguiranno le mie… È questa non è una minaccia, ma una constatazione. La saluto! HASTA la victoria! Siempre!”. Oddio! E adesso che c’entra il Che?

 

 

 

Fonte:

http://popoffquotidiano.it/2014/12/01/messina-che-centra-peppino-impastato-con-i-rosso-bruni/

 

Dietro i soldi di Putin al Front National spunta anche CasaPound

di redazione

Ultima modifica il Mercoledì, 26 Novembre 2014 16:35

 

 

Riguardano anche l’Italia gli scoop della giornalista francese Marine Turchi, che ha scoperto che una banca russa vicina a Vladimir Putin presterà al Front National 9 milioni di euro da investire nella prossima campagna elettorale.

Come spesso capita quando si parla di estrema destra e neofascisti, spuntano fiumi di quattrini, affaristi e alleanze spregiudicate. Meno di un mese fa, ricorda Daniele Ranieri sul Foglio, Turchi si era occupata del “congresso europeo” del Fn cui hanno partecipato le delegazioni dei neonazisti di Alba dorata. “Les Italiens de CasaPound” figurano addirittura come “co-organizzatori” del consesso. Il gruppo italiano dei “fascisti del terzo millennio”, secondo Turchi sarebbe “al servizio di Frederic Chatillon”, consigliere ufficioso di Marine Le Pen che si è trasferito a Roma e gestisce una società di comunicazione, la Riwal France, che ha sede anche a Roma. Riwal si occupa di “realizzare campagne pubblicitarie”. Il congresso di Parigi, dove è intervenuto parlato anche il presidente Gianluca Iannone, leader di CasaPound – è stato “il punto culminante di un tour promozionale per fare conoscere CasaPound in Francia.

Nel luglio 2012, Chatillon, oggi trait d’union tra CasaPound e il Front national, incassava finanziamenti da parte del governo siriano del presidente Bashar el Assad, cui CasaPound non mancò di manifestare solidarietà nel bel mezzo della guerra civile e dello scontro sull’uso delle armi chimiche da parte del regime. La Riwal di Chatillon, ha scritto Turchi, prendeva “tra i centomila e i centocinquantamila euro l’anno dall’ambasciata siriana a Parigi”, “per la promozione del paese”.

Marine Turchi è ormai la bestia nera del Fn, come sottolinea opportunamente Ranieri, al punto che le viene negato l’accesso agli eventi di partito con le scuse più improbabili. Per solidarietà, molti giornalisti delle maggiori testate francesi hanno disertato gli stessi eventi. Intanto il tesoriere del Front, Wallerand de Saint-Just (ritratto da Mediapart mentre fa il saluto fascista) ha ammesso di aver chiesto il soccorso economico di una banca vicina a putin Putin perché “qui in Europa nessuno ci avrebbe prestato un centesimo”. Inutile aggiungere che il Front national ha posizioni filorusse e sostiene il presidente Putin con sintonia perfetta: dall’elogio dei “valori tradizionali” alla guerra civile in Ucraina. All’inizio del mese scorso, il Front aveva partecipato con la Lega (il cui segretario da tempo si produce in elogi sperticati a Putin) e CasaPound al Forum nazionale russo organizzato dagli ultranazionalisti di Rodina. «Vogliamo costruire un movimento che unisca tutte le forze nazionaliste d’Europa e sostenga la battaglia in difesa dei valori tradizionali, sia sul piano ideale che su quello dell’azione», hanno detto i camerati russi in quell’occasione.

 

 

Fonte:

http://www.dinamopress.it/news/dietro-i-soldi-di-putin-al-front-nacional-spunta-anche-casa-pound

Intervista al fascista italiano Andrea Palmeri, arruolato nelle milizie del Donbass

Avevo già pubblicato alcuni articoli sui fascisti filorussi in Ucraina spacciati per antifascisti da molti “compagni”:

https://www.peruninformazionelibera.blog/fascisti-italiani-ucraina-donetsk-come-kiev/

https://www.peruninformazionelibera.blog/ucraina-altro-che-compagni-la-repubblica-di-donetsk-e-lombra-nera-di-aleksander-dugin/

Aggiungo ora altre informazioni. Qui un articolo di un mese fa tratto dal blog di Germano Monti:

http://vicinoriente.wordpress.com/2014/09/09/fascisti-su-marte-no-nel-donbass-con-i-filo-russi/

Ma ancor più vi invito a leggere la seguente intervista tratta dal sito internet dei RIM- Giovani Italo-Russi di Irina Osipova, leader del movimento, al fascista italiano Andrea Palmeri, in questo momento arruolato nelle milizie del Donbass. In quest’intervista l’ideologia fascista è rivendicata apertamente da entrambi tanto che si fa cenno, tra le altre cose, all’ammirazione di Pavel Gubarev (neonazista per informazioni sul quale rimando ai primi due link citati sopra) nei confronti di Palmeri perchè sarebbe “un vero fascista italiano”. L’intervistato passa dalle lodi al fascismo, alla Russia e a Putin a discorsi contro l’immigrazione e gli omosessuali. Ecco l’intervista integrale:

Intervista esclusiva con il volontario italiano nel Donbass — Andrea Palmeri

palmieri3Эксклюзивное интервью для движения РИМ Российско-Итальянская Молодёжь с Андреа Пальмери, отца трех с половиной летнего сына, единственного итальянского добровольца на данный момент, приехавшего на Донбасс сражаться за свободу жителей региона, чтобы «остановить американский империализм и бойню невинных людей». Чтобы прочитать русскую версию интервью, необходимо нажать СЮДА bottorusso

Intervista esclusiva per moviemento RIM Giovani-Italo Russi ad Andrea Palmeri, padre del figlio di tre anni e mezzo, e l’unico volontario italiano in questo momento arruolato nelle milizie del Donbass a lottare per la liberà degli abitanti della regione per «fermare l’imperialismo americano e il massacro di gente innocente»

  •  Quali sono le motivazioni che ti hanno spinto di lasciare l’Italia e di arruolarsi nella difesa del Donbass?

 

Premetto che la scelta di andare a combattere nel Donbass non è stata una scelta di impulso, ma ho meditato a lungo, essendo padre di un fantastico bimbo di 3 anni e mezzo. Io sono sempre stato affascinato dalla Russia, ho studiato il russo e lo parlo abbastanza correttamente, sono stato sposato con una cittadina russa, la madre di mio figlio. Insomma, un filo sentimentale mi lega alla vostra patria. Ho seguito la vicenda ucraina sin dal nascere e già dalle prime proteste ho avuto la sensazione che tutto fosse pilotato e gestito da agenti esterni, americani per essere precisi. Tutto era fatto per attaccare la Russia, per provocarla e per costringerla ad entrare in guerra, cosa che non è avvenuta per la lungimiranza di chi governa la Federazione Russa, perché ciò avrebbe portato a mio parere la guerra in tutta Europa e la guerra è sempre una cosa negativa da evitare. Poi l’esercito ucraino ha cominciato a bombardare il proprio popolo, donne e bambini e questa non è una guerra civile perché una guerra civile la combattono due fazioni non la si combatte contro la popolazione civile. Questo si chiama massacro! Ho deciso di andare per fare la mia piccolissima parte, cioé quello che un singolo puo fare. Convinto che questa fosse la guerra di tutti gli uomini liberi europei, secondo me qui non c’entrano fascismo o comunismo, l’importante è fermare l’imperialismo americano e il massacro di gente innocente.

  • Paverl Gubarev, l’ex governatore dell’autoproclamata Repubblica Popolare del Donetsk ha scritto sul suo profilo di Facebook parlando di te: “Un mese fa un vero fascista italiano si è unito alla nostra milizia”. Sicuramente sai che i termini fascista e fascismo nel mondo russo vengono interpretati diversamente dal loro significato originario, ed associati nella coscienza collettiva esclusivamente a dei crimini commessi dai nazisti durante la Seconda Guerra mondiale nelle terre russe. Cosa significa per te essere quindi un “vero fascista”? Quali sono le battaglie di coloro che si rifanno all’ideologia fascista in Italia?

palmieri2Certo lo so che il termine fascista in russo ha una connotazione solamente negativa, ma lo comprendo innanzitutto perché con la Guerra Patriottica i russi hanno combattuto il nazismo e poi perché non si conosce il fascismo italiano. Anzi, io sono convinto che il fascismo italiano da un punto di vista dottrinale ha molti più punti in comune con il socialismo di Lenin che con  l’ideologia nazionalsocialista. Comunque questi sono schemi e riferimenti di almeno 70 anni fa. Siamo in un mondo moderno. Secondo me questi schemi sono antiquati e da queste ideologie bisognerebbe solo prendere i valori, ma nemmeno tutti. Quindi per me non ha senso parlare di fascismo o comunismo oggi se non in chiave storica. Mi ha fatto piacere che Gubarev si sia ricordato della mia presenza, perché seguendolo su facebook lo stimo e mi piace la sua impostazione ideologica. Le battaglie di un fascista di oggi, premettendo che come ti ho detto siamo nel 2014, dovrebbero essere l’amore e la difesa della Patria, sovrattutto da ingerenze esterne, la difesa della famiglia, il rispetto della tradizione e della religione. Tutte cose che avvengono nella  Russia di oggi e non mi dite che Putin sia fascista!!! Invece in Unione Europea si assiste ad un immigrazione di massa incontrollata, che sta distruggendo la nostra cultura e le nostre tradizioni con il beneplacito dei nostri governanti. Abbiamo governi come quello italiano tanto per parlare di una situazione a me nota che non hanno sovranità né economica, né militare, né politica. La sovranità che non ha nemmeno l’Unione Europea che è appiattita ai voleri e agli obblighi impostoli dall’America. Ecco, queste sono cose su cui bisogna combattere. La distruzione dei valori tradizionali  come la famiglia con la propaganda omosessuale per esempio o con tutte quelle ventate di libertinaggio in ogni campo, dal sociale al privato che con l’idea di eguaglianza e di buonismo stanno distruggendo l’Europa. Ecco, questo va combattuto. Vedo la nostra Europa, per fare un paragone, come l’Impero Romano pochi anni prima di crollare. Queste, ti ripeto, non sono battaglie fasciste ma dovrebbero essere battaglie di tutti. In Russia si difende la famiglia, si difendono i valori tradizionali e religiosi di tutti e si combatte l’egemonia mondialista americana. Non mi sembra che in Russia siano fascisti. In italia è di pochi giorni fa la contestazione alle Sentinelle in piedi — pacifici cittadini che difendevano la famiglia da questo oscurantismo omosessuale e che sono stati tacciati di essere fascisti. Contestazione permessa e incoraggiata dai nostri politici libertari, che da voi, giustamente, non sarebbe stata permessa.

Palmieri

  •  Come sei stato accolto dal popolo il quale sei venuto a difendere?

Il popolo mi ha accolto con simpatia. Sono l’unico italiano e i russi, perché qui in Donbass vivono russi, hanno molta simpatia per gli italiani, amano la nostra terra ,la nostra musica e la nostra cucina. E logicamente, mi ringrazia per il fatto di essere venuto a combattere per la loro libertà.

  • E’ stato difficile imparare la lingua russa per parlare con gli abitanti locali e miliziani?

Il russo è una lingua molto difficile, io lo parlo abbastanza anche se non sono ancora in grado di capire sempre e tutto soprattutto quando parlano veloce, ma la mia conoscenza del russo è sufficiente per capire e farmi capire. Anche se devo ancora migliorare la mia conoscenza, spero con il tempo di parlarlo sempre in maniera migliore.

  • Spesso i movimenti ucraini nazionalisti come Pravyi Sektor e perfino il governo attuale di Kiev vengono definiti come “fascisti”. Credi che sia una definizione giusta?

Pravyi Sektor per me e un’incognita. Io capisco la lotta contro un governo corrotto quale era quello del presidente Ianukovich, poi vuoi per i finanziamenti americani, la loro protesta è sfociata prevalentemente in un odio antirusso e da qui hanno sposato un «iconografia» nazionalsocialista. Sono nazionalisti, amano l’Ucraina ma non riesco a capire questo odio verso i russi e comunque sono convinto che sono stati usati come pedine dai potenti che ora governano in Ucraina la tristemente famosa junta. La junta di Kiev per me non è fascista, viene cosi addidata perché come detto prima questa parola in russo ha una forte carica negativa. In Ucraina comandano oligarchi che fanno i loro interessi a scapito di del  proprio popolo e sono gestiti da gruppi di potere americani, che hanno finanziato in chiave antirussa la protesta di Maidan. Sono i soliti che ora gestiscono la junta ed i primi responsabili della tragedia del popolo del Donbass

  •  Lunedì parti sul fronte, come credi che debba essere strutturato il futuro delle terre del Sud-Est una volta finiti gli scontri militari?

La struttura delle terre dell Sud-Est è cosa assai complicata e non posso esprimermi. L’importante, io penso, che già si sta delineando la formazione di un nuovo stato un’entità sicuramente vicina a Mosca, ma con la sua indipendenza. E’ importante però che a tutti i cittadini di lingua russa che rimarranno fuori da questo nuovo stato vengano riconosciuti i diritti e non discriminati altrimenti non so cosa succederà.

  •  Ringrazio per l’occasione offerta per questa intervisa. Tutte le risposte erano molto corpose di contenuto ed interessanti. Infine, naturalmente viene spontaneo chiedere -Dove pensi di continuare la tua vita futura una volta tornato dal fronte?

Bella domanda, penso proprio  in Italia, ma se avrò qualche buona ragione per rimanerci potrei restare pure qui, ma ancora non mi pongo questo problema!

Irina Osipova

Fonte:

http://rodnoirim.org/andreapalmeridonbassITA/

 

29 settembre 1944: la strage di Marzabotto

Lunedì 29 Settembre 2014 05:33

29 settembre

Dopo il massacro di civili compiuto a Sant’Anna di Stazzema compiuto dalle SS il 12 agosto 1944, gli eccidi nazifascisti ai danni 29 settembre delle popolazioni lungo la linea gotica hanno un momentaneo arresto. Il maresciallo Albert Kesserling, comandante della cosiddetta “campagna d’Italia” contro gli alleati, continua però, anche nei mesi successivi, ad avere l’incubo di quei ribelli italiani che, saliti in montagna dapprima con mezzi di fortuna, stanno di fatto tenendo in scacco il grande esercito tedesco all’interno dei confini della Repubblica di Salò: comanda alle truppe di lasciare “terra bruciata” alle proprie spalle e, quando viene informato che a Marzabotto e nei comuni limitrofi la divisione partigiana Stella Rossa continua a mietere vittime e ad operare sabotaggi, ordina la rappresaglia. Capo dell’operazione viene nominato il maggiore Walter Reder, chiamato “il monco”, poiché aveva perso un braccio durante una battaglia a Charkov, sul fronte orientale, ed era considerato uno “specialista” in materia di rappresaglie contro civili e popolazione inerme. Durante il mese di settembre le truppe al comando di Reder si spostano dalla Versilia alla Lunigiana e al bolognese, lasciando dietro di sé una scia insanguinata di almeno tremila persone uccise. La mattina del 29 settembre ha inizio quella che verrà ricordata come la “strage di Marzabotto”, anche se in realtà i comuni interessati sono molti. Prima di muovere l’attacco ai partigiani, le SS accerchiano e rastrellano numerosi paesi: in località Caviglia i nazisti interrompono in una chiesa durante la recita del rosario e sterminano tutti i presenti (195 persone, tra cui 50 bambini) a colpi di mitraglia e bombe a mano, a Castellano uccidono una donna e i suoi sette figli, a Tagliadazza vengono fucilati undici donne e otto bambini, a Caprara le persone uccise sono 108. Le truppe si avvicinano ai centri abitati più grandi, Marzabotto, Grizzano e Vado di Monzuno e sulla strada ogni casolare, ogni frazione, ogni località vengono rastrellate: nessuno viene risparmiato. Anche nei comuni lo sterminio procede senza sosta; sono distrutti 800 appartamenti, una cartiera, un risificio, strade, ponti, scuole, cimiteri, chiese, oratori, e tutti coloro che sono rastrellati vengono messi in gruppo, spesso legati, e bersagliati da raffiche di mitra, che vengono sparate in basso per avere la certezza di colpire anche i bambini. L’azione procede per sei giorni, fino al 5 ottobre: i partigiani della Stella Rossa tentano invano di contrastare la ferocia nazista, ma perdono il proprio comandante, Mario Musolesi, durante uno dei primi combattimenti, e comunque non dispongono delle armi e dei mezzi necessari per far fronte alle attrezzatissime truppe delle SS. Al termine della rappresaglia si contano, in tutta la zona del Monte Sole, circa 1830 morti, mentre pochissimi sono i sopravvissuti, che sono riusciti a nascondersi, o che sono rimasti per giorni sepolti sotto i corpi dei propri vicini, dei propri familiari. Tra i caduti, 95 hanno meno di 16 anni, 110 ne hanno meno di 10, e 45 meno di due anni; la vittima più giovane si chiama Walter Cardi, e aveva appena due settimane. Al termine della guerra il maggiore Reder fuggirà in Baviera, dove verrà catturato dagli americani: sarà estradato in Italia e, nel 1951, verrà condannato all’ergastolo. Nel 1985 verrà graziato, grazie all’intercessione del governo austriaco, e si trasferirà in Austria, dove morirà senza aver mai mostrato alcun segno di rimorso. Rimarrà comunque in ombra, in sede processuale, il ruolo di decine e decine di ufficiali e soldati delle SS, i veri e propri esecutori della strage, seppur l’identità di una parte dei responsabili sarà nota alla magistratura, che spesso deciderà di non dar seguito all’azione penale per motivi di opportunità politica internazionale. Nel 1961 verrà edificato un sacrario, che raccoglie i corpi di 782 delle vittime della strage.

 

 

Fonte:

http://www.infoaut.org/index.php/blog/storia-di-classe/item/2751-29-settembre-1944-la-strage-di-marzabotto

Di un omicidio politico bisogna parlare in termini politici

 

I Social Waste (Official) su Pavlos Fyssas

Quando la redazione di Hit&Run ci ha chiesto di scrivere quest’articolo su Pavlos, per la verità eravamo molto indecisi su cosa dire. All’inizio abbiamo pensato di scrivere qualcosa sulla musica che lui amava, il rap, sulla “seconda generazione” del hip hop greco, di cui faceva parte Pavlos e di cui facciamo parte anche noi, e su come questa generazione aveva vissuto gli sviluppi di questo movimento in Grecia. Ma, nonostante sia passato già un anno dal giorno in cui gli assassini di Alba Dorata hanno ucciso Pavlos, c’è ancora qualcosa che non va giù: quella frase della comunità hip hop, “non parliamo in termini politici”, durante la conferenza stampa alla sede dell’Unione dei Giornalisti dei Quotidiani di Atene. Visto però che noi crediamo sia necessario parlare in termini politici di un omicidio politico, questo è ciò che faremo in questo articolo. Del suo hip hop abbiamo comunque scritto già altrove e forse ci ritorneremo alla prima occasione.

Su Pavlos ora.

Prima di tutto bisogna chiarire che Pavlos non “se n’è andato”, né “è morto”, né “si è spento” – è stato assassinato. E non è stato assassinato perché aveva aggredito qualcuno né perché rubava. Pavlos non era un ladro di galline né un criminale. E’ stato assassinato perché attraverso le sue canzoni e in generale con il suo modo di vivere esprimeva liberamente opinioni che non “piacevano” ai neonazisti di Alba Dorata, che avevano già cominciato ad allargarsi pericolosamente nei quartieri di Pavlos. Nella lotta per l'”egemonia culturale” – come direbbe anche Gramsci – nei quartieri del Pireo Pavlos e Alba Dorata esprimevano due mondi ideologici del tutto diversi: gli albadorati quello dell’odio, della pulizia etnica e della codardia, e Pavlos quello del coraggio e dell’umanità. Ed è per questo che – stando alle testimonianze rese pubbliche – l’avevano messo sulla “lista nera”.

Non aspettatevi in questo testo un’ulteriore analisi delle opinioni politiche di Pavlos – avrebbe potuto farlo da solo, se non fosse stato assassinato vigliaccamente dai neonazisti. Quel che cercheremo di fare sarà condividere alcuni pensieri su ciò che è accaduto dal suo omicidio fino ad oggi, un anno dopo, e arrivare ad alcune conclusioni sul funzionamento della giustizia (?) indipendente (!) in questo paese e su come l’omicidio di Pavlos è stato usato e viene ancora usato in modo “strategico” dal governo della Troika e dai media che esso controlla (e/o controllano) per ottenere – a seconda delle circostanze- vantaggi politici.

Innanzitutto a nostro avviso ci sono delle responsabilità politiche per l’omicidio di Pavlos. E ci spieghiamo: l’attività assassina di Alba Dorata non era ignota alle autorità prima dell’omicidio. Tutte le associazioni dei medici del paese denunciavano in continuazione le aggressioni a sfondo razziale contro i migranti, così come le ONG che si occupano di questioni simili; le aggressioni erano centinaia – quasi veri e propri pogrom – mentre almeno due migranti erano stati uccisi. Nonostante tutto la giustizia greca si è mobilitata solo in seguito all’omicidio di Pavlos e solo su ordine del “Ministro della Protezione del Cittadino” (degli interni, n.d.t) Dendias – in seguito cioè a un ordine politico – per indagare sulla questione. Oltre l’ovvio paradosso della giustizia – tra le altre cose – indipendente che si è messa in moto solo dopo un ordine del governo, nascono due questioni imprescindibili:

– Perché la giustizia, nonostante medici e ONG attirassero l’attenzione sull’attività assassina di Alba Dorata con continui comunicati, non si è attivata prima?
e
– Perché il governo – visto che sapeva perché non poteva non essere stato informato da tutti quei servizi di polizia e non – non ha dato l’ordine politico di indagare sulle attività criminali di Alba Dorata prima dell’omicidio di Pavlos?

Domande insistenti che devono avere risposta, perché se il potere giudiziario e quello esecutivo avessero fatto il proprio lavoro quando dovevano, Pavlos, così come Sehzad, oggi forse sarebbero ancora vivi.

Un’altra questione ha a che fare con la gestione del caso da parte del governo Samaràs Venizelos e con la copertura mediatica e le trattative politiche intorno ad esso. Così in base all’incremento del distacco tra Syriza e il governo nei vari sondaggi e in base alle trattative dei vari Baltakos (ex membro del governo di Samaras che, come fu rivelato da vari video, trattava con i membri di Alba Dorata, n.d.t) con i membri della leadership di Alba Dorata, seguivamo in diretta l’arresto o la liberazione di quel deputato albadorata o di un altro, tra dichiarazioni fatte con ostentazione su persecuzioni politiche da una parte e di fiducia nella giustizia (seppur lenta) dall’altra.

Ma oltre alle fanfare di Samaràs, di Dendias e dei neonazisti, evidentemente Alba Dorata forse era “utile” alle elites politiche ed economiche del posto, ed è per questo che il governo – e la Giustizia- chiudevano un occhio su così tante aggressioni – almeno due delle quali omicide – contro i migranti ma anche contro i sindacalisti greci, tra l’altro anche per i seguenti motivi:
prima di tutto perché l’attività e l’ascesa di Alba Dorata faceva comodo al sistema politico-economico. Non dimentichiamo che la società greca, in piena alla crisi economica, politica e sociale, aveva appena dato vita a un movimento con una dinamica senza precedenti, quella della Piazza, che mise in dubbio in teoria ma anche nella pratica il sistema politico della democrazia parlamentare rappresentativa nel suo insieme, ma anche dei partiti politici che la compongono. Inoltre in quello specifico periodo, e durante ma anche dopo il movimento delle Piazze, sono stati creati in Grecia una serie di movimenti e di iniziative contro le politiche neoliberaliste e dei memoranda dei governi greci, politiche che hanno contribuito all’ascesa elettorale del partito neonazista. E a cosa “serviva” Alba Dorata, vi chiederete…Ovviamente a distrarre o almeno a indebolire il movimento, visto che gran parte di esso avrebbe comunque dovuto spendere.

Inoltre Alba Dorata serviva allo status quo politico e finanziario come uno “spauracchio”. Mentre essa agiva con la tolleranza – se non con la copertura – del governo, migranti, omosessuali, sindacalisti, attivisti, ma anche alcuni intellettuali, sapevano che forse avrebbero avuto a che fare con neonazisti palestrati, nel caso in cui avessero alzato la testa contro i piani neoliberali della elite politica e economica del luogo. E molte volte è meglio non rischiare…
Ma perché dunque, se Alba Dorata era “utile”, governo e giustizia hanno deciso di

Prima di tutto perché ha passato “la linea rossa”: ha assassinato a sangue freddo un greco (e non un migrante questa volta), e il governo non ha più potuto chiudere un occhio sulle loro attività. E poi perché con l’ascesa elettorale di Syriza nei sondaggi il governo si era reso conto che per rimanere al potere gli sarebbero serviti voti che fino a quel momento erano di Alba Dorata. E dove sarebbero andati a finire questi voti? Forse allo spazio politico più vicino ad Alba Dorata, l'”ala di estrema destra” di Nea Dimokratia, come fino a quel momento avevano, in modo indiretto ma ovvio, insinuato i collaboratori più stretti del primo ministro.

E Pavlos? Dov’è Pavlos in tutto questo? Per il governo e la giustizia purtroppo da nessuna parte… A seconda degli sviluppi politici e della fluttazione dell’ “intenzione di voto” nei sondaggi, il caso dell’omicidio di Pavlos ritorna o sparisce, ovviamente per ottenere vantaggi politici.

Durante un nostro recente concerto all’estero abbiamo visto su un muro un manifesto di Pavlos su cui era scritto “Pavlos vive”. Purtroppo Pavlos non vive più. Quel che vive e non muore è la sua memoria, per i suoi amici, la sua famiglia e le persone che hanno avuto la fortuna di conoscerlo di persona o attraverso le sue canzoni. E non dimenticheremo Pavlos. Come non ci dimenticheremo del fatto che se il governo e la giustizia non fossero stati così ingiustificatamente e inspiegabilmente in ritardo (e tolleranti) nei confronti delle attività criminali di Alba Dorata, Pavlos forse sarebbe oggi ancora vivo. Come Sehzad Luqman.

E le domande restano. Implacabili e insistenti. E aspettano una risposta.

* I “Social Waste” sono un gruppo hip hop. Hanno collaborato nel gruppo di produzione Freestyle Productions con Pavlos Fyssas – Killah P, con cui hanno fatto delle canzoni, dei concerti e con cui erano amici.

Traduzione di AteneCalling.org
[http://www.hitandrun.gr/social-waste-grafoun-aformi-tin-dolofonia-tou-pavlou-fissa/]

Tratto da https://www.facebook.com/251665391622521/photos/a.322971424491917.1073741825.251665391622521/575276065928117/?type=1

UCRAINA: Altro che “compagni”. La Repubblica di Donetsk e l’ombra nera di Aleksandr Dugin

Posted 13 agosto 2014
di Jacopo Custodi

Aleksandr Dugin e il leader di Jobbik, il partito neofascista ungherese.

La Repubblica Popolare di Donetsk è stata fondata il 7 aprile 2014 dai separatisti ucraini filo-russi in lotta contro il governo centrale di Kiev ed è oggi la loro principale roccaforte; insieme alla vicina Repubblica Popolare di Lugansk forma la Repubblica Federale di Nuova Russia (Novorossiya), stato che non è riconosciuto internazionalmente.

I separatisti sono stati identificati più volte da vari esponenti (non solo italiani) di sinistra come dei “partigiani”, degli “antifascisti”, in lotta contro il governo di destra di Kiev.

L’ideologia politica che sta alla base della Repubblica di Donetsk è però molto lontana da questa descrizione, ad esempio l’attuale Governatore del Popolo della Repubblica Popolare di Donetsk, Pavel Gubarev, ha iniziato la sua carriera politica nell’organizzazione neonazista “Unione Nazionale Russa” e non sembra affatto aver abbandonato la sua anima neofascista. Al congresso del nuovo partito da lui fondato il 14 maggio, Nuova Russia, con l’obiettivo di rappresentare l’anima politica delle Repubbliche Popolari, erano presenti come relatori lo scrittore russo “nazi-stalinista” Alexander Prokhanov e il filosofo dell’estrema destra Alexander Dugin.

Prokhanov è editore di “Zavtra”, un giornale della destra imperialista russa, e nel 1999 invitò David Duke, leader del Ku-Klux-Klan a visitare la Federazione Russa. Oltre ad essere vicino al governatore Pavel Gubarev, Prokhanov ha avuto ottime parole anche per il primo ministro della Repubblica Popolare di Donetsk Alexander Borodai, definendolo un “vero nazionalista russo bianco”. I due si conoscevano da tempo: Borodai, che è un cittadino russo, fino all’inverno scorso scriveva su “Zavtra”.

Nella stessa rivista scriveva anche Igor Strelkov, l’attuale Comandante della Milizia Popolare del Donbass (l’esercito di Donetsk), un soldato russo che aveva precedentemente combattuto in Transnistria, Bosnia e Cecenia e che ha alle spalle una militanza in organizzazioni monarchiche.

Ma rapporti ancora più stretti esistono tra la Repubblica Popolare di Donetsk e Aleksandr Dugin, anch’esso presente al congresso fondativo del partito Nuova Russia e vicinissimo agli attuali leader di Donetsk fin da prima dello scoppio del conflitto. I suoi articoli vengono pubblicati frequentemente sul sito del partito, che lo considera il suo punto di riferimento ideologico.

Dugin, che è stato di recente in Italia invitato ad una conferenza organizzata da una associazione legata alla Lega Nord, fu uno dei fondatori del Partito Nazional-Bolscevico (quello con la bandiera nazista e la falce e il martello neri al posto della svastica) ma se ne staccò poi da destra, accusando l’altro fondatore, Eduard Limonov, di essere troppo filo-occidentale. In un suo famoso articolo del 1997 dal titolo “Fascismo immenso e rosso”, Dugin sosteneva la necessità per la Russia di “un fascismo originale, reale, radicalmente rivoluzionario”. Oggi ritiene che la Russia dovrebbe tornare ad avere una politica più marcatamente imperialista.

Sono stati tracciati brevemente i profili dei leader più importanti, ovvero il Governatore del Popolo, il Primo Ministro e il Capo dell’esercito, e dei loro riferimenti politici, ma la lista potrebbe continuare, citando ad esempio Aleksandr Matyushin, che fu in prima fila durante le occupazioni degli edifici pubblici di Dontsek allo scoppio del conflitto e oggi gestisce i rapporti della Repubblica Popolare con la Russia e la Bielorussia, grazie ai suoi rapporti di lunga data con Dugin. Durante un comizio pubblico disse ai manifestanti:

“In Europa c’è la sodomia, ci sono matrimoni tra persone dello stesso sesso, c’è una piena degradazione della società. L’Europa sta arretrando di fronte all’Islam e nel continente il nome più diffuso tra i neonati è Mohamed. [Gli europei] si preoccupano troppo dei diritti umani e hanno paura di offendere qualcuno. Per questo gli islamici si fanno sempre più arroganti. Anche da noi sarà così. L’Europa ci cancellerà, rischiamo di essere invasi dall’Islam, che si sta già sviluppando in Crimea. Io sono a favore del nazionalismo russo, e dell’amore per il mio popolo”.

Per quanto riguarda invece la Costituzione della Repubblica Popolare di Donetsk, adottata il 14 maggio 2014, è molto eloquente nel confermare i legami ideologici con l’estrema destra russa. L’articolo 31.3 vieta ogni possibile forma di unione “perversa” tra persone dello stesso sesso, che verrà perseguitata. L’articolo 9.2 dichiara che la fede ortodossa professata dalla Chiesa Ortodossa Russa (Patriarcato di Mosca) è la religione di stato. L’articolo 6.5 dichiara che tutte le autorità politiche della Repubblica dovranno rispettare i valori tradizionali religiosi, sociali e culturali del “Mondo Russo”. Gli articoli 3 e 12.2 sanciscono il diritto alla vita fin dal momento del concepimento, implicando in tale modo il divieto all’aborto.

Comprendere il carattere reazionario e neofascista delle Repubbliche Popolari non significa negare lo spostamento a destra del governo di Kiev, né i suoi legami coi movimenti neofascisti ucraini. Significa invece comprendere – per citare un gruppo ucraino di sinistra – l’allarmante situazione che vede nazionalisti di estrema destra e spesso anche apertamente neonazisti presenti in entrambe le parti del conflitto. E’ questo, secondo loro, il fattore principale che ostacola una soluzione politica della crisi.

@JacopoCustodi

 

 

 

Fonte:

http://www.eastjournal.net/ucraina-altro-che-compagni-la-repubblica-di-donetsk-e-lombra-nera-di-aleksandr-dugin/46773

 

Il 12 agosto del ’44

Fu un massacro…

 

 

All’alba del 12 agosto, reparti di SS, in tutto alcune centinaia, in assetto di guerra, salirono a Sant’Anna da Vallecchia-Solaio, Ryosina, Mulina di Stazzema e Valdicastello, utilizzando queìali portatori alcuni uomini catturati precedentemente nella piana della Versilia.
Verso le sette il paese era ormai circondato. Gli abitanti non pensavano ad una strage, ma piuttosto ad una normale operazione di rastrellamento. Molti uomini infatti fuggirono, nascondendosi nei boschi.
Troppo tardi si accorsero delle reali intenzioni dei nazisti.

Così lo scrittore Manlio Cancogni narra gli avvenimenti di quella terribile giornata:

« I tedeschi, a Sant’Anna, condussero più di 140 esseri umani, strappati a viva forza dalle case, sulla piazza della chiesa. Li avevano presi quasi dai loro letti; erano mezzi vestiti, avevano le membra ancora intorpidite dal sonno; tutti pensavano che sarebbero stati allontanati da quei luoghi verso altri e guardavano i loro carnefici con meraviglia ma senza timore nè odio.

Li ammassarono prima contro la facciata della chiesa, poi li spinsero nel mezzo della piazza, una piazza non più lunga di venti metri e larga altrettanto una piazza di tenera erba, tra giovani piante di platani, chiusa tra due brevi muriccioli;
e quando puntarono le canne dei mitragliatori contro quei corpi li avevano tanto vicini che potevano leggere negli occhi esterrefatti delle vittime che cadevano sotto i colpi senza avere tempo nemmeno di gridare.

Breve è la giustizia dei mitragliatori; le mani dei carnefici avevano troppo presto finito e già fremevano d’impazienza. Così ammassarono sul mucchio dei corpi ancora tiepidi e forse ancora viventi, le panche della chiesa devastata, i materassi presi dalle case, e appiccarono loro fuoco.

E assistendo insoddisfatti alla consumazione dei corpi spingevano nel braciere altri uomini e donne che esanimi dal terrore erano condotti sul luogo, e che non offrivano alcuna resistenza.

Intanto le case sparse sulle alture, le povere case di montagna, costruite pietra su pietra, senza intonaco, senza armature, povere come la vita degli uomini che ci vivevano erano bloccate.

Gli abitanti erano spinti negli anditi, nelle stanze a pianterreno e ivi mitragliati e, prima che tutti fossero spirati, era dato fuoco alla casa; e le mura, i mobili, i cadaveri, i corpi vivi, le bestie nelle stalle, bruciavano in un’unica fiamma. Poi c’erano quelli che cercavano di fuggire correndo fra i campi, e quelli colpivano a volo con le raffiche delle mitragliatrici, abbattendoli quando con grido d’angoscia di suprema speranza erano già sul limitare del bosco che li avrebbe salvati.

Poi c’erano i bambini, i teneri corpi dei bimbi a eccitare quella libidine pazza di distruzione. Fracassavano loro il capo con il calcio della «pistol-machine », e infilato loro nel ventre un bastone, li appiccicavano ai muri delle case. Sette ne presero e li misero nel forno preparato quella mattina per il pane e ivi li lasciarono cuocere a fuoco lento.
E non avevano ancora finito.

Scesero perciò il sentiero della valle ancora smaniosi di colpire, di distruggere, compiendo nuovi delitti fino a sera.

A mezzogiorno tutte le case del paese erano incendiate; i suoi abitanti fissi e gli sfollati erano stati tutti trucidati. Le vittime superano di gran lunga i cinquecento, ma il numero esatto non si potrà mai sapere.

“Alcuni scampati all’eccidio erano corsi in basso a portare la notizia agli abitanti della pianura raccolti in gran numero nella conca di Valdicastello. La notizia la portavano sui loro volti esterrefatti, nelle parole monche che erano appena capaci di pronunciare e dalle quali chi li incontrava capiva che qualcosa di terribile era accaduto pur senza immaginare le proporzioni. Della verità cominciarono invece a sospettare nelle prime ore del pomeriggio quando le prime squadre di assassini scendendo dalle alture di Sant’Anna, si annunciarono sull’imbocco della vallata a monte del paese.

Li sentivano venir giù precipitosi,accompagnati dal suono di organetti e di canzoni esaltate, e quel ch’è peggio dal rumore di nuovi spari, da nuove grida, che non convinti di aver ben speso quella giornata, i tedeschi la completavano uccidendo quanti incontravano sul sentiero della montagna.

Alcuni che al loro passaggio s’erano nascosti nelle antrosità della roccia vi furono bruciati dentro dal getto del lanciafiamme. Una donna che correva disperata portando in salvo la sua creatura, raggiunta che fu, le strapparono dalle braccia il prezioso fardello, lo scagliarono nella scarpata e lei stessa l’uccisero a colpi di rivoltella nel cranio. Molti altri furono raggiunti dalle raffiche di mitragliatori mentre fuggivano saltando per le balze della montagna, come capre selvatiche contro le quali si esercitava la bravura del cacciatore.

Quando i tedeschi raggiunsero Valdicastello cominciando a rastrellare gli abitanti, il paese era già stretto dall’angoscia; gli abitanti serrati nelle case e nascosti alla meglio; la strada deserta; tutti oppressi da un incubo di morte. Il passaggio dei tedeschi dal paese si chiuse con la discesa del buio sulla valle, dopodichè ottocento uomini erano stati strappati dalle case e condotti via, e un’ultima raffica di mitragliatrice accompagnata da un suono più sguaiato e atroce di organetto, aveva tolto la vita ad altri quattordici infelici, scelti a caso ».

 

Fonte:

http://www.santannadistazzema.org/sezioni/LA%20MEMORIA/pagine.asp?idn=282

 

10 agosto 1944: i quindici di piazzale Loreto

Domenica 10 Agosto 2014 05:06

10 agosto

 

È l’alba di giovedì 10 agosto 1944, quindici antifascisti detenuti nel carcere di San Vittore a Milano, vengono prelevati dalle proprie celle e caricati su un camion. Sono Umberto Fogagnolo, partigiano arrestato per aver affrontato un repubblichino durante un selvaggio pestaggio ad un operaio, Domenico Fiorani, socialista, Vitale Vertemati, collegamento tra varie bande partigiane, Giulio Casiraghi,tornato dal confino ed addetto alla ricezione dei messaggi da Londra, Tullio Galimberti,disertore e gappista, Eraldo Soncini,già ricercato dall’8 settembre ed infine catturato dalle SS, Andrea Esposito, partigiano garibaldino, Andrea Ragni, catturato durante un’operazione per recuperare armi, Libero Temolo, sappista, Emilio Mastrodomemico, comandante dei Gap, Salvatore Principato, di Giustizia e Libertà, Renzo del Riccio,antifascista scampato alla deportazione, Angelo Poletti, partigiano presso la Isotta Fraschini, Vittorio Gasparini, curatore di una radio trasmittente clandestina e Gian Antonio Bravin, gappista del III gruppo.

Alle sei e dieci del mattino i quindici antifascisti vengono fatti scendere in Piazzale Loreto, e vengono giustiziati da un plotone di esecuzione della legione autonoma Ettore Muti, corpo militare della Rsi, operante soprattutto tra il milanese ed il cuneese,tristemente famoso per la quantità e la ferocia di crimini e rastrellamenti perpetrati.
La strage di Piazzale Loreto viene compiuta come rappresaglia per un attentato compiuto tre giorni prima contro un camion tedesco, che era parcheggiato in Viale Abruzzi. Nell’attentato non era rimasto ucciso nessun soldato tedesco, ma avevano invece perso la vita sei cittadini milanesi.
Nonostante il bando di Kesserling preveda rappresaglie solo nel caso di morti tedeschi (in particolare prevede che vengano fucilati dieci italiani per ogni tedesco ucciso), il capitano delle SS Theodor Saevecke pretende la fucilazione di quindici antifascisti in seguito all’attentato del 7 agosto, e compila egli stesso la lista dei condannati a morte.

Dopo la fucilazione i cadaveri dei quindici antifascisti vengono lasciati sotto il sole per tutto il giorno. Un cartello con scritto “Assassini” è posto al loro fianco, e i fascisti della Ettore Muti rimangono a controllare che nessuno vi si avvicini, impedendo ai parenti di portare via i corpi, e continuando ad insultare i corpi. Solo in tarda serata, grazie alla mediazione del cardinale Schuster, i corpi vengono finalmente lasciati alle proprie famiglie.

Sui alcuni cadaveri verranno ritrovate, nascoste nelle tasche interne dei vestiti e vergate con scrittura incerta su minuscoli pezzi di carta, lettere ai familiari e ai compagni, scritte pochi momenti prima della fucilazione.
Il mio ultimo pensiero è per voi, W Italia“, Umberto Fogagnolo10 agosto 2
Pochi istanti prima di morire a voi tutti gli ultimi palpiti del mio cuore. W l’Italia“, Domenico Fiorani
Il mio pensiero alla mia cara moglie e ai miei cari figli, il mio corpo alla mia fede“, Giulio Casiraghi
Siamo a San Vittore ci mandano in Germania forse per me è finita, ma voi dovete continuare la lotta anche per il vostro paparino che vi bacia bacia bacia sempre tanto“, Eraldo Soncini
TEMOLO LIBERO coraggio e fede sempre fede ai miei adorati sposa e figlio e fratelli, coraggio coraggio ricordatevi che io vi ho sempre amato abbracci vostro Libero“, Libero Temolo

 

Ai quindici di Piazzale Loreto di Salvatore Quasimodo
Esposito, Fiorani, Fogagnolo,
Casiraghi, chi siete? Voi nomi, ombre?
Soncini, Principato, spente epigrafi,
voi, Del Riccio, Temolo, Vertemati,
Gasparini? Foglie d’un albero
di sangue, Galimberti, Ragni, voi,
Bravin, Mastrodomenico, Poletti?
O caro sangue nostro che non sporca
la terra, sangue che inizia la terra
nell’ora dei moschetti. Sulle spalle
le vostre piaghe di piombo ci umiliano :
troppo tempo passò. Ricade morte
da bocche funebri, chiedono morte
le bandiere straniere sulle porte
ancora delle vostre case. Temono
da voi la morte, credendosi vivi.
La nostra non è guardia di tristezza,
non è veglia di lacrime alle tombe:
la morte non dà ombra quando è vita.

 

 

Fonte.

http://www.infoaut.org/index.php/blog/storia-di-classe/item/2279-10-agosto-1944-i-quindici-di-piazzale-loreto