#Nonunadimeno. Quando una manifestazione di 200mila persone non fa notizia

nonunadimeno

Sabato 26 novembre a Roma c’è stata una bellissima manifestazione: 200mila persone hanno sfilato per la capitale per dire no alla violenza di genere. Tante, tantissime donne, di tutte le età. Tanti uomini, tanti bambini, tante persone queer (in barba alle posizioni incomprensibili di certe femministe). Insomma, tanta bella gente. Eppure, telegiornali e stampa hanno quasi del tutto ignorato quello che è successo.

Il TgUno, che appena il 25 novembre condannava la violenza sulle donne, ieri sera ha intervistato solo la Ministra Boschi e poi, come per caso, è stata data la notizia che migliaia di donne avevano sfilato a Roma per dire no alla violenza. RaiDue ha mostrato un papà con un bambino sullo sfondo del Colosseo e della manifestazione, sembrava una festa per famiglie. La7 non si è accorta di niente. – Dal sito Non una di meno.

Certo, sabato è morto Fidel Castro. Certo, siamo nel pieno della campagna referendaria, ed è meglio dare spazio alla manifestazione a Roma dei 5Stelle (ovviamente Virginia Raggi ha preferito essere insieme al suo partito), è meglio dare voce alle esternazioni della Ministro Boschi, che dedicare un servizio alla manifestazione. Ma perché?

Quando una donna viene uccisa dal compagno, “meglio” se fra le vittime ci sono anche i figli o se viene compiuto un atto efferato (tipo bruciarla in macchina), i tg ne parlano a gran voce. I programmi del pomeriggio si riempiono di opinionisti, più o meno qualificati, che cercano di “spiegare” il perché di certi orribili fatti di cronaca. Ma quando le donne, insieme agli uomini, alzano la testa e dicono no, beh, allora nemmeno una parola.

C’è qualcosa di profondamente perverso in questo meccanismo. Lo stesso che ha portato i signori (e le signore) della televisione di Stato a realizzare l’orrido spot contro la violenza di genere. Non c’è scampo, a noi donne è concesso solo un ineluttabile destino: essere vittime. In effetti, un omicidio efferato è una notizia di cronaca che fa indignare le persone, genera una curiosità spesso morbosa. Una manifestazione che vuole risolvere le cose, invece, non è mediaticamente “interessante”. Non porta spettatori, lettori, utenti. La si può tranquillamente ignorare.

Ed ecco che si genera il circolo vizioso. La retorica da una parte, l’indifferenza dall’altra, avallano l’idea che alla violenza non si possa reagire, che l’unico spazio concesso alle donne sia quello dell’umiliazione, delle vessazioni, del capo chinato. Non è così. E non lo dimostra solo la manifestazione di sabato. Ma lo dimostrano tutte le donne che hanno saputo dire no, tutte le donne che si sono ribellate. Donne delle quali quasi mai nessuno parla. Perché fa più “gola” un cadavere, o un viso sfregiato, che una donna libera.

 

 

Fonte:

http://www.lezpop.it/non-una-di-meno-quando-una-manifestazione-di-200mila-persone-non-fa-notizia/

Catania, un medico obiettore ha ucciso una donna?

 

«Finché è vivo io non intervengo», così un medico obiettore avrebbe lasciato crerpare una donna ricoverata a Catania. E’ femminicidio, in nome di un dio crudele. Il 26 novembre la marcia delle donne a Roma

di Ercole Olmi

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Si sarebbe rifiutato di estrarre il feto che aveva gravi difficoltà respiratorie fino a quando fosse rimasto vivo perché obiettore di coscienza. Lo dichiara uno dei medici che, a Catania, ha assistito la 32enne morta in un’ospedale, assieme ai due gemelli che aspettava, secondo quanto ricostruito dai familiari della donna e contenuto nella denuncia presentata alla Procura dal loro legale, l’avvocato Salvatore Catania Milluzzo. «La signora al quinto mese di gravidanza – sostiene il penalista – era stata ricoverata il 29 settembre per una dilatazione dell’utero anticipata. Per 15 giorni va tutto bene. Dal 15 ottobre mattina la situazione precipita. Ha la febbre alta che è curata con antipiretico. Ha dei collassi e dolori lancinanti. Lei ha la temperatura corporea a 34 gradi e la pressione arteriosa bassa. Dai controlli emerge che uno dei feti respira male e che bisognerebbe intervenire, ma il medico di turno, mi dicono i familiari presenti, si sarebbe rifiutato perché obiettore: “fino a che è vivo io non intervengo”, avrebbe detto loro». E’ un caso di femminicidio, di uomini che odiano le donne in un Paese talmente deteriorato che, oltre a inventarsi il fertility day, smantella il welfare, chiude i centri antiviolenza e intasa il servizio sanitario nazionale di medici obiettori che mettono a rischio la vita delle donne oltre a compromettere il diritto alla salute e all’autodeterminazione. Gli obiettori sono dei serial killer invasati? Certo che è un curioso e grottesco rispetto della vita che li fa agire.

Tutto ciò in una giornata già insanguinata dall’uccisione a Napoli di Stefania Formicola, 28 anni, madre di due bimbi di 4 e un anno e mezzo.  Un colpo al petto, in automobile. Sparato da Carmine D’Aponte, 33 anni, marito che non sopportava la separazione. Marito violento. Stefania non aveva mai denunciato queste violenze, «perché aveva paura che succedesse quanto successo, aveva paura che lui diventasse ancora più violento», dice la madre. Una denuncia, agli atti, c’è, confermano i carabinieri di Giugliano che indagano: a presentarla è stata l’omicida a carico del suocero con l’accusa di essere lui vittima di minacce.
Dall’inizio dell’anno sono oltre settanta le donne uccise in Italia dal partner o ex partner, 157 da gennaio 2015, 1742 negli ultimi dieci anni, stando ai dati del Telefono Rosa. Ma mentre in Italia aumenta tragicamente il numero dei femminicidi, mentre il senatore Grasso, la ministra Boschi e tutte le istituzioni nazionali e locali s’indignano, diversi centri antiviolenza sono stati chiusi e molti altri sono a rischio chiusura per mancanza di fondi.
Per dare voce alle donne vittime di femminicidio e a tutte le altre calcolate in 9 milioni che subiscono violenza tra le mura domestiche, la rete romana IoDecido, l’UDI, e l’associazione Donne in Rete contro la Violenza (DIRE) che rappresenta 75 centri antiviolenza su tutto il territorio nazionale, hanno lanciato un appello che segna la mappa di un percorso che dovrebbe portare ad una manifestazione nazionale a Roma il prossimo 26 novembre e il giorno dopo a un convengo sul tema della violenza di genere, perché la giornata internazionale contro la violenza alle donne non resti solo una mera celebrazione sulla Carta dell’ONU.
“Ni una menos! Non una di meno”, inizia così l’appello che riprende lo slogan delle battaglie delle donne latinoamericane, perché se la violenza di genere non ha confini anche la guerra contro deve internazionalizzarsi. Il 26 novembre un corteo attraverserà le strade della capitale e il giorno dopo sarà dedicato “all’approfondimento e alla definizione di un percorso comune che porti a politiche più efficaci e alla revisione del Piano straordinario nazionale antiviolenza”. Per info e adesioni: [email protected] Testo integrale dell’appello sulla pagina Fb “Io Decido”

 

Fonte:

http://popoffquotidiano.it/2016/10/19/catania-un-medico-obiettore-ha-ucciso-una-donna/

 

Qui i link  con le notizie sulle vicende sopra riportate:

http://palermo.repubblica.it/cronaca/2016/10/19/news/catania_donna_incinta_muore_con_i_due_gemellini_procura_apre_inchiesta-150113267/

http://www.napolitoday.it/cronaca/omicidio-stefania-formicola-madre-commento.html

 

Cantiamo della libertà delle donne, non della loro morte

Wed, 19/10/2016 – 17:11
di

Femminist* di Ri-Make

Eri stata avvertita ricordi quegli scleri / Io te lo avevo detto avevo dei problemi seri / E ora hai paura perché tutti quei brutti pensieri / Da qualche giorno hanno iniziato a diventare veri / E adesso guido verso casa tua che vivi a Monza / Pieno di cattive idee dettate da un sbronza / Volevo abbassare le armi ora dovrò spararti / Non mi dire di calmarmi è tardi stronza / Fanculo il senso di colpa non ci saranno sbocchi / Voglio vedere la vita fuggire dai tuoi occhi / Io c’ho provato e tu mi hai detto no / E ora con quella tua testa ti ci strozzerò

Queste sono le parole con cui si conclude il brano Tre messaggi in segreteria di Emis Killa, presente all’interno dell’album che verrà presentato oggi, 19 ottobre, a San Babila, Milano.
Il rapper ha affermato di aver scritto questo brano con lo scopo di sollevare l’attenzione pubblica sul tema della violenza sulle donne. Tuttavia ci preoccupano le modalità con cui ha scelto di parlare di un argomento tanto delicato.

In Italia ogni tre giorni una donna viene uccisa e nell’ottanta per cento dei casi il colpevole del femminicidio è il suo partner. In Italia sono 6milioni e 788mila le donne che, nell’arco della loro vita, subiscono un abuso fisico e\o sessuale, il che significa una donna su tre. I dati Istat del 2015 non possono invece rilevare gli abusi non dichiarati, le violenze di genere non denunciate, e tutte quelle situazioni terrificanti che rimangono dietro la porta di casa. Non possono inoltre rivelare gli innumerevoli casi di donne maltrattate, abusate, violentate che faticano più d’altre a intraprendere un percorso di uscita dalla violenza.

L’argomento va toccato, va analizzato. In Italia – come ovunque – è necessario parlare di violenza sulle donne proprio per trovare meccanismi in grado di smontarla, di decostruirla e proprio per trovare strumenti con cui educare alla sua prevenzione. Quello che assolutamente non va, nel testo di Emis Killa, non è tanto la volontà di parlare di un argomento così rilevante, ma senz’altro il modo in cui il cantante ha scelto di farlo.

Perché parlarne in prima persona e soprattutto assumendo il punto di vista del femminicida?
Perché non ribaltare la narrazione suggerendo alle ascoltatrici e alle fan che dalla violenza si può uscire?

Immaginate per un attimo lo sgomento che si sarebbe generato se Emis Killa avesse invece voluto parlare non di violenza sulle donne ma di pedofilia: ve la immaginate una canzone in cui parla in prima persona del desiderio di abusare di un\una bambino/a? E vi immaginate invece se avesse scelto di parlare in prima persona della volontà di massacrare di botte un/una migrante? Vi immaginate se avesse voluto problematizzare col suo testo l’olocausto descrivendo in prima persona il desiderio di un nazista di uccidere un/una ebreo/a? Potremmo andare avanti all’infinito. Avremmo trovato accettabile una canzone così?

Quello che colpisce in questa storia non è soltanto il testo, grave e inquietante, ma anche il numero di tutte e tutti quelle/i che che sostengono che cantare di violenza sulle donne – in questi termini – sia accettabile mentre parlare di abusi su bambini/e non lo sia.

Interroghiamoci sui motivi che ci spingono a sottovalutare un brano che parla di femminicidio, a giustificarne uno che parla di violenza di genere e di stalking sostenendo che si tratti “solo di una canzone”. Domandiamoci come mai invece vengano aperte giuste polemiche nel momento in cui il soggetto oppresso, violentato, ucciso è un altro.
Quanto è inquietante inoltre immaginare il prossimo concerto di Emis Killa con migliaia di persone che all’unisono intonano la frase “preferisco saperti morta che con un altro”?

A noi fa venire i brividi, perché sappiamo che la violenza di genere è una questione seria, che ci tocca tutte da vicino, a cui tutte passiamo accanto almeno una volta nella vita – una, se siamo fortunate.
A noi fa venire i brividi perché sappiamo che non tutti/e hanno purtroppo gli strumenti per scindere una “semplice” canzone da un aperto suggerimento. Perché sappiamo che la violenza sulle donne è una questione di vita o di morte.

Oggi Emis Killa presenta il suo nuovo album e questa canzone.
Oggi in Argentina le donne di tutto un paese si sono fermate, scioperano dal lavoro o dallo studio e scendono per le strade al grido #NiUnaMenos perché scosse dall’ennesimo caso di femminicidio e di stupro, questa volta subito della quindicenne Luisa Perez.
Oggi a Milano contestiamo un testo che reputiamo violento.

Perché siamo stufe di essere le vittime, perché rivogliamo indietro la nostra indipendenza e le nostre vite, perché è di questa rabbia, di questa ribellione, di questa libertà che vogliamo cantare tutte assieme, e farci sentire sin dall’altra parte dell’oceano.

Il 26 novembre, a Roma, parteciperemo al corteo nazionale contro la violenza di genere: non accetteremo che la violenza sessista e machista porti via un’altra di noi e il nostro canto, non a caso, in quell’occasione sarà #NonUnaDiMeno.

Fermiamo la violenza sulle donne e chi la istiga.

 

 

Fonte:

http://www.communianet.org/gender/cantiamo-della-libert%C3%A0-delle-donne-non-della-loro-morte

Argentina, le donne scioperano contro la violenza di genere. #NiUnaMenos.

Dal blog di Bob Fabiani:

Oct 19

 

Una cinquantina di organizzazione che lottano contro la discriminazione e la violenza di genere hanno invitato le donne argentine a vestirsi di nero e ad abbandonare il loro posto di lavoro per un’ora (è accaduto tra le 13 e le 14 di oggi, 19 ottobre) in quello che è stato ribattezzato il #MiercolesNegro (mercoledì nero). 

La protesta è nata in seguito alla morte di Lucia Perez, sedicenne violentata e uccisa a Mar del Plata, nella notte tra l’8 e il 9 ottobre 2016. 

Nel pomeriggio di oggi, 19 ottobre è prevista anche un’imponente manifestazione di piazza a Buenos Aires. 
(Fonte.:lanacion;bbc)
Bob Fabiani
Link
-www.lanacion.com.ar/paro-de-mujeres-y-reclamo-en-el-obelisco;
-www.bbc.com/news/world-latin-america/argentine-women-to-strike-after-fatal-rape-of-teenager

Fonte:
http://bobfabiani.blogspot.it/2016/10/argentina-le-donne-scioperano-contro-la.html

Chi lo dice che la primavera comincia a marzo? IoDecidoDay, Assemblea pubblica del 22 settembre verso la grande manifestazione nazionale delle donne del 26 Novembre.

io-decido-sul-mio-corpoChi lo dice che la primavera comincia a marzo? Anche in questo le donne sono in grado di sovvertire e entrare in uno spazio con la performatività che contraddistingue ogni loro gesto politico. Il momento è adesso, in questo caldo autunno delle donne, lo spazio da “occupare” è quello solito, che ci vuole corpi asserviti ad uso e consumo di qualsiasi momento storico -politico.
E’ gesto politico l’Assemblea pubblica di domani 22 settembre alle 17,30 sotto la sede del Ministero della Salute, sarà il IoDecidoDay, l’io è quello delle donne, tutte, un io politico con diritto di scelta e di cittadinanza sul proprio sé. L’assemblea indetta domani dalla rete IoDecido-che prende il nome dal fenomeno argentino per sottolinearne la portata globale – non è la prima, già ci sono stati altri momenti d’incontro tematici, un vero percorso all’interno del quale ci si confronta ,si costruisce e ricostruisce, si guarda oltre. I temi al centro dell’appuntamento di domani saranno l’autodeterminazione dei corpi e delle scelte riproduttive, di sessualità libera e consapevole, di aborto e libertà di scelta, di contraccezione gratuita e prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili e delle gravidanze indesiderate. Non a caso proprio nel giorno del FertilityDay, cosa che dovrebbe risultare anacronistica e discriminatoria ma che invece diventa il cavallo di battaglia del Ministero della Salute, celebrazione propagandistica sul corpo delle donne.
Se non ci fosse un qualsiasi calendario a ricordarci l’anno in cui viviamo sembrerebbe di essere tornate indietro, al Ventennio fascista, quando le donne furono “adoperate” dal regime attraverso l’esaltazione della loro funzione materna, indispensabili alle esigenze dell’espansione imperialistica, la guerra e la politica totalitaria. Il filo conduttore è sempre lo stesso.
Il Ministero che oggi organizza il FertilityDay è lo stesso che non si preoccupa della prevenzione e dell’educazione sessuale e affettiva nelle scuole, che taglia i finanziamenti ai consultori pubblici, che non ha nessuna remora a dichiarare che “… i dati, sia a livello nazionale che disaggregati per ciascuna ASL, mostrano che il numero di non obiettori risulta congruo, anche a livello sub-regionale, rispetto alle Ivg effettuate, non tenendo conto delle numerosissime donne che non riescono ad accedere all’Ivg spesso facendo la spola da una regione all’altra. Come recita lo stesso comunicato delle rete IoDecido :” ..non è un caso che il FertilityDay venga organizzato a pochi mesi dal dibattito sull’approvazione delle unioni civili, sulla stepchild adoption e sulla gestazione per altri, con l’obiettivo di ribadire ulteriormente che non tutte le genitorialità hanno lo stesso valore per lo stato. I figli delle coppie eterosessuali italiane vengono dipinti come l’antidoto contro la crisi economica, ma anche contro l’invasione migrante e l’utilizzo della scienza come strumento per superare presunti limiti etici imposti dalla natura”
E’ lo stesso Ministero che esalta l’esperienza delle famiglie tradizionali dimenticandosi di dire che spesso all’interno di questa nicchia da romanzi rosa da bancarella (tanto si potrebbe dire anche sulla responsabilità pedagogica di tanta letteratura nel veicolare una irrealistica educazione sentimentale), si consumano le violenze domestiche più efferate e si compie quel reato, anch’esso politico, che è il femminicidio.
La rete IoDecido ragiona da anni sul fatto che la mancata libertà di scelta sui corpi e sui desideri sessuali e riproduttivi delle donne costituisce un’ennesima forma di violenza su di esse e sui soggetti lgbtqi, una violenza istituzionale, culturale e politica che non è più possibile tollerare. L’appuntamento di domani, come già detto, è all’interno di un più ampio percorso che ha l’obiettivo di produrre proposte e risultati concreti, passando da una grande manifestazione nazionale che si terrà a Roma il 26 Novembre contro la violenza sulle donne e contro la chiusura dei centri antiviolenza e prima dall’importante appuntamento dell’8 Ottobre, prima Assemblea Nazionale e momento preparatorio di un processo che vede le donne volte a riaffermare la propria autodeterminazione.
La prossima settimana verrà lanciata anche la Campagna Udi dal titolo: Adesso Basta!-L’Udi è tra le realtà aderenti insieme a D.i.re Donne in Rete Contro la violenza- all’Assemblea Nazionale del prossimo 8 Ottobre. Un anno di mobilitazione, è questa la nuova sfida lanciata dall’UDI – Unione donne in Italia- per mantenere vivo il dibattito sui diritti delle donne. Corpo e lavoro, i temi centrali della riflessione. Che si concentrerà sul diritto all’autodeterminazione e di cittadinanza nel lavoro, nella maternità, nella cultura, nell’educazione delle giovani generazioni, nella possibilità di rappresentarsi e di essere rappresentate in una campagna che durerà un anno intero.
L’autunno caldo delle donne è appena cominciato.

 

Fonte:

http://www.womenews.net/chi-lo-dice-che-la-primavera-comincia-a-marzo-iodecidoday-assemblea-pubblica-del-22-settembre-verso-la-grande-manifestazione-nazionale-delle-donne-del-26-novembre/

Non una di meno: per una grande manifestazione delle donne

Appello verso una manifestazione nazionale a Roma per sabato 26 novembre. In occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne del 25 novembre.

Un corteo che porti tutte noi a gridare la nostra rabbia e rivendicare la nostra voglia di autodeterminazione con lo slogan “”Ni una menos, non una di meno!”

Non accettiamo più che la violenza condannata a parole venga più che tollerata nei fatti. Non c’è nessuno stato d’eccezione o di emergenza: il femminicidio è solo l’estrema conseguenza della cultura che lo alimenta e lo giustifica. E’ una fenomenologia strutturale che come tale va affrontata. La libertà delle donne è sempre più sotto attacco, qualsiasi scelta è continuamente giudicata e ostacolata. All’aumento delle morti non corrisponde una presa di coscienza delle istituzioni e della società che anzi continua a colpevolizzarci. I media continuano a veicolare un immaginario femminile stereotipato: vittimismo e spettacolo, neanche una narrazione coerente con le vite reali delle donne. La politica ci strumentalizza senza che ci sia una concreta volontà di contrastare il problema: si riduce tutto a dibattiti spettacolari e trovate pubblicitarie.

Non c’è nessun piano programmatico adeguato. La formazione nelle scuole e nelle università sulle tematiche di genere è ignorata o fortemente ostacolata, solo qualche brandello accidentale di formazione è previsto per il personale socio-sanitario, le forze dell’ordine e la magistratura. Dai commissariati alle aule dei tribunali subiamo l’umiliazione di essere continuamente messe in discussione e di non essere credute, burocrazia e tempi d’attesa ci fanno pentire di aver denunciato, spesso ci uccidono. Dal lavoro alle scelte procreative si impone ancora la retorica della moglie e madre che sacrifica la sua intera vita per la famiglia.

Di fronte a questo scenario tutte siamo consapevoli che gli strumenti a disposizione del piano straordinario contro la violenza del governo, da subito criticato dalle femministe e dalle attiviste dei centri antiviolenza, si sono rivelati alla prova dei fatti troppo spesso disattesi e inefficaci se non proprio nocivi. In più parti del paese e da diversi gruppi di donne emerge da tempo la necessità di dar vita ad un cambiamento sostanziale di cui essere protagoniste e che si misuri sui diversi aspetti della violenza di genere per prevenirla e trovare vie d’uscita concrete. È giunto il momento di essere unite ed ambiziose e di mettere insieme tutte le nostre intelligenze e competenze. A Roma da alcuni mesi abbiamo iniziato a confrontarci individuando alcune macro aree – il piano legislativo, i CAV e i percorsi di autonomia, l’educazione alle differenze, la libertà di scelta e l’IVG – sappiamo che molte altre come noi hanno avviato percorsi di discussione che stanno concretizzandosi in mobilitazioni e dibattiti pubblici. Riteniamo necessario che tutta questa ricchezza trovi un momento di confronto nazionale che possa contribuire a darci i contenuti e le parole d’ordine per costruire una grande manifestazione nazionale il 26 novembre prossimo.

Proponiamo a tutte la data di sabato 8 ottobre per incontrarci in una assemblea nazionale a Roma, e quella del 26 novembre per la manifestazione.

Proponiamo anche che la giornata del 27 novembre sia dedicata all’approfondimento e alla definizione di un percorso comune che porti alla rapida revisione del Piano Straordinario Nazionale Anti Violenza.

Queste date quindi non sono l’obiettivo ma l’inizio di un percorso da fare tutte assieme.

Realtà Promotrici: Rete IoDecido, D.i.Re – Donne in Rete Contro la violenza, UDI – Unione Donne in Italia. Per info e adesioni: [email protected]

 

 

Fonte:

http://www.dinamopress.it/news/non-una-di-meno-verso-una-grande-manifestazione-delle-donne

 

 

Leggi anche qui:

http://www.corriere.it/cronache/speciali/2016/la-strage-delle-donne/

DONNE PALESTINESI, BALUARDO DI LOTTA E DIGNITA’

Woman-and-resilience-@Samar-Abu-Elouf

Baluardo di lotta e dignità, le donne palestinesi sono fonte di ispirazione per noi, donne e uomini che sognano un mondo migliore.

“Feminism is the radical notion that women are people” (Angela Davis, USA).

Le donne palestinesi affrontano una tripla oppressione : principalmente quella derivante dall’occupazione israeliana, ma anche quella generata dal patriarcato e in maniera rilevante anche l’oppressione dello sguardo occidentale che le confina al loro ruolo meramente domestico, negando quello che invece è lo spazio pubblico che nonostante tutto hanno tradizionalmente occupato. Le donne sono sempre state presenti in tutti i settori sociali : associazioni, lavoro, partiti politici, dimostrazioni, mercati ….

Il bisogno che l’attuale società patriarcale si evolva in un modello più giusto e paritario è un dato di fatto. Diventa quindi necessario ricorrere ad azioni che portino lontano dallo stile androcentrico e coloniale che ha sottovalutato e nascosto le donne nel corso della storia utilizzando stereotipi per mantenere la diseguaglianza tra donne e uomini.

Il progetto  ‘Women’s Boat to Gaza’ intende rendere visibili le donne Palestinesi, come persone attive nella storia da sempre, nella resistenza e nella lotta contro l’occupazione della Palestina.

Le donne palestinesi hanno sempre promosso e protetto il patrimonio culturale del proprio popolo. Sfidano il coprifuoco, il blocco e le pallottole. Organizzano servizi educativi e sanitari in villaggi e campi profughi. Costruiscono case per bambine e bambini orfani. Guidano il boicottaggio contro l’entità sionista. Organizzano marce e dimostrazioni per chiedere il rilascio dei parenti e amici dalle prigioni israeliane. Scendono in strada a protestare contro  la brutalità dell’occupazione militare israeliana e contro il blocco. Resistono contro le forze di occupazione e rifiutano di rimanere in silenzio.

Parliamo delle stesse donne palestinesi che seminano i campi e difendono la  propria terra. Sono migliaia, radicate alla propria terra malgrado l’oppressione. Sono tantissime donne che sognano di tornare in Palestina. Sono le infinite combattenti che non si fermano mai. Sono le nostre compagne di lotta e il simbolo della perseveranza. Sono le figlie della Palestina.

“Mi basta morire nella mia terra, essere sepolta in lei, sciogliermi e svanire in lei e poi venir fuori come un fiore con cui gioca un bimbo della mia terra. Mi basta rimanere nell’abbraccio della mia terra, rimanere in lei , come una manciata di polvere, un filo d’erba, un fiore” (Fadwa Tuqan, Palestine).

Per tutte queste e molte altre ragioni, noi, donne libere di tutto il mondo, partiremo per rompere il blocco di Gaza.

 

 

Fonte:

http://www.freedomflotilla.it/2016/07/25/donne-palestinesi-baluardo-di-lotta-e-dignita/

In ricordo di Berta Cáceres

In ricordo di Berta Cáceres

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Ospite di Radio Onda Rossa una compagna messicana per ricordare Berta Càceres, militante femminista uccisa in Honduras il 3 marzo 2016.

Fonte:

http://www.ondarossa.info/newsredazione/ricordo-berta-c-ceres

LA CULTURA DELLO STUPRO CONDANNA ALLA PAURA LE DONNE IN BRASILE

Aggiornamenti:

Da

ULTIM’ORA.
Pochi minuti fa a San Paolo: polizia militare reprime manifestazione contro il golpe indetta da MTST (Movimento Lavoratori Senza Tetto) e Povo Sem Medo, che hanno pacificamente occupato l’ufficio della presidenza della Repubblica, e si appresta ad affrontare anche la concomitante manifestazione delle donne contro la violenza e la cultura dello stupro. Nelle immagini, una giovane manifestante, rea di aver chiesto informazioni sul fermo di alcuni manifestanti è stata brutalmente aggredita dai poliziotti…
fonti video: https://www.facebook.com/midiaNINJA / https://www.facebook.com/BuzzFeedBrasil/

“Il Resto del Carlinho (Utopia)”
Il Brasile che NON vi raccontano.
Articoli, reportages, video e film raccolti in ordine sparso e tradotti in italiano
http://carlinhoutopia.wix.com/carlinhonews
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https://www.facebook.com/RestoDelCarlinhoUtopia

 

Fonte:

https://www.facebook.com/RestoDelCarlinhoUtopia/?fref=ts

Da

Pochi giorni dopo il caso di stupro collettivo di una minorenne di Rio che ha suscitato indignazione e polemiche in tutto il paese e portato in piazza decine di migliaia di donne è stata presentata ieri, 31 maggio, la nuova Segretaria per le politiche femminili del governo Temer. Si tratta di Fátima Pelaes (PMDB-AP), sociologa, evangelica, deputata federale del PMDB-AP per 20 anni, dal 1991 al 2011 e fermamente contraria alla depenalizzazione dell’aborto, anche in seguito a un caso di stupro, che, nella vigente legislazione datata 1984, costituisce invece l’unica eccezione per la pratica abortiva legale. La neo-segretaria ha affermato che non “innalza mai bandiere contrarie ai valori biblici” come, appunto, l’aborto o la costituzione di famiglie omosessuali. Sulla questione della liberalizzazione dell’aborto la Pelaes ha avuto, in realtà, opinioni differenti fino al 2002, quando ha “conosciuto Gesù” ed è passata a dire che “il diritto di vivere deve essere riconosciuto a tutti”. Nel 2010, in un suo intervento alla Camera, la Pelaes raccontò che lei stessa era stata generata a partire da un “abuso” che sua madre aveva subito mentre si trovava detenuta per un “crimine passionale”.
“Per questo oggi sono qui a dirvi che la vita comincia nel momento del concepimento”, affermò, riferendosi al fatto che se sua madre avesse abortito non si sarebbe trovata lì in quel momento. Riguardo all’aver mutato di opinione nel merito, ha affermato di essere stata “curata”.
fonte: http://brasil.estadao.com.br/…/geral,nova-secretaria-de-mul…

“Il Resto del Carlinho (Utopia)”
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foto di Il Resto del Carlinho - Utopia.

Fonte:

https://www.facebook.com/RestoDelCarlinhoUtopia/photos/a.538129989619778.1073741829.537079876391456/808581955907912/?type=3&theater

26.05.16

La cultura dello stupro che condanna alla paura le donne in Brasile

 

Secondo una ricerca dell’istituto di statstica Datafolha, il 90% delle Brasiliane dicono di temere di essere violentate. Sui social network, le reazioni al caso dell’adolescente carioca ripropongono meccanismi di colpevolizzazione della la vittima

di Camila Moraes, pubblicato su El Pais il 26.05.16

Disegno di Ribs

La ragazza carioca le cui immagini di violenza sessuale sono state condivise su Internet ha ricevuto solidarietà sui social network, ma non solo. Molti suoi falsi profili sono stati creati, con post che risaltavano il suo presunto “cattivo comportamento”, circostanze e attenuanti che avrebbero reso quasi inevitabile il tragico esito. Mentre ancora sono in corso le indagini sull’accaduto, gli esperti avvertono che la pratica non è isolata. Fa parte della cultura dello stupro che fa si che le donne aggredite si sentano colpevoli e non rinuncino a denunciare i crimini, contribuendo così all’impunità dei responsabili delle violenze.

Il problema non è di poco conto, perché, secondo il Forum Brasiliano di Sicurezza pubblica è uno dei fattori dell’elevato tasso di sottostima dei casi di stupro. L’organizzazione stima che solo il 30% – 35% dei casi siano registrati. Contando solo gli episodi denunciati, in Brasile un caso di stupro avviene ogni 11 minuti. Secondo i risultati di una ricerca che il Forum ha realizzato lo scorso anno, in collaborazione con l’Istituto di Statistica Datafolha, il 90% delle donne e il 42% degli uomini hanno detto di temere una violenza sessuale. A Rio de Janeiro – dove ora si sta indagando sul caso della ragazza di 16 anni grazie al fatto che è stato condiviso sui social network – circa 4.000 casi si sono verificati lo scorso anno, e quasi la metà di essi hanno coinvolto ragazze minori di 13 anni, secondo un studio della Segreteria di Sicurezza dello Stato, il “Dossier Donna”.

Il termine cultura dello stupro” deriva da “rap culture” ed è stato coniato dalle femministe degli Stati Uniti negli anni ’70.  In essa è inclusa la colpevolizzazione delle vittime da parte della società – donne che “se la sono andata a cercare”, indossando abiti corti e scollati, frequentando cattive compagnie e consumando bevande alcoliche in feste alle quali non avrebbero dovuto partecipare se fossero “brave ragazze di famiglia”.

È presente nelle leggi, nel linguaggio, in immagini commerciali ed in una serie di fenomeni. Ha scritto, per esempio, il cantante Lobão (ndt. noto per le sue posizioni reazionarie) sul proprio profilo di Twitter: “Non c’è da sorprendersi con questi sfortunati casi di stupro. In un paese che fabbrica “miniputas” (mini-puttane), con una ricca sessualizzazione precoce e con una grave infantilizzazione della popolazione, riducendo le responsabilità”.

Al quotidiano Globo, la difensore pubblico Arlanza Rebello ha osservato, citando Jair Bolsonaro, che persino i politici brasiliani riproducono il discorso secondo cui molte donne hanno chiesto di essere violentate:  “È un contesto molto grave di conservatorismo e banalizzazione”.

Il presidente dell’Associazione brasiliana di Neurologia e Psichiatria Infantile a Rio de Janeiro, ha detto al giornale che “i ragazzi finiscono per commettere il reato sapendo che gli altri lo hanno praticato impunemente, per una questione di autoaffermazione.”

E la sociologa Andréia Soares Pinto, coordinatrice del Dossier Donne, ha fatto appello alla società durante l’intervista rilasciata al canale GloboNews: “Abbiamo bisogno di incoraggiare le donne a ridurre la sottostima dei casi di stupro. Questi numeri ci aiutano a fare pressione e ci permettono di far avanzare politiche pubbliche per combattere il problema.”

Almeno altri due casi di stupri di gruppo hanno avuto luogo nella stessa settimana – con ripercussione sulla stampa – in altri luoghi del paese.

A Bom Jesus, un piccolo paese nell’interno dello stato del Piauí, una giovane di 17 anni è stata violentata il 20 maggio da cinque individui (solo uno dei quali maggiorenne) che, secondo le indagini, lei conosceva. Come nel caso della ragazza di Rio, la polizia ritiene che sia stata drogata con una sostanza immessa nella sua bevanda alcolica prima di subire la violenza da parte di persone a lei vicine. Lo stesso giorno, in una scuola statale a sud di San Paolo, una ragazza di 12 anni è stata violentata da tre adolescenti, studenti dello stesso istituto, che l’hanno chiusa in bagno e quindi violentata. Secondo la madre, la ragazza sarebbe stata sottoposta ad una profilassi anti-AIDS ed è ancora traumatizzata.

Lo stupro nella legislazione brasiliana

Nel 2009, la legge 12.015 del codice penale brasiliano è stata modificata ed è passata a considerare, oltre al rapporto sessuale, gli atti di libidine come reato di stupro. Circoscrivere un reato di  stupro è un processo spesso umiliante per le donne. Nel 2015, la Commissione di Costituzione e Giustizia e Cittadinanza della Camera dei Deputati ha approvato un disegno di legge che rende molto più difficile l’accesso alle cure mediche per le vittime di stupro. Il PL 5069 del 2013, prevede che, per essere assistite, le vittime di stupro dovranno passare prima da una stazione di polizia. Poi, dovrebbero sottoporsi ad un esame del corpo del delitto per poi, e solo allora, potersi recare in ospedale con i documenti necessari a comprovare che effettivamente sono state stuprate. Per essere ratificato, il progetto dovrà ancora essere votato dall’assemlea plenaria della Camera. Contro questa realtà, le donne brasiliane sono scese in piazza lo scorso anno, in numerosissime manifestazioni di protesta in tutto il paese, momenti di lotta che sono diventati noti come la Primavera Femminista.

Fonte:

http://carlinhoutopia.wix.com/carlinhonews#!la-cultura-dello-stupro-che-condanna-all/c1a0w

LA TORTURA SESSUALE IN TURCHIA E’ UN CRIMINE DI GUERRA

La tortura sessuale della Turchia sono un crimine di guerra

L’Avvocata İpek Bozkurt dice che il recente uso della tortura sessuale contro le donne nell’escalation di guerra in Turchia costituisce un crimine di guerra.

La guerra si sta intensificando nel Kurdistan settentrionale (in Turchia), lo stato turco utilizza tattiche che riecheggiano la guerra sporca del anni 1990. I soldati hanno evacuato i villaggi. La polizia ha arrestato i politici kurdi. È stato dichiarato il coprifuoco in molti settori.

Un’altra tattica che riecheggia gli effetti psicologici del 1990 è il crescente attacco contro le donne. La polizia e soldati hanno più volte trattato le donne come oggetto sessuale per demoralizzarle e degradarle nella strategia di guerra.

Il 10 agosto la guerrigliera curda Kevser Eltürk (nome di battaglia Ekin Wan) ha bloccato una strada vicino alla città curda di Varto. La polizia ha torturato Ekin fino alla morte, la ha trascinata sul terreno e ha fatto circolare una foto con il suo corpo nudo. Il 23 agosto la polizia ha arrestato Figen Şahin di 25 anni nella città di Adana, dopo che un quartiere prevalentemente curdo ha dichiarato l’autogoverno. La polizia l’ha torturata con abusi sessuali e minacciata di condividere le fotografie del suo corpo nudo.

İpek Bozkurt è un avvocata attivista della piattaforma turca Donne contro gli omicidi, che lavora contro il femminicidio e la violenza sulle donne. Ha detto che nella recente guerra, lo Stato sta usando il corpo delle donne come un campo di battaglia.

“Con gli anfibi ai piedi e la loro postura quelli che l’hanno uccisa stanno in realtà cercando di mostrare – esponendo il corpo di una guerrigliera – che la considerano un oggetto sessuale, senza onore “
İpek ha dichiarato che l’esposizione del corpo nudo di Ekin Wan come oggetto sessuale costituisce un crimine di guerra ai sensi della Convenzione di Ginevra.

E’ un comportamento incompatibile con il rispetto della dignità umana e i principi della Convenzione di Ginevra. Ha fatto notare che la convenzione riconosce lo stupro e il maltrattamento delle donne come crimini di guerra.

İpek ha detto inoltre che l’attivismo delle donne potrebbe svolgere un ruolo chiave nel processo di pace. “Negli ultimi quindici anni, il movimento delle donne ha fatto molti passi avanti in questo paese, credo che le donne possono svolgere un ruolo importante, unite nella richiesta di una politica rispettosa dei diritti umani senza più uccisioni.”

 

 

Fonte:

http://www.uikionlus.com/la-tortura-sessuale-della-turchia-sono-un-crimine-di-guerra/