AL-KHALIL, HEBRON, CISGIORDANIA: L’OMICIDIO DELLA RAGAZZA PALESTINESE E’ L’ENNESIMA ESECUZIONE EXTRAGIUDIZIARIA

28/9/2015

-1713612979Ramallah-Pic. Prove ottenute da Amnesty International indicano che l’omicidio della palestinese Hadil al-Hashlamoun, eseguito dalle forze d’occupazione israeliana ad al-Khalil, Hebron, nella Cisgiordania occupata, il 22 settembre 2015, è stato un’esecuzione extragiudiziale.
Secondo il rapporto di Amnesty International, i soldati israeliani hanno colpito e ferito letalmente la diciottenne dopo averla fermata al check-point nella Città Vecchia.
Foto del momento che ha portato alla sua morte e ai racconti di testimoni oculari intervistati da Amnesty International mostrano che Hadil non rappresentava in alcun momento una minaccia ai soldati a tal punto da permettere l’uso deliberato di forza letale.
Questo omicidio è l’ultimo di una lunga lista di uccisioni illegali eseguiti dalle forze d’occupazione israeliane in Cisgiordania, con un’impunità quasi totale, secondo quanto affermato da Amnesty.
Due testimoni oculari con i quali Amnesty ha parlato separatamente hanno affermato che al-Hashlamoun è arrivata al posto di blocco alle 7:40 del mattino circa, ed è stata fermata da due soldati d’occupazione, quindi le è stato ordinato di aprire il suo zaino perché venisse ispezionato. Lei era ferma, a circa tre metri dai soldati. Ha aperto il suo zaino e ne ha mostrato l’interno ai soldati, che hanno iniziato a spararle addosso e a quel punto lei si è immobilizzata, secondo i testimoni oculari.
 
Uno dei testimoni oculari, Fawaz Abu Aisheh, di 34 anni, ha dichiarato a Amnesty che i soldati israeliani stavano ordinando a al-Hashlamoun di “andare indietro” in ebraico, lingua che sembrava che lei non capisse.
D’accordo con Abu Aisheh, il soldato che le ha sparato per primo si è alzato e le si è avvicinato, fino ad arrivare a circa un metro dalla ragazza per poi spararle alla parte superiore del corpo per quattro o cinque volte di nuovo, mentre lei era a terra immobile.
Ha affermato che il soldato ha sparato alcune volte nonostante gli altri militari gli avessero gridato di fermarsi. Anche il primo testimone ha descritto il soldato avvicinandosi alla vittima per sparargli al petto.
Secondo l’organizzazione, la versione dei fatti raccontata da Israele contraddice le dichiarazioni rilasciate dai due testimoni oculari intervistati da Amnesty International e le foto dell’incidente che mostrano al-Hashlamoun ferma.
Colpirla diverse volte mentre giaceva al suolo ferita indica che il suo omicidio è un esecuzione extragiudiziale.
Omicidi illegali e intenzionali eseguiti per ordine del governo o di ufficiali militari o con la loro complicità o con il loro assenso, sono pari a esecuzioni extragiudiziali, sempre proibiti e che costituiscono crimine sotto le leggi internazionali, ha continuato l’articolo.
Un’esecuzione extragiudiziale rappresenta anche un omicidio intenzionale, costituendo una grave violazione della Quarta Convenzione di Ginevra, che si applica all’occupazione militare israeliana a lungo termine nei territori palestinesi, ed un crimine di guerra.
I residenti palestinesi di al-Khalil hanno sempre la loro libertà di movimento e il diritto economico severamente ridotti. In aggiunta, i palestinesi sono spesso soggetti a arresti arbitrari e a trattamenti umilianti da parte di funzionari dell’occupazione israeliana di stanza nella città, e sono spesso sottomessi alla violenza dei coloni, contro la quale la giustizia israeliana non investiga.
Traduzione di F.H.L.

© Agenzia stampa Infopal

Fonte “Agenzia stampa Infopal – www.infopal.it”

http://www.infopal.it/ai-lomicidio-israeliano-della-ragazza-palestinese-e-unesecuzione-extragiudiziaria/

RILASCIATO L’ATTIVISTA ITALIANO CHE HA FILMATO LE VIOLENZE DEI SOLDATI ISRAELIANI

 Lunedì 31 Agosto 2015 11:39

altNegli ultimi giorni hanno avuto grande diffusione le immagini di un militare israeliano che rincorre e immobilizza un ragazzino palestinese di 12 anni, con un braccio ingessato, scaraventandolo, strattonandolo e trattenendolo a terra con brutalità, tra le urla terrorizzate del bambino che rischia di essere soffocato dalla stretta attorno al collo del soldato. Solo grazie all’intervento di un gruppo di donne e di altri bambini il ragazzino viene infine liberato a fatica dalla presa e dalle violenze del militare.

La scena si è svolta lo scorso venerdì, 28 agosto, a Nabi Saleh, in Cisgiordania, durante una delle manifestazioni che si svolgono settimanalmente contro l’espansione delle colonie israeliane nella zona.

A riprendere la scena c’era Vittorio Fera, attivista italiano di 31 anni membro dell’International Solidarity Movement, che insieme ad altri stava prendendo parte alla manifestazione in Cisgiordania.

Quello che le sue riprese non mostrano, e che è emerso solo dopo qualche ora, è che dopo la liberazione del ragazzino palestinese i soldati israeliani si avventano sullo stesso Vittorio Fera che aveva ripreso quelle immagini. L’attivista viene immobilizzato e ammanettato per poi essere portato via in stato di arresto con l’accusa, infondata e pretestuosa, di aver lanciato pietre contro i militari.

Questa mattina, durante l’udienza di convalida del processo per direttissima, il Tribunale di Gerusalemme ha poi disposto il rilascio su cauzione di Vittorio Fera ma le indagini a suo carico proseguiranno fino all’8 di settembre.

Le immagini riprese dall’attivista in questi giorni hanno scatenato molta indignazione sul web, oltre che prevedibili polemiche, alimentate anche da qualche imbecille nostrano come Tommaso Giuntella, presidente del PD romano, che sul proprio account Twitter si mostra incapace di riconoscere il sopruso e lo squilibrio di potere che stanno nell’aggressione di un militare armato di tutto punto contro un bambino disarmato e per il quale il solo problema in quelle immagini sembra essere il fatto che il soldato israeliano fosse rimasto da solo. Il violento arresto a cui Fera è stato sottoposto con accuse inesistenti mostra tutta l’arroganza di Israele e la volontà di non far diffondere quelle immagini, che non rappresentano purtroppo un episodio isolato ma testimoniano di una realtà di violenze e soprusi che per la popolazione palestinese è quotidianità.

 

 

Fonte:

http://www.infoaut.org/index.php/blog/conflitti-globali/item/15328-rilasciato-lattivista-italiano-che-ha-filmato-le-violenze-dei-soldati-israeliani

CISGIORDANIA, ARRESTATO ATTIVISTA ITALIANO: FILMAVA AGGRESSIONE A BAMBINO PALESTINESE

È Vittorio Fera, 31 anni, del Movimento Internazionale di solidarietà. Il fatto durante la protesta degli abitanti di Nabi Saleh contro la costruzione di un insediamento israeliano

L’arresto di Vittorio Fera L’arresto di Vittorio Fera

Un attivista italiano è stato arrestato venerdì in Cisgiordania nel corso di una manifestazione in un villaggio palestinese. La notizia è stata diffusa dall’International Solidarity Movement, una ong di solidarietà con il popolo palestinese. È accaduto durante la protesta che, ogni settimana, gli abitanti di Nabi Saleh compiono contro la costruzione di un insediamento illegale israeliano nelle terre del villaggio. Secondo l’ong, il fermo di Vittorio Fera, 31 anni, è stato confermato dal Consolato generale italiano a Gerusalemme e, sempre l’ong, fa sapere che l’italiano ricomparirà dinanzi al giudice lunedì.

La manifestazione e il video

 

 

Il giovane è accusato, pare, di aver «lanciato pietre e attaccato i soldati» durante la manifestazione: «Un’affermazione priva di fondamento», sottolineano dalla Ong. «Vittorio stava filmando il violento attacco delle forze israeliane a un ragazzo palestinese, che veniva aggredito e soffocato da un soldato», l’episodio le cui violente scene sono state registrate e che ha fatto il giro del mondo. Il Consolato generale italiano a Gerusalemme, spiega la Farnesina, è informato del caso e sta raccogliendo tutte le informazioni necessarie.


© RIPRODUZIONE RISERVATA
Fonte:
http://www.corriere.it/esteri/15_agosto_30/israele-attivista-italiano-stato-arrestato-nabi-saleh-b6bb295a-4eed-11e5-ad01-b0aa98932a57.shtml

SOLIDARIETA’ A SHIP TO GAZA GREECE – IN SOLIDARIETY WITH SHIP TO GAZA GREECE

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In questo momento, mentre attendiamo i voli di rimpatrio forzato delle ultime persone sequestrate in acque internazionali dalla marina israeliana, il nostro pensiero va anche al grande sacrificio dei compagni di “Ship to Gaza Grecia”, campagna che, assieme a “Freedom Flotilla Italia” e alle altre della coalizione internazionale FFC, contribuisce alla missione Freedom Flotilla III. Queste persone hanno continuato a lavorare per il popolo palestinese di Gaza, nonostante la situazione di emergenza in cui versa il loro paese, negli ultimi anni, e in queste ultime settimane in particolare.

La Grecia è ora in prima linea nel difendere i diritti sociali alla base dell’Europa comunitaria, diritti che l’Europa della finanza vuole cancellare, incurante della crisi umanitaria che questo comporta.

Teniamo a far notare che l’attuale governo greco, nonostante la situazione sia ancora più difficile di quella del 2011, si è comportato onestamente, con dignità, non intervenendo per bloccare le imbarcazioni della Freedom Flotilla III, in partenza dai porti ellenici. Sembra ovvio che sia così, eppure il governo in carica nel 2011, in cerca di aiuti economici, si comportò in maniera opposta, emanando un decreto legge senza precedenti per fermare le imbarcazioni della Freedom Flotilla II, anche allora ancorate nei porti greci, in attesa di partire per Gaza.

In solidarietà

Freedom Flotilla Italia

Under the actual circumstances, while waiting for the return of last deported people, captured in international water by the Israeli Navy, our thoughts go also to the big efforts of the “Ship to Gaza Greece” campaign, that along with other campaigns in the international Freedom Flotilla Coalition, are contributing to the Freedom Flotilla III. Those Greek activists continued to work for the Palestinian people of Gaza, despite the emergency situation involving their country during the past years and particularly the past weeks.

Now Greece is front line defending the social rights that should be the grounds of the EU Community, whereas the actual Europe, led by financial market, is willing to cancel those rights, with no regard to the resulting humanitarian crisis.

We highlight the fact that the actual Greek Government, despite the current situation being even worst than in 2011, is acting honestly and with dignity towards Flotilla III boats, not having prevented them from departing from Greek ports. This may appear an odd statement. It is not, because the Greek Government in charge in 2011, probably seeking for economical help, choose to act differently issuing a Legislative Decree, unprecedented, thus preventing Freedom Flotilla II boats to Gaza from departing from Greek ports.

In solidarity

Freedom Flotilla Italia

 

Fonte:

http://www.freedomflotilla.it/2015/07/04/solidarieta-a-ship-to-gaza-greece-in-solidarity-with-ship-to-gaza-greece/

 

“NON MI PENTO E NON MI ARRENDO. LA FREEDOM FLOTILLA E’ RIUSCITA NEL SUO INTENTO”. INTERVISTA A BASEL GHATTAS, PARLAMENTARE KNESSET

Posted on 2 luglio 2015 by paola


1/7 Intervista di Ship to Gaza Svezia, traduzione :

Basel Ghattas
Per il Parlamentare Knesset Dr. Basel Ghattas, è vero che la Freedom Flotilla III non ha raggiunto Gaza, “ma è riuscita nella sua missione, ha raggiunto completamente il proprio obiettivo avendo mostrato a tutto il mondo come gli Israeliani non rispettano la legge internazionale”. Secondo Gattas, la Freedom Flotilla accende la luce sulla realtà dell’occupazione israeliana e di come questa trasformi Gaza in una prigione chiusa.
“Non mi arrendo, fatemi sapere quando ci sarà la prossima Freedom Flotilla e sarò il primo a partecipare, fa parte del mio dovere politico come Palestinese che vive in Israele” afferma.


– Dirottamento, violenza e minacce


Spiegando come gli Israeliani “hanno dirottato” l’imbarcazione Marianne, Ghattas racconta che circa 13 navi da guerra israeliane circondarono la barca dopo la mezzanotte di domenica.
“ Una delle navi da guerra aveva un elicottero militare sul ponte” aggiunge con enfasi.
Afferma che gli Israeliani hanno ordinato ai membri dell’equipaggio di tornare indietro da dove provenivano.
““Gaza è la nostra destinazione, non la cambiamo, “ è stata la risposta che hanno ricevuto dal capitano Joel . ”
Ghattas ha iniziato a negoziare con loro per circa un ora per evitare ogni scontro o violenza.
“Abbiamo detto loro chiaramente che stavano per dirottare l’imbarcazione, che la barca è svedese e attaccandola sarebbe stato come attaccare la Svezia stessa”
“Quello che state facendo è illegale, ci state aggredendo in acque internazionali.
Dopo un po’ i soldati israeliani si sono arrampicati sulla barca e ne hanno preso il controllo.
Hanno iniziato ad insultarci verbalmente a spingerci e ad attaccare gli attivisti svedesi usando persino i taser contro Charlie Andréasson, membro dell’equipaggio.
Poi hanno provato interrogarci. L’ex Presidente della Tunisia Moncef Marzouki ha rifiutato di rispondere dicendo : “Quello che state facendo è illegale e io mi trovo in acque internazionali quindi sotto la giurisdizione della legge internazionale e quindi da me non avrete una parola.””
Ha aggiunto che il capitano dell’imbarcazione è stato scaltro nello spegnere i motori appena IDF ha abbordato la nave, così hanno impiegato ore per rimetterla in moto e portare l’imbarcazione al porto di Ashdod.
Ghattas dice che sono arrivati prima del tramonto al porto, ma IDF ha continuato a girare intorno fino al buio e poi è entrato “ per far sì che i media non potessero vedere come avevano dirottato l’imbarcazione ”
“Non mi sono pentito di aver preso parte alla Freedom Flotilla, se avrò la possibilità, lo farò di nuovo” dichiara Ghattas con una nota di sfida.
“ Abbiamo bisogno di questo tipo di iniziative, abbiamo bisogno di più Freedom Flottiglie. Grazie alle Freedom Flottiglie accresciamo la consapevolezza dell’assedio di Gaza e spostiamo l’attenzione internazionale sui crimini di Israele” conclude.

 

Fonte:

http://www.freedomflotilla.it/2015/07/02/non-mi-pento-e-non-mi-arrendo-la-freedom-flotilla-e-riuscita-nel-suo-intento-intervista-a-basel-ghattas-parlamentare-knesset/

FF3: TRE RILASCIATI DOMANI, KEVORKOVA E TUTTI GLI ALTRI SVEDESI ANCORA TRATTENUTI

Posted on 1 luglio 2015 by paola
Comunicato stampa Ship to Gaza Svezia : 1/7/2015 20:18

 

equipaggio Marianne

L’avvocato israeliano di Ship to Gaza, Gabi Lasky, ci ha informato intorno alle 16 di oggi che altre tre persone sequestrate, quando il peschereccio Marianne è stato dirottato in acque internazionali, saranno deportati domani mattina presto.
Le tre persone sono il mozzo norvegese Herman Recksten e i due cittadini e attivisti canadesi Bob Lovelace e il macchinista Kevin Niesh. Sono già stati trasferiti dalla prigione di Givon in custodia all’aeroporto Ben Gurion.
Le persone che rimangono in prigione sono al momento la giornalista russa Nadya Kevorkova (RT-television) e i sei svedesi : il marinaio scelto Charlie Andreasson, il mozzo Gustav Bergström, la giornalista e scrittrice Kajsa Ekis Ekman, l’attivista e musicista Dror Feiler, il cuoco di bordo Jonas Kårlin e il capitano Joel Opperdoes.
comunicato stampa Ship to Gaza
I detenuti sono trattenuti in due sezioni diverse, Ekman e Kevorkova sono separate dagli altri.
Le autorità israeliane hanno già annunciato che queste persone saranno deportate in momenti diversi tra giovedì e venerdì.
Secondo Lasky gli attivisti si opporranno alla deportazione finchè non saranno deportati in gruppo.
In azioni precedenti gli attivisti avevano già preso posizioni simili perchè nessuno vuole lasciare indietro singoli o gruppi più piccoli, per salvaguardare la sicurezza degli ultimi rimasti.

 

 

LA EURODEPUTATA ANA MIRANDA: “UN UTILIZZO SPROPORZIONATOU DI FORZA NELL’ASSALTO ALLA MARIANNE”. DEPORTATO ANCHE L’EX PRESIDENTE TUNISINO

Posted on 30 giugno 2015 by michele borgia
La eurodeputata galiziana, che si trovava a bordo del peschereccio ‘Marianne’ in rotta verso Gaza, ha raccontato, al suo rientro a Madrid, le modalità con cui l’esercito israeliano ha abbordato la barca umanitaria della Freedom Flotilla.

MADRID// “Hanno usato una violenza smisurata, sproporzionata: scariche elettriche anche alle persone anziane presenti sul ponte di comando. Le picchiano: si sentono grida, urla di acuto terrore. Per un momento pensiamo che siano morti. Prendono il controllo del ponte di comando e trascinano i marinai dove si trova il resto dei passeggeri.”
E’ una parte del racconto dei fatti che l’eurodeputata del Blocco Nazionalista Gallego (BNG) Ana Miranda, ha riportato questo martedì (29.06.2015, ndt) al Congresso dei Deputati, riguardo l’assalto dell’Esercito israeliano alla ‘Marianne’.
La nave, che faceva parte della Freedom Flotilla, è stata intercettata all’alba di lunedì, quando era in acque internazionali, a più di 90 miglia marittime da Gaza.
L’illegittimità dell’abbordaggio è stato uno dei punti su cui si è concentrata Miranda, che ha parlato chiaramente di “sequestro”.
“Eravamo in acque internazionali, con regolare permesso di navigazione, su una barca battente bandiera europea, per la precisione svedese” ha spiegato. Due giorni prima dell’abbordaggio, si erano accorti di essere seguiti da tre imbarcazioni, prive di dati di identificazione. “Erano navi fantasma“, ha ribadito.
Mentre si avvicinavano, i soldati israeliani hanno contattato l’equipaggio della Marianne. “Vogliamo che ne usciate bene e che il carico arrivi a Gaza“, hanno detto, secondo il racconto di Miranda. Al che Joel, il capitano, ha rifiutato: “Non avete nessun diritto di interrompere il nostro percorso di viaggio.”
A quel punto è partito l’assalto. “In pochi minuti sono arrivati a bordo circa 40 soldati incappucciati, carichi di armi e in tenuta da guerra. Sono entrati a poppa, hanno preso il controllo del ponte di comando, infine sono venuti a prua, dove si trovavano attivisti e giornalisti” ha raccontato. “Ci tiravano, ci spingevano, mi sono caduti addosso dei compagni” ha aggiunto, mostrando un livido sul braccio. “Alcune persone sono state maggiormente colpite“, ha aggiunto. E’ la presa del ponte di comando il momento in cui i soldati si sono mostrati più aggressivi, arrivando ad aggredire con scariche elettriche il capitano Joel, e altri membri dell’equipaggio.
Tratti in arresto, sono stati trasferiti al porto di Ashdod; hanno tardato a entrare in porto perché, dice l’eurodeputata, nella zona era in corso una manifestazione in appoggio alla Flotilla.
Quando finalmente hanno attraccato, è stato confiscato loro tutto il materiale informatico, telefoni e altri oggetti personali. Sono stati costantemente trattati come persone pericolose, “custoditi da soldati incappucciati e armati pesantemente.“L’esercito israeliano si è tenuto la barca e tutto il carico.
Politici e giornalisti sono già stati liberati, ma i membri dell’equipaggio sono ancora incarcerati. “In questi giorni dobbiamo impegnarci affinché vengano liberati“, ha sostenuto.
A bordo c’era anche un giornalista israeliano. “Era rimasto sorpreso nel vedere com’era in realtà la barca, rispetto a ciò che era stato raccontato sulla stampa israeliana“, ha detto a Miranda, a cui ha anche confessato di avere “paura di rappresaglie“.

Ana Miranda
30 giugno 2015
14:29
Eduardo Muriel

articolo originale:

MARIANNE E’ STATA ABBORDATA DA ISRAELE: 18 PERSONE SEQUESTRATE NEL MEDITERRANEO

Qui un evento su come sostenere la Fredoom Flotilla III:https://www.facebook.com/events/1591658504454957/
Da https://twitter.com/freedomflotita :

  1. Marianne al porto militare di Ashdod dopo la cattura in acque internazionali.

    Collegamento permanente dell'immagine integrata

Da http://www.freedomflotilla.it/ :


18 persone sequestrate nel Mediterraneo. Dove sono le nostre istituzioni?

Un atto di pirateria ingiustificabile nel Mediterraneo
Le navi della Marina militare israeliana godono forse di una ”lettera di corsa“ da parte delle istituzioni internazionali?

A circa 100 miglia marine (oltre 190 chilometri) dalle coste di Gaza, quidi ampiamente in acque internazionali, il peschereccio “Marianne”, facente parte della missione Freedom Flotilla III, è stato circondato da vari mezzi della Marina israeliana che lo hanno fermato e abbordato, in un illegale atto di pirateria. I passeggeri sono stati sequestrati e – secondo quanto riferito dalle forze armate israeliane – trasferiti (contro la loro volontà) presso il porto militare israeliano di Ashdod. Non sappiamo nulla delle loro condizioni. La Marina militare israeliana ha nuovamente colpito nel cuore del Mediterraneo;  le loro rassicurazioni di aver agito senza attuare violenza non ci tranquillizzano dato che che – parla la storia – oscurano le comunicazioni di bordo, attaccano i passeggeri con pistole taser, li arrestano, li deportano e li sottopongono a interrogatori forzati.

Allarmati dalle minacce provenienti dal Primo Ministro israeliano, che da giorni minacciava quello che di fatto, nel silenzio delle istituzioni internazionali, ha avuto luogo – ovvero il sequestro del peschereccio in acque internazionali, con l’arresto e la deportazione ad Ashdod dei passeggeri – avevamo già sollecitato, con missive e comunicati stampa (caduti nel vuoto), il Presidente della Repubblica Italiana, Onorevole SERGIO MATTARELLA, il Presidente del Consiglio dei Ministri, Onorevole MATTEO RENZI, il Ministro degli Affari Esteri, Onorevole PAOLO GENTILONI SILVERI, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Onorevole FEDERICA MOGHERINI, chiedendo espressamente la tutela del diritto alla navigazione in sicurezza, in acque internazionali, per la missione Freedom Flotilla III.

Tra i passeggeri attualmente sequestrati un’europarlamentare galiziana (Ana Miranda Paz), un sassofonista israelo/svedese (Dror Feiler), il primo presidente della primavera tunisina (Moncef Marzouki), il parlamentare della Knesset israliana Basel Ghattas. Si tratta di 18 persone private della libertà solo per aver preteso il semplice rispetto del diritto internazionale, la libertà propria e altrui di navigare liberamente da porto a porto nel Mediterraneo.

Riteniamo che nostre istituzioni, e in primo luogo l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Onorevole FEDERICA MOGHERINI, debbano chieder conto al governo israeliano di ciò che è accaduto, ovvero come si possa permettere che barche assolutamente in regola con i documenti di navigazione e con il carico, possano essere attaccate impunemente in acque internazionali, da navi militari.
Le suddette istituzioni, dovrebbero sentirsi responsabili e attivarsi per avere rassicurazioni dirette – vale a dire dalla loro viva voce – sulle condizioni fisiche delle persone in questo momento sequestrate.
Chiediamo alle suddette istituzioni se ritengano che nel nostro Mediterraneo debba ancora valere il diritto internazionale: si condanni quindi qualsiasi paese che lo contravvenga con atti di pirateria, si chieda il rilascio immediato delle persone sequestrate e la restituzione del peschereccio “Marianne”,  si pretenda – secondo il diritto internazionale e come richiede l’ONU – la fine del blocco sulla Striscia di Gaza da parte di Israele con l’apertura al mondo del porto di Gaza, il porto della Palestina.

Lista delle persone attualmente sequestrate:

Dror Feiler – Svezia – Musicista & compositore
Bassel Ghattas – Parlamentare Knesset Israeliana
Dr. Moncef Marzuki – Tunisia – Attivista per i diritti umani, Ex-Presidente Tunisia
Ana Miranda Paz – Galizia – Membro del Parlamento Europeo (BNG)
Nadya Kevorkova – Russia – Giornalista
Kajsa Ekis Ekman – Svezia – Giornalista, Scrittrice
Robert Lovelace – Canada – Professore Universitario & Capo nativo Algonquin
Joel Opperdoes – Svezia – Equipaggio
Gustave Bergstrom – Svezia – Equipaggio
Herman Reksten – Norvegia – Equipaggio
Kevin Neish – Canada – EquIpaggio
Jonas Karlin – Svezia – Equipaggio
Charlie Andreasson – Svezia – Equipaggio
Ammar Al-Hamdan – Norvegia – Aljazeera Arabic
Mohammed El Bakkali – Marocco – Aljazeera Arabic
Ohad Hemo – Israele – Channel 2 Israeli TV
Ruwani Perera – Nuova Zelanda – MaoriTV
Jacob Bryant – Nuova Zelanda – MaoriTV

Marianne depature in Messina the port before Gaza PHOTO Pablo Miranzo

Tiziano Ferri
per Freedom Flotilla Italia
3341737274
[email protected]

    

Israele ancora una volta commette un atto di pirateria di stato nel Mediterraneo

comunicato stampa

equipaggio Marianne
Alle 02:06AM (ora di Gaza) di oggi 29.06.2015, la “Marianne” ha comunicato alla Coalizione della Freedom Flotilla (FFC) che 3 navi della Marina israeliana li avevano circondati, mentre si trovavano in acque internazionali, a circa 100 miglia nautiche (185 km) dalla costa di Gaza. Questa è stata l’ultima comunicazione, dopodichè il contatto con “Marianne” è andato perso. Alle 05:11AM (ora di Gaza) l’IDF ha annunciato di aver “visitato e perquisito” Marianne. Come ammesso da loro stessi, hanno catturato la barca e tle persone a bordo “in acque internazionali”. Da notare in particolare che l’annuncio dell’IDF riconosce che la striscia di Gaza è soggetta a blocco navale, nonostante il governo di Netanyahu lo abbia recentemente negato.

Non crediamo che la cattura di Marianne sia avvenuta “senza eventi di rilievo”: l’ultima volta che IDF si è espressa in modo simile, nel 2012, in realtà le persone a bordo di Estelle furono picchiate con manganelli e subirono dolorosi trattamenti a base di pistole taser.
Ancora più indietro nel tempo, nel 2010, dieci passeggeri della Mavi Marmara furono assassinati da IDF durante un’operazione simile, sempre in acque internazionali.

Purtroppo il governo israeliano continua a scegliere la politica assolutamente inefficace di “tolleranza zero” che in pratica rinforza la illegale e disumana punizione collettiva contro un milione e ottocentomila Palestinesi che vivono nella striscia di Gaza. I ripetuti attacchi di pirateria di stato in acque internazionali sono segnali preoccupanti che il blocco e l’occupazione si estende a tutto il Mediterraneo orientale. Chiediamo che il governo israeliano desista dal detenere civili pacifisti che viaggiavano in acque internazionali per una causa umanitaria.

Chiediamo ai nostri governi di assicurarci che tutti i passeggeri e l’equipaggio della “Marianne” siano salvi; protestiamo energicamente contro la violazione delle leggi marittime internazionali da parte dello stato di Israele.
Chiediamo alla società civile di condannare le azioni di Israele.
Continueremo a rispondere e reagire a queste ingiustizie, assieme a persone di tutto il mondo, fino a quando il porto di Gaza verrà finalmente aperto e l’assedio e l’occupazione israeliana avranno fine.
Per maggiori informazioni: ff3.freedomflotilla.org

Tiziano Ferri – Freedom Flotilla Italia
+39 334 1737274 [email protected]

    

E.Lotayef da “Rachel” dopo abbordaggio Marianne – video

“Sono Ehab a bordo di Rachel, stiamo tornando verso la Grecia. Il piano originale per questa flottiglia era quello di avere 3 imbarcazioni che dovevano arrivare a Gaza e 3 che le accompagnavano. Solo una imbarcazione e quelle che la accompagnavano sono riuscite a partire finora. Marianne, la prima imbarcazione è stata intercettata dagli israeliani qualche ora fa e per quello che sappiamo stanno andando verso Ashdod. Noi, delle 3 imbarcazioni che accompagnavano, Rachel,Vittorio e Juliano II stiamo tornando, come da piano orignale, indietro verso la Grecia.”

@Mogherini Cosa ne pensi di una barca con bandiera Svedese attaccata nel mediterraneo in acque internazionali da nave militare? #SOSFreedomFlotilla

    

Marianne è stata abbordata e catturata dalle forze di occupazione israeliane.

#SOSFreedomFlotilla
Marianne è stata abbordata e catturata dalle forze di occupazione israeliane.
Sosteniamo #FreedomFlotilla

Abbiamo perso il contatto con Marianne.
Ultima localizzazione dell’imbarcazione: 31º43′ N 32º33′ E
a circa 105 miglia nautiche (oltre 190 km) dal porto di destinazione, Gaza.
Le forze di occupazione israeliane affermano di aver intercettato e catturato Marianne.

Chiediamo a tutti di aiutarci a fare pressione sui governi e denunciare la palese violazione del diritto umanitario e marittimo da parte della Marina israeliana. Continue reading

 

 

Fonte:

http://www.freedomflotilla.it/

 

Video intervista a Samantha Comizzoli, sequestrata ed espulsa dalla Palestina dall’esercito israeliano, rientrata il 18 giugno a Fiumicino dopo una settimana di detenzione

Rapita dai soldati israeliani e rinchiusa per ore in una cella di due metri per uno, Samantha Comizzoli non ha risposto alle domande ed ha dichiarato: “Mi ritengo un prigioniero politico, questo è un rapimento, entro in sciopero della fame e rimango in questa prigione fino a quando non rilasciate i trecento bambini palestinesi che voi detenete nelle prigioni israeliane”. La trascrizione completa della videointervista rilasciata a poche ore dal suo rientro in Italia, dopo una settimana di detenzione nelle carceri israeliane e sotto pesanti torture psicologiche.

Il video completo dell’intervista

 

<<Venerdì 12 giugno 2015 stavo uscendo con un taxi dalla città di Nablus, a pochi km dalla città di Nablus, una strada principale, il taxi era in corsa , è uscita un jeep dei soldati israeliani che era nascosta in mezzo agli ulivi, ha affiancato dapprima il taxi, poi si è posizionata davanti al taxi, tutto questo in corsa, il taxi ha iniziato a rallentare, la jeep ha iniziato a rallentare, e mentre erano in corsa i soldati israeliani sono scesi dalle porte del retro della jeep e hanno assaltato il taxi puntando le armi.
Mi hanno aperto la portiera urlando e hanno iniziato a farmi domande, domande generiche, non mi hanno mai chiesto come mi chiamavo e… continuavano a insistere che stavo andando ad una manifestazione, le domande sono diventate sempre più pressanti nei miei confronti e nel frattempo facevano domande al taxista e ad un ragazzo seduto nel posto davanti, nel taxi.

Il tempo passava, dopo un po’ mi hanno preso la borsa e preciso che nella prima frangia di domande non ho dato i documenti, non ho voluto dare i documenti, l’unica cosa che continuavo a dire è “voglio chiamare il consolato italiano”, e mi è stato negato, ovviamente. Gli ho ricordato che non potevano trattenermi più di due ore, perché conosco i miei diritti, e mi hanno risposto: “facciamo quello che vogliamo perché siamo soldati”. Dopo di che, appunto, mi hanno preso la borsa, mi hanno tirato fuori quello che c’era nella borsa, quindi un giubbino giallo fosforescente con la scritta “PRESS”, la kefiah, il portafoglio, hanno guardato dentro il portafoglio e poi hanno trovato il passaporto e quindi hanno detto “qui c’è il tuo passaporto e non ce l’hai dato prima, e poi hanno tirato fuori, io purtroppo come molte donne non pulisco mai la borsa (e quindi c’era molta spazzatura), oltre a fazzoletti di carta e cose varie c’erano molte carte, e c’era anche una cosa che io ho fatto con Photoshop mettendomi l’hijab musulmano e mettendo le generalità così, false, ma fatta da me in Photoshop e nemmeno in grandezza naturale e hanno detto “Questo è un documento falso?” , ho risposto “beh, no, lo vedete benissimo che questa è una cosa che non posso presentare”, mi hanno detto “Si, certo, ma perché l’hai fatto?” e ho detto “Ma perché è uno scherzo”, l’ho fatto io, così, l’ho fatto io con Photoshop, è una cosa che non posso assolutamente usare”. Sono passate quattro ore, durante queste quattro ore sono arrivati gli shabak israeliani, eh… quindi i servizi segreti, e poi la polizia israeliana. Sia gli shabak che la polizia israeliana sorridevano, quindi erano molto contenti di avermi trovata lì. Anche loro non mi hanno mai chiesto come mi chiamavo, chi ero, cosa facevo, eh… anche se all’inizio i soldati mi hanno chiesto “cosa fai a Nablus” e gli ho risposto “Niente.”.

Dopo un po’ mi hanno detto: “OK, non sei in stato di arresto ma devi venire con noi perché ti dobbiamo interrogare”. Eh… non ho opposto resistenza, perché per me ormai era andata, quello era un chiaro rapimento, e comunque questo momento non poteva che esserci prima o poi, non me l’aspettavo con queste modalità ma sapevo che sarebbe arrivato, e nel taxi c’era una maschera antigas che il ragazzo palestinese ha detto “E’ mia”, ma nonostante questo loro hanno messo la maschera antigas dentro la mia borsa. Ironicamente hanno trovato una bandiera di Fatah e… essere presa con una bandiera di Fatah non mi entusiasmava sinceramente, ma sembrava che sapessero che non fosse mia perché non l’hanno messa né nella mia borsa, e nè l’hanno requisita addebitandola ad altre persone. Se la sono semplicemente messa in tasca, ed è sparita.

Eh… dopo di che hanno mandato via il taxi con il ragazzo palestinese e io sono rimasta seduta sulla strada, erano passate quattro ore e mezza sotto il sole, senz’acqua, con un soldato che mi puntava un fucile e la jeep della polizia israeliana. Dopo un po’ ho detto al soldato di spostare la canna del fucile e smetterla di puntarmi il fucile addosso, e lui l’ha spostata. E poi mi hanno fatto salire sulla jeep israeliana e mi hanno detto: “Ti ricordiamo che non sei in stato di arresto, al momento sei sotto investigazione, devi venire con noi”. Da lì mi hanno portato all’insediamento illegale di Ariel, dove mi hanno fatto aspettare per l’interrogatorio e gli shabak mi hanno interrogata. Ho risposto alle prime due domande, la prima è stata “a noi risulta che tu sei nel nostro paese, in Israele, in modo illegale da un anno e quattro mesi, ce lo puoi confermare?”, ho detto “Non posso confermarvi nulla e comunque i computer ce li avete voi, siete voi gli investigatori, fate il vostro lavoro”. Poi mi hanno chiesto appunto che cosa fosse quella… loro avevano una fotocopia di questa cosa fatta con Photoshop, e mi hanno detto “Che cos’è questa cosa?”, ho detto “E’ una cosa che ho fatto io con photoshop, vedete non è nemmeno nella grandezza naturale di un documento palestinese e mi hanno detto “Perché i soldati hanno dichiarato che tu non hai dato i documenti e dopo nello stesso verbale hanno dichiarato che tu l’hai dato come documento?”, ho detto “sinceramente io non l’ho dato come documento, non ho dato niente ai soldati perché io non dò nulla ai soldati, soprattutto se mi puntano addosso un’arma, quindi parlate con chi ha fatto il verbale.” . E da quel momento in poi ho detto “Mi state interrogando senza avvisare il consolato, senza un avvocato, quindi mi rifiuto di rispondere a tutte le domande che seguono, mi hanno preso le impronte digitali, il DNA [ prelievo salivare, ndr], fatto le fotografie, e mi hanno fatto aspettare ancora. Verso le dieci di sera mi hanno trasferita nella prigione di Ben Gurion, quando sono arrivata mi hanno fatto aspettare, mentre aspettavo ho chiesto ancora una volta di chiamare il Consolato italiano ma non mi hanno risposto, ho chiesto dell’acqua e non mi è stata data l’acqua nonostante fossero le 22:00, quindi ricordo che mi hanno presa alle 11:00 del mattino, quando sono arrivata all’interrogatorio ho riformulato nuovamente le stesse risposte “Non rispondo alle vostre domande perché non mi fate chiamare il consolato e non è in mia presenza e non c’è un avvocato quindi non rispondo a nessuna domanda” e  mi hanno chiesto: “A noi risulta che sei qua senza visto, questa è l’accusa che ti hanno fatto”, quindi era già sparito il discorso del documento fatto con photoshop, e mi hanno detto “Perché se eri qua senza visto non hai rinnovato il visto e sei stata qua in modo illegale?”, io ho risposto “Beh, perché per quanto mi riguarda se dovessi rinnovare un visto non lo vengo a chiedere a voi in un insediamento illegale, in un posto illegale, perché voi siete illegali, questa è la Palestina, non è Israele, quindi non vengo da voi a chiedere nulla”.

Dopo di che ho smesso di rispondere a tutte le domande e ho fatto questa dichiarazione: “Mi ritengo un prigioniero politico, questo è un rapimento, entro in sciopero della fame e rimango in questa prigione fino a quando non rilasciate i trecento bambini palestinesi che voi detenete nelle prigioni israeliane”.

MaherAbu

Da quel momento mi hanno messo in cella d’isolamento, in sciopero della fame. Sono ritornati di notte, io stavo dormendo, e mi hanno detto: “Ti sei dimenticata di firmare questi fogli”, erano tutti in ebraico, e ho detto, nonostante stessi dormendo, “questi fogli sono in ebraico e io non firmo nulla perché non ho dichiarato nulla”. Ho cercato di continuare a dormire e mi hanno acceso la luce.

Sono stata nella prigione di Ben Gurion due giorni e mezzo in sciopero della fame e in isolamento, mi facevano uscire 5 minuti la mattina e 5 minuti al pomeriggio per fumare una sigaretta. Mi hanno tolto l’unico libro che avevo, nonostante fosse un libro di José Saramago, “Il vangelo secondo Gesù Cristo”. Gli altri prigionieri non erano trattati come me, i prigionieri presenti erano tutti con problemi di immigrazione, potevano stare fuori, potevano fumare, nei miei confronti è partita una serie di punizioni psicologiche. La luce accesa di notte, hanno messo l’aria condizionata facendo raggiungere una temperatura glaciale alla cella, io stavo con due coperte ma ero comunque congelata. Ero in sciopero della fame e lì per resistere ho cercato di pensare non a quello che mi mancava ma a quello che avevo: quello che avevo era il mio corpo e quello spazio, e quindi a quello che potevo fare per resistere. Continuavo a camminare dalla porta alla fine del muro, avanti e indietro. A volte cantavo, ho fatto molti addominali, molte flessioni. Era un posto dove le persone continuavano a picchiare sulle porte di ferro giorno e notte chiedendo acqua, chiedendo di poter uscire, chiedendo di poter telefonare. Io non ho mai picchiato una volta perché non volevo chiedergli nulla. Non volevo chiedere nulla a loro, quello che mi davano mi davano, ma io non chiedevo nulla. Dopo due giorni e mezzo mi hanno trasferita nella prigione di Givon, quando sono arrivata lì avevo una maglietta della Palestina, che raffigurava la Palestina, e ho capito che hanno detto “portala, portala dentro, nella prigione”. Mi hanno fatto camminare in un’ala della prigione dove c’erano quattro o cinque prigionieri fuori che lavoravano e ho capito di essere in una prigione per israeliani, per coloni. I prigionieri mi hanno guardato, quando sono arrivata, con tutto l’odio che avevano e c’è stato un altro interrogatorio, sempre con le stesse domande alle quali io mi sono rifiutata per l’ennesima volta di rispondere e di firmare e ho detto: “Continuo lo sciopero della fame e rimango qua per i trecento bambini palestinesi che voi state detenendo e non esco fino a quando loro non raggiungono prima la libertà. Non posso dargli la mia schiena e uscire da qua pensando che loro rimangono dentro”.

Mi hanno detto: “Va bene, ti portiamo in cella, ti mettiamo in isolamento”. Mi hanno messo in una… non si può definire cella, era una gabbia di due metri per uno dove il soffitto potevo toccarlo con la mano, era un container con un water, e nessuna apertura, solamente una piccola feritoia sulla porta di dieci centimetri, e quindi non c’era luce. Sono rimasta lì un po’ di ore, durante queste ore dall’altra parte della parete del container ho capito che stavano torturando una persona, un uomo, molto probabilmente era su una sedia di quelle tipo da studio, con le rotelle, lo buttavano ripetute volte contro il muro, molto probabilmente con o delle secchiellate d’acqua o con un getto d’acqua e lo sentivo rantolare, era come se fosse nella mia cella perché erano pareti di un container, non erano pareti di muro o di legno, e lo sentivo rantolare… e poi l’acqua ha iniziato ad entrare anche dalla feritoia della mia cella.

Sono venuti a richiamarmi e mi hanno detto: “Questa sarà la tua cella, dovrai continuare a stare qui, se non smetti di rimanere in sciopero della fame, perché sei un problema di sicurezza per noi.” Ho detto: “Che problema di sicurezza sono? Io ho solo il mio corpo, qual è il problema della sicurezza?”, “Se smetti di essere in sciopero della fame” [hanno risposto, ndr] “ti mettiamo con le altre”. Ho capito che non potevo più continuare, che non avrei resistito per giorni, per me la priorità non era la protesta per il mio arresto, ma resistere in prigione per i bambini. E quindi ho terminato lo sciopero della fame in quel momento perché il mio obiettivo era resistere il più possibile in prigione per smuovere sul rilascio dei bambini. Quindi in quel momento mi hanno dato da mangiare, hanno fatto l’ispezione al mio bagaglio, mi hanno tolto ancora il libro, mi hanno tolto tutte le magliette che riguardavano la Palestina, mi hanno tolto anche una maglietta che era per la libertà degli animali nello zoo [ Samantha ha condotto una lunga battaglia per la chiusura dello zoo di Ravenna ndr] ma nell’incertezza, siccome era scritto in italiano e non capivano bene che cosa fosse mi hanno tolto anche quella, e mi hanno tolto un maglione, forse perché se volevano ancora usare il discorso dell’aria condizionata avere un maglione sarebbe stato un problema, e poi mi hanno tolto il tabacco con la macchinetta per fare le sigarette, mi hanno detto “No, non puoi averla”, e ho detto “Perché? Perché non posso avere il tabacco con la macchinetta per fare le sigarette?” [le hanno risposto, ndr] “Perché puoi metterci dentro della droga”, e ho detto : “dove ce l’ho la droga?” e [le hanno risposto, ndr] “No, la puoi trovare in prigione, però puoi comprare le sigarette qua”, ho detto: “Va bene”.

Poi mi hanno fatto un’ispezione corporale, completamente nuda, facendomi abbassare, aprendomi le chiappe e infilando una mano dentro, mi hanno fatto girare, alzare il seno, dopo che hanno fatto questo mi hanno guardato e mi hanno detto: “Hai una pistola?”…..

OK, poi mi hanno dato una maglietta bianca, perché io, appunto, avevo indosso questa maglietta della Palestina, i vestiti che avevo addosso e mi hanno portato nella cella con le altre donne. Era nel braccio dell’immigrazione e mi hanno messo in una cella dove c’erano due donne, che ho capito subito …due donne della Costa d’Avorio, dove tutta la prigione delle donne non parlava con queste due donne perché avevano un carattere terribile… però siccome anch’io ho un carattere terribile, io sono stata… difendendo quello che avevo di mio, cioé il mio corpo, la mia mente, il mio cuore, e loro difendevano quello che avevano perché erano lì da due anni e sei mesi, e difendevano quella cella che per loro era tutto quello che avevano, come se fosse la loro casa, non uscivano neanche quando aprivano le porte. Dopo di che abbiano iniziato a fare amicizia, quindi ho un ricordo di loro bellissimo, di queste due donne, di grande rispetto, perché facevano resistenza all’interno della prigione per poter diventare rifugiati politici, quindi dovevano passare cinque anni in prigione, con i figli fuori, ho detto loro che non condividevo il posto che avevano scelto per diventare rifugiati politici ma potevano camminare sopra la mia testa e tutto il mio rispetto per la resistenza che avevano a stare lì dentro. Ovviamente con tutti i problemi loro mentali che portava come conseguenza vivere… avere questo tipo di vita. Dunque, la prigione di Givon ovviamente toglie la libertà alle persone, è un cimitero per i vivi come tutte le prigioni. Porte che venivano sbattute ripetutamente, ispezioni di giorno e di notte, non puoi mai alzare la voce verso la polizia, cosa che invece io ho fatto subito per una donna che si era sentita male e ho chiesto l’intervento del dottore [una donna ha perso i sensi, Samantha ha chiesto a gran voce che venisse chiamato un medico, ma sono passati circa 20 minuti prima che le guardie, che osservavano la scena, reagissero chiamando un sanitario, ndr] .

Sono riuscita a contattare il consolato di Tel Aviv, il console Nicola Orlando è stato molto umano, è venuto a trovarmi diverse volte in prigione, ci siamo sentiti molte volte al telefono. Il mio telefono miracolosamente ha iniziato a funzionare dopo un giorno nella prigione di Givon in modalità roaming nonostante Jawal non potesse funzionare lì [operatore di telefonia mobile palestinese attivo a Gaza e in WestBank ma che utilizza l’infrastruttura di rete israeliana al di fuori di quei territori, per tanto il roaming è normalmente interdetto ai numeri Jawal o con costi in accessibili e, in ogni caso, passa direttamente sotto il controllo delle compagnie telefoniche israeliane ndr]. Arrivavano a me e ad altri contatti che avevo sul telefono telefonate strane, ovviamente, quindi mi stavano facendo telefonare i servizi segreti, gli shabak, forse… non lo so, pensavano di scoprire chissà che cosa, io non ho niente da nascondere, quindi… Ero assolutamente tranquilla e facevo le mie telefonate e ricevevo le mie telefonate.
OK, dopo questa parentesi nella prigione di Givon, da quando è intervenuto il consolato devo dire che hanno iniziato ad avere un metodo un po’ più soft nei miei confronti, non più come quello di prima, sebbene continuassero nei miei confronti ad avere questa procedura di “prigioniero politico” e non di problemi con l’immigrazione. Una mattina mi son venuti a chiamare, non mi hanno detto nulla, mi hanno portato in uno stanzino molto piccolo. C’era una persona a un tavolo e poi c’era un traduttore in italiano e un soldato, hanno iniziato a farmi delle domande, ho capito che quello aveva la veste più o meno di un giudice, anche se quello non era un tribunale, non c’era un avvocato, era dentro uno stanzino di un container. Mi hanno chiesto “sei pronta a firmare i fogli che ti abbiamo dato e a lasciare il nostro paese?”, gli ho detto “No”, “Va bene puoi andare”, ho detto “Posso andare cosa, cosa vuol dire, che cos’è questo?”Ci rivediamo tra un mese, se trovi un avvocato che ti rappresenta possiamo dialogare, al momento ci rivediamo fra un mese”.
Ho riferito tutto quello che è stato al consolato, fino a quando appunto non è arrivato il messaggio l’altro ieri del console e in simultanea me lo stavano comunicando a voce, che avevano disposto la mia deportazione da Israele, così come lo chiamano loro, il giorno dopo con volo El Al, volo israeliano. Ho detto che avrei fatto resistenza passiva per non farmi portare via ma sempre con l’obiettivo dei trecento bambini.

Hanno disposto il mio trasferimento appunto al mattino presto, avevo detto che avrei fatto resistenza passiva, quindi che mi prendessero con la forza, ricordando loro che gli uomini non mi potevano toccare perché era molestia sessuale, che dovevano esserci le donne. Mi hanno fatto stare ancora una volta in quello stanzino da due metri per uno dove mi avevano messo la prima volta nella prigione di Givon insieme alle altre donne senza chiudere la porta, dopo di che mi hanno ridato tutto il materiale, quasi tutto, il materiale che mi avevano confiscato all’ingresso. Quando è arrivato il momento del trasferimento io ho detto: “Non posso, non posso uscire con le mie gambe, mi sono seduta per terra e hanno fatto salire tutti nell’autobus, compresa la mia telecamera, e mi hanno detto “va bene, noi abbiamo deciso di non usare la forza con te”, sono entrati tutti e mi hanno detto: “Tu resterai qua, in cella d’isolamento, fino al prossimo volo” e in quel momento, primo sapevo che non avrei saputo resistere nella cella d’isolamento ancora, e la mia telecamera era andata; ma, secondo, ho pensato che diventava una scelta irresponsabile per delle persone che mi stavano aspettando in Italia, che si erano trasferite a Roma per venirmi a prendere. E comunque era andata, oramai, ho visto che il consolato non aveva preso posizione sui bambini, che non era partita nessuna trattativa, che se n’erano fottuti dei diritti umani e che, comunque anche il console di Tel Aviv mi aveva confermato, “non sei stata per noi del consolato e della Farnesina presa in considerazione come prigioniero politico ma solamente con problemi d’immigrazione”, quindi per quanto riguarda essere un ago della bilancia per la liberazione dei bambini e per una battaglia dei diritti umani il consolato italiano, ma soprattutto la Farnesina, e questo lo dico io, se n’è sbattuta il cazzo, quindi lascia in prigione trecento bambini, nonostante avesse avuto la possibilità magari di trattare e usare me come ago della bilancia. Quindi in quel momento sono salita sull’autobus e mi hanno poi trasferita con una… jeep israeliana blindata fino all’aereo, io non ho mai visto l’aeroporto Ben Gurion. Quando sono salita sull’aereo è partita una protesta da parte delle persone nell’aereo perché erano tutti israeliani e mi hanno visto arrivare con la kefiah e accompagnata dalla polizia. Sono arrivata a Roma, sono stata accolta in un primo tempo dalla polizia italiana che ha dovuto formulare un report su quello che era successo e poi sono stata accolta dai miei amici e questo è stato un momento di felicità… per me. Nella jeep israeliana che mi ha portata all’aereo sono stata chiusa nella parte del retro, in un posto completamente chiuso e mi hanno messo l’aria calda, bollente, quindi non potevo respirare e quindi ho dovuto bussare dopo un po’ sul vetro e chiedere di poter respirare…e mi hanno detto “scusa, ci siamo dimenticati” e mi hanno dato l’aria.

Dunque, le considerazioni: so che in Italia sono usciti subito sulla stampa, sui media [ es. LA STAMPA, ANSA ndr ] , una dichiarazione ufficiale di questo documento falso che io avrei fornito ai soldati. Ho verificato questa cosa tramite il Consolato e la Farnesina per capire chi aveva rilasciato questa dichiarazione, questo è quello che è successo: mentre mi stavano trasferendo da Ariel alla prima prigione io ero nella jeep con due poliziotti, il poliziotto ha ricevuto una telefonata e ha parlato in inglese, e quindi ho capito che cos’ha detto, ha detto “la signora al momento non è in arresto, è in detenzione amministrativa, perché è priva di visto, quindi è in posizione illegale in Israele, e ha un documento falso palestinese ma è sotto indagine.” Poi, quando ha chiuso la telefonata il poliziotto mi ha detto: “Era il consolato di Gerusalemme, hanno chiesto, appunto, perché eri stata presa”. In quel momento mi sono meravigliata, anche la sera stessa, fino a quando poi non ho parlato con Tel Aviv, perché ho detto: “Caspita, il consolato finalmente ha la possibilità di mettersi in contatto e di sapere come sto e di poter parlare con me, non l’ha fatto, il Consolato di Gerusalemme, ma ha solamente verificato quali erano in quel momento le accuse, accuse che poi sono cadute, e l’ha comunicato alla stampa. Questo comportamento poi non c’è stato dal Consolato di Tel Aviv e dalla Farnesina, quindi io ho ritenuto veramente grave il comportamento del Consolato di Gerusalemme che parrebbe aver avuto un atto di diffamazione di una cittadina italiana che stava vivendo un atto di violenza, che io definisco rapimento perché non c’è nulla di legale, non c’è nessun foglio che mi accusa di qualcosa, non c’è nessun foglio che dice che io sono stata arrestata, che sono stata detenuta, nulla, non c’è nulla, quindi io sono stata a tutti gli effetti rapita da Israele… Quindi in quel momento il Consolato di Gerusalemme ha diffamato una cittadina italiana che era in queste condizioni, non ha cercato di mettersi in contatto e parlare con me per chiedere come stavo, che cosa mi stava accadendo, se mi avevano fatto qualcosa, cioè per chiedere qual erano le mie condizioni di cittadina italiana. [ il Consolato di Gerusalemme è lo stesso che di recente ha negato i visti ai due palestinesi, tra i protagonisti dell’ultimo docufilm “israele, il cancro”, per il tour italiano del film, nel mese di maggio]

Questa è una cosa molto grave, credo che la Farnesina dovrebbe prendere provvedimenti, non per me ma per i futuri cittadini italiani che, io non gli auguro possa capitare questo ma ai quali potrebbe capitare, perché il Consolato deve lavorare, appunto, per la Farnesina e per il governo italiano, non per il governo di Israele o per i media. Altresì dico che i pennivendoli che si affidano veramente alla prima scoreggia di un piccione per pubblicare notizie in questo modo, ecco a loro ricordo che in Palestina i giornalisti per documentare la verità sul posto si fanno sparare, si fanno sparare negli occhi, in faccia, al petto, nelle braccia, perdono le gambe, per documentare sul posto quello che è la verità. Ecco, voi siete la vergogna dei diritti umani,così come è Israele, cioè chi vi paga.

GiornalistiPalestina

Io in questo momento sono ovviamente provata, non ho mai parlato, non ho mai bussato su quelle porte per chiedere qualcosa loro, ho resistito perché avevo una missione in testa, che non era per me, era per i diritti umani e per i bambini e… continuerò a supportare la resistenza palestinese e a lavorare per i diritti umani. Adesso ho solo bisogno di un po’ di tempo per cercare di svuotare la mia mente dalla merda che Israele ha infilato dentro e fare entrare nuove idee. Grazie a tutti quelli che mi hanno supportato, so che siete stati in tanti, ma non avete supportato me, avete supportato i diritti umani quindi, visto che è responsabilità di tutti io vi ringrazio.

Ho chiesto di fornirmi documentazione di quello che è accaduto, di avere uno stralcio di qualcosa, del mio stato, a voce mi  hanno detto che sono stata deportata per 10 anni dalla Palestina, che non potrò più rientrare, ma che è tutto nei loro computer e che quindi non rilasciano nulla, nulla di cartaceo, di nero su bianco. Ovviamente quello che mi fa soffrire è il pensiero di non tornare più in Palestina e di non poter riabbracciare più i miei amici, e che loro sono là e che non posso più aiutarli sul posto, non posso più fare da scudo umano per tanti mini-shebab, tanti shebab , questa è la cosa che mi fa più male..

Non sono mai stata sola, ho sempre avuto i diritti umani con me, ma soprattutto ho sempre avuto, con me, anche quando non riuscivo a mettermi in contatto perché ero in isolamento, ho sempre avuto con me Simone, Simonetta e Sauro. E dire grazie è troppo poco, mi stanno accogliendo anche ora che non ho più nulla, perché quando sono partita per la Palestina io ho venduto tutto quello che avevo perché ho perso la residenza, e quindi  i problemi sono parecchi in questo momento ma, insomma, sono con loro… sono la mia famiglia in questo momento e lo saranno sempre.

Samantha Comizzoli>>

Per supportare e diffondere il preciso e puntuale lavoro d’informazione di Samantha Comizzoli:

Il BLOG di SAMANTHA COMIZZOLI

Il primo documentario sulla resistenza palestinese (2014), SHOOT (qui il video in streaming)

Il blog del documentario presentato in un tour italiano lo scorso mese, “israele, il cancro”

TGMaddalena, nel condividere e sostenere la battaglia di Samantha per la liberazione di tutti i bambini palestinesi, detenuti e torturati nelle carceri israeliane, ha aperto una campagna per supportare le prossime iniziative e consentire a Samantha di proseguire nel suo impegno per i diritti umani, per la Palestina e per la Libertà.

 

Trascrizione completa della videointervista, a cura di Simonetta Zandiri – TGMaddalena.it

 

 

Fonte:

http://www.tgmaddalena.it/intervista-samantha-comizzoli-sequestrata-ed-espulsa-da-israele/

 

SAMANTHA E’ LIBERA

La nostra sorella e compagna Samantha Comizzoli è appena arrivata all’aeroporto di Fiumicino.
Dopo un anno e 4 mesi passati a Nablus, documentando quotidianamente ed appassionatamente l’oppressione sionista e la corruzione della polizia palestinese dalla sua pagina FB e dal suo blog (http://samanthacomizzoli.blogspot.it/ ), è stata fermata il 12 giugno dall’esercito nazisionista mentre da Nablus andava a Kuffr Qaddum per la mobilitazione settimanale. Il motivo dell’arresto è stato, ufficialmente, il visto scaduto.

E’ stata condotta prima in un carcere sionista dell’insediamento di Ariel, e poi al centro di identificazione ed espulsione dell’aeroporto Ben Gurion, a tel aviv. Messa in ISOLAMENTO, ha rifiutato la difesa di un avvocato procuratole di rito da israele, ha rifiutato l’espulsione a meno che non fossero liberati le centinaia di bambini Palestinesi detenuti, ed ha lottato strenuamente per non lasciare la Palestina.
I media hanno dapprima taciuto, poi il tamtam sui socials li ha costretti a dare qualche notizia, comunque omissiva o distorta, se non infamante.

Le sigle “pro Pal”, dopo averla ignorata per mesi, ne hanno dato notizia in termini del tutto diplomatici.

Samantha ha guardato il mostro nazisionista negli occhi da molto vicino, e ne è uscita più Umana di prima. E’ stata ed E’ un’attivista LIBERA, al di sopra delle ideologie di comodo. E per questo, obiettiva.
I suoi due film-documentari su israele, “SHOOT” e “israele, IL CANCRO”, sono una coraggiosa denuncia della brutalità e della pervasività dell’occupazione.

israele ha riservato anche a lei una Nakba, l’allontanamento forzato dalla sua gente.

Sapendo quanto amaro è per lei questo rientro forzato, la abbracciamo dal profondo del nostro cuore, ed ora la nostra voce deve diventare più forte, a sostegno della sua e di chi, laggiù, si ritroverà un po’ più solo.
Ha lasciato la terra ed il popolo che erano diventati praticamente la sua vita e la sua gente.
Qui, ora ha tutti noi che l’abbiamo conosciuta ed amata.
In ogni caso, bentornata, Samantha!
FREE PALESTINE!!!

(grazie a Simonetta Zandiri e Sauro Trombini per le foto e la cura con cui hanno aggiornato)

foto di ‎Ogni popolo è Palestina - كل شعب فى العالم هو فلسطين‎.
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