Cat calling e street harassment: hai mai ricevuto una molestia travestita da “complimento”?

Ti è mai capitato di essere molestata con un complimento? I dati ci dicono che la tua risposta è sì: non sei da sola e puoi reagire così.

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L’accusa più frequente è che stai esagerando, che non sei capace di ricevere un complimento, che te la tiri. Nel 99,9% dei casi sono commenti volgari e frasi che feriscono, urlati per strada mentre sei di spalle, senza nemmeno guardarti negli occhi. O sui mezzi pubblici. Hanno il suono di un fischio e l’eco delle risatine sarcastiche del branco quando il molestatore agisce in gruppo, magari mentre cerca in modo maldestro di abbordarti in un locale.

Il cat calling o street harassment nasconde arroganza e insicurezza. Chi ti molesta con un complimento lo fa consapevolmente: non sei tu che ti senti molestata, lo sei effettivamente. Lo spazio per l’interpretazione è minimo, l’intenzione è chiara sia a te, sia al tuo aggressore. Esistono anche complimenti che sono davvero complimenti e il confine con la molestia non è neppure tanto sottile.

In molti casi la molestia verbale viene accompagnata da un’aggressione fisica.

“Tornavo dal mare con mia zia e mia cugina. Un uomo, passandomi accanto, mi toccò il culo e poi scappò via. Indossavo un bikini e una maglietta e avevo 14 anni. Non capii neanche perché l’avesse fatto. Probabilmente la mia infanzia finì lì”.

È una delle tante testimonianze raccolte dal progetto #SonoSoloComplimenti, le autrici sono 4 ragazze ventenni che hanno deciso di dar voce a questa nuova ondata di Me Too: Martina Bellani, fondatrice del progetto, assieme alla sociologa Tonia Peluso, l’illustratrice Tamara Garcevic e Daniela Minuti che ha creato il logo.

“La cosa bella di questo progetto è che ha creato una sinergia tra donne incredibile,” ci raccontano. “La pagina è seguita principalmente da donne, ma siamo fiere che ci sia un buon 10% di uomini, percentuale che speriamo aumenti sempre di più perché per questo tipo di sensibilizzazione la loro partecipazione è fondamentale”.

Il parallelismo con lo tsunami #MeToo è potente perché siamo davvero in tante a poter dire “è successo anche a me”. L’aspetto più evidente è che molte vittime di questa molestia decidono di non parlare. Magari lì per lì reagiscono ignorando l’aggressore, accelerando il passo per allontanarsi quando capita per la strada, divincolandosi da un bacio o un abbraccio non richiesto. Ma quando decidono di raccontare l’accaduto, specialmente se l’aggressore è una persona conosciuta, come un amico di famiglia, il capo o il collega, un adulto che in qualche modo ha un legame pregresso con la vittima, vengono sminuite.

Non sono solo complimenti

Molte testimonianze raccolte dal progetto “Sono Solo Complimenti” sono ricordi della preadolescenza, che bruciano ancora: episodi accaduti quando le vittime erano poco più che bambine, avvicinate da uomini adulti, spesso mentre erano da sole. La reazione più comune? Spaesamento, confusione, senso di colpa. Ti chiedi: avrò fatto qualcosa per provocarlo? Saranno i pantaloncini corti o il trucco appariscente? Ovviamente no, la colpa non è mai della vittima, ma questo pensiero che ti sfiora è il frutto della narrazione “te la sei cercata” difficilissima da sradicare soprattutto nella visione patriarcale e maschiocentrica della società.

Come è nata l’idea di lanciare il progetto #SonoSoloComplimenti?

“È nata da un mio sfogo su Instagram Stories, dopo una corsa in pausa pranzo al parco,” ci racconta Martina. “Ero molto frustrata perché sottoposta per l’ennesima volta a episodi di catcalling. A questo sfogo sono seguite decine di testimonianze sul mio profilo privato. Ho pensato quindi di non lasciarle cadere nel vuoto, ma di dare a loro uno spazio sicuro di espressione, in modo che questo profilo potesse anche essere uno strumento di denuncia tramite fatti, senza retorica, né filtri. Infatti spesso le storie sono pubblicate senza editing, perché la scrittura di getto si porta con sé dei refusi che però a mio avviso sono molto potenti lato comunicativo. In un solo giorno abbiamo avuto un riscontro incredibile e da lì circa 50-100/messaggi al giorno di testimonianze”.

C’è un tratto che accomuna le storie che avete raccolto?

“Tutte le storie che pubblichiamo sono anonime, per preservare la fiducia che ci viene data nel raccontare fatti, episodi e pezzi di vita che spesso sono fonte di molto dolore e disagio. Un tratto comune a quasi tutte le testimonianze è il senso di vergogna: a volte ci scrivono che siamo le prime a cui raccontano questa cosa, perché non hanno mai trovato il coraggio. Oltre al senso di vergogna, c’è il senso di colpa: viene quasi sempre specificato l’abbigliamento nel momento in cui è accaduto il fatto. Come se questo in qualche modo rendesse più sensato il torto subito. Molte testimonianze raccolte riguardano anche il mondo LGBTQ+. Un fatto che ci ha stupite molto è stato leggere molte testimonianze che iniziavano con “avevo rimosso tutto, poi leggendo le altre storie mi sono chiesta ma è capitato anche a me? E da lì sono tornati alla mente tutti gli episodi. Come se mi rendessi conto per la prima volta che non c’era proprio niente di normale”.

Come reagire ai complimenti molesti?

Niente di normale. Un’epifania che può aiutarti a sbarazzarti dal fardello di disagio: non devi vergognarti, non è colpa tua, tu sei la vittima ma non significa che devi subire. Puoi reagire, subito. Ne abbiamo parlato con la scrittrice Roberta Marasco, ideatrice del blog femminista molto seguito Rosapercaso sul quale pochi giorni fa ha pubblicato un post sulle istruzioni per l’uso dei complimenti molesti.

“Quelli che qualcuno chiama ‘complimenti’, sì, perfino quelli che sembrano così poco offensivi, in realtà sono uno sfoggio e un’esibizione di potere. Sono il modo in cui alcuni uomini urlano la posizione in cui si trovano rispetto alle donne, il loro posto nel mondo. I complimenti, quelli veri, dovrebbero avere più a che fare con chi li riceve e meno con l’egocentrismo, il potere e il bisogno di affermazione di chi li pronuncia. Soprattutto se vengono urlati per strada”.

Come funziona il gioco di potere di chi fa un complimento molesto sulla persona che lo riceve, o meglio lo subisce?

“Nessuno può urlare a qualcun altro un apprezzamento sul suo corpo, dal nulla, senza un contesto e senza un saluto o due parole di presentazione, se non partendo da una posizione di potere. Ogni volta che un uomo fischia dietro una ragazza o le fa sapere che cosa pensa del suo sedere, in realtà quello che sta facendo è riaffermare quel potere. Non sta dicendo soltanto che quella ragazza ha un bel sedere, ma che lui può dirlo perché ha il potere di farlo, sta dicendo che il metro secondo cui si giudica il corpo di una donna è il desiderio e il piacere maschile, e che lei ha il dovere di essere interessata alla sua opinione, quando non riconoscente. Se una donna reagisce diversamente, sta trasgredendo le regole del gioco e quindi non resta che cercare una giustificazione esterna alla situazione (è arrabbiata, ce l’ha con gli uomini, si dà troppe arie…)”.

IL CAT CALLING HA SEMPRE UN SOTTOFONDO SESSUALE. I COMPLIMENTI GRIDATI PER STRADA RIENTRANO IN QUELLA DINAMICA DI COPPIA CHE SI FONDA SU UN PATTO TACITO DI NON AGGRESSIONE DA PARTE DEGLI UOMINI. NON HANNO NIENTE DI INGENUO, ANCHE QUANDO NON C’È ALCUNA INTENZIONE DI FAR SEGUIRE UN CORTEGGIAMENTO O UN INVITO.

“In un mondo ideale non dovrebbe servire un uomo al nostro fianco per difenderci, o un gruppo di amiche pronte a fare quadrato per difenderci da una molestia. Il cat calling di solito avviene quando siamo più vulnerabili”.

Come possiamo reagire da sole o con le amiche (se la molestia arriva da parte di un gruppo di maschi)?

“Il fatto che il cat calling non arrivi mai quando una donna è abbracciata a un uomo, se non come messaggio indiretto a quell’uomo, dovrebbe bastare a smentire ogni pretesa di ingenuità e innocenza. Io credo che sia fondamentale sapere che siamo nel giusto noi, che il nostro fastidio è motivato e che abbiamo tutto il diritto di pretendere che le molestie cessino immediatamente. Detto questo, credo anche che ciascuna donna debba essere libera di reagire come meglio crede, senza sentirsi obbligata a dimostrarsi forte o invincibile. E sono convinta che parlarne sia davvero fondamentale e sia un’arma preziosa, perfino più di quanto possa sembrare”.

Fonte:

https://www.cosmopolitan.com/it/lifecoach/a32953565/cat-calling-street-harassment-complimenti-molestie/