Brexit, per la Ue 18 mesi per il negoziato e a ottobre 2018 il divorzio. Intanto pubblico un’analisi sulla Brexit

La premier britannica Theresa May

Per il negoziato sulla  Brexit i tempi si restringono a un anno e mezzo. È il negoziatore della Commissione europea Michel Barnier a indicare la tabella di marcia. Se la notifica da parte di Londra arriverà entro marzo 2017, «si può dire con una certa sicurezza che i negoziati potranno partire qualche settimana dopo e un accordo ex articolo 50 (del Trattato sull’Unione Europea, ndr) dovrà essere concluso nell’ottobre 2018» per permettere le ratifiche da parte degli Stati membri entro marzo 2019.

I due anni di negoziati previsti dal Trattato possono essere allungati solo con decisione unanime dei «27». «Il governo britannico non intende estendere i negoziati per la Brexit oltre i due anni», risponde la premier britannica Theresa May. Più tardi il suo portavoce ha però precisato che non è corretto indicare in modo rigido la scadenza anticipata dell’ottobre 2018.

 

Fonte:

http://ilmanifesto.info/brexit-per-la-ue-18-mesi-per-il-negoziato-e-a-ottobre-2018-il-divorzio/

 

Qui un’analisi sulla Brexit dell’ingegnere Paolo Menossi tratta dal blog di Eva Menossi:

domenica 26 giugno 2016

Brexit

Mi è parso necessario affrontare la questione Brexit e sospendere per un attimo gli articoli sull’Africa. Ho la fortuna di avere un padre che si intende di economia e dopo 3 giorni di conferenza massacrante mi ha mandato una mail con una breve analisi che non ho intenzione di cambiare. Ringrazio L’ingegner paolo Menossi per la disponibilità e l’affetto che ha per me.  Spero che vi lasci soddisfatti

Gentili lettori,
da una posizione privilegiata prima di Amministratore Delegato di una multinazionale e oggi di consulente, che da quarant’anni opera nel manifatturiero italiano a diretto contatto con gli imprenditori e partecipa costantemente a importanti conferenze nazionali e internazionali, esprimo alcuni commenti a caldo sul Brexit.
Tali commenti raccolgono mie valutazioni tarate anche secondo pareri di eminenti analisti nel corso di un interessante dibattito avuto ieri sull’argomento.
Premettiamo che la Gran Bretagna non ha voluto entrare nella moneta unica europea (Euro) e ha sempre manifestato l’idea che non avrebbe mai approvato e tantomeno partecipato a un’unione politica, che è il solo e vero presupposto di una Europa unita (o Stati Uniti di Europa) per fare una similitudine con gli USA.
Premettiamo anche che la vittoria LEAVE su REMAIN è stata molto stretta di misura, ma per fascie nette e distinte. Per LEAVE gli anziani e il centro Inghilterra, per REMAIN Londra City, Scozia e Irlanda.
Questo la dice già lunga su come abbiano influito emozioni o ragione. Le emozioni popolari di un ritorno al vecchio e glorioso se non addirittura coloniale United Kingdom, hanno di stretta misura prevalso sulla ragione dell’industria, della finanza e dei giovani proiettati in un EUROPA unita, la sola in grado di confrontarsi con le imponenti realtà esistenti quali USA e CINA, o possibili emergenti quali INDIA.
La pancia della vecchia Inghilterra ha prevalso cavalcando l’onda della paura dell’immigrazione, non solo di quella extra comunitaria, ma soprattutto di quella del resto dell’Europa.
Le ragioni vere e profonde sono invece rappresentate dal rifiutare una possibile futura unione politica e legislativa/governativa e nell’immediato un giusto rifiuto dello strapotere tedesco.
Purtroppo una stretta e ben identificata maggioranza di inglesi ha scelto di uscire dall’Europa invece di combattere per un cambiamento e per il futuro di una Europa Unita.
Abbiamo subito visto le reazioni dei mercati. Nonostante ci vorranno almeno un paio di anni per fare questo difficile percorso a ritroso, in un giorno le Borse hanno bruciato quasi il 10% e la Sterlina ha perso un analogo valore sul Dollaro.
Le difficoltà anche pratiche di questo percorso sono enormi. Dai permessi di soggiorno, forme di lavoro e pensioni, dei numerosi lavoratori europei in Gran Bretagna (500.000 solo a Londra) e viceversa degli Inglesi che lavorano in Europa ( financo negli uffici europei di Bruxelles). Per non parlare degli studenti stranieri (Erasmus) che sono numerosi quanto gli inglesi.
Tornando alla svalutazione, non è una cosa da poco. Chiedetelo a tutti gli operatori internazionali che devono ricevere pagamenti in sterline e si ritrovano ad aver perso il 10% del valore che aspettavano, per beni venduti o servizi prestati. Non credo siano contenti e presteranno ben attenzione nelle prossime vendite (che tra l’altro saranno ben poco remunerative per gli europei che vendono, o molto costose per gli inglesi che comprano).
Il valore degli immobili e delle proprietà in Inghilterra anche essi svalutati, i beni o materie prime che si devono comperare più costosi … e così via. Ma non soffermiamoci su cose così ovvie, come sul fatto che sarà invece favorita l’esportazione di merci prodotte in Inghilterra o meno costoso un viaggio in quel Paese.
Vedremo in un prossimo futuro, a seconda del tipo di bilancio nel rapporto col Mondo Esterno che l’Inghilterra stabilirà, vantaggi e svantaggi.
Una cosa è sicura: le probabilità di una recessione interna sono altissime, e questa non è mai una bella cosa, portando impoverimento e disoccupazione.
Altra possibile conseguenza pesante per il Regno Unito, è che rischi di non essere più tale se le velleità separatiste ed europeiste di Scozia, Irlanda e magari Galles riusciranno ad andare in porto.
Inoltre per fronteggiare questa situazione, non hanno nemmeno un Governo stabile che possa agire prontamente e unitamente, in quanto Cameron si è dimesso.
Del resto era un atto dovuto data la sua piena responsabilità di aver permesso (se non addirittura promosso, con l’idea di rafforzarsi) un tale folle referendum. Folle per l’eventuale possibile risultato di LEAVE che ha avuto, ma folle anche perché non si può e non si deve dare a un referendum popolare una responsabilità che è e deve essere del Governo (democraticamente eletto dalla popolazione anche perché prenda queste decisioni a seconda di avvedute valutazioni economiche e politiche che lui solo è in grado di fare).
Detto quanto sopra, cerchiamo di analizzare le conseguenze di una Europa senza Inghilterra, data la scelta dell’Isola.
Gli scenari sono diversi a seconda che certi effetti domino si verifichino o no.
Il primo è economico/valutario. La reazione immediata è stata molto negativa, con crollo di borsa e sterlina, come detto all’inizio. Bisognerà monitorare attentamente l’evoluzione nei prossimi giorni.
I recuperi sono probabili, il rischio è che come spesso avviene in queste situazioni, il recupero sia minore della perdita…e così via per cicli successivi, portando a un consolidato impoverimento e a una possibile recessione, anche in Europa quindi e non solo in Gran Bretagna, o quello che resterà di lei.
Purtroppo il rischio che a pagare colpe di una politica egemonica tedesca e di una rinuncia e uscita inglese siano altri stati membri quali Grecia, Spagna e Italia, economicamente più deboli e indebitati, è molto alto.
Non sottovalutiamo poi l’effetto disgregante per l’Europa di imitazioni da parte delle crescenti frange euroscettiche Lepeniane, Salviniane e così via. Non credo possano prevalere, ma creeranno molto disturbo e confusione.
Essendo impossibile fare previsioni realistiche così a caldo, in quanto dobbiamo vedere come i Mercati e i Governi interessati reagiranno, mi limiterei a dire che sarà molto importante vedere quale sarà la reazione della Germania, attore principale in Europa, non solo per la più numerosa popolazione, ma soprattutto per la sua di gran lunga più forte economia.
La Germania è come già detto anche in parte responsabile di quanto è successo, avendo imposto troppo la sua visione di Europa e le sue regole (valide e favorevoli alla sua economia forte, non altrettanto per altre economie più deboli e fortemente indebitate).
La Gran Bretagna, altra economia in salute (e quindi la sola che poteva permettersi di rischiare una uscita, anche se potrebbe finire per rimetterci molto), forte anche della sua Finanza e non volendo sottomettersi ai dictat tedeschi, ha operato come reazione questa scelta dirompente.
A questo punto la Germania dovrebbe mettere a frutto la lezione permettendo se non favorendo la crescita dell’Europa senza Gran Bretagna nel suo complesso (Europa di cui anche lei ha fortemente bisogno per le sue esportazioni), e questa è la visione ottimistica.
Potrebbe anche sentirsi ancora più forte, non più contrapposta dalla Gran Bretagna e ormai non più dalla indebolita Francia, e rafforzare ancora la sua egemonia, portando l’Europa agli Stati Uniti di Germania, che sarebbe la fine della Europa stessa. Questo è lo scenario pessimistico.
Sul piano oltre Oceano è chiaro che gli Stati Uniti hanno bisogno ( e Obama lo aveva detto chiaramente a Cameron ) di un Europa forte come alleato e partner di scambio, quindi tiferanno e si daranno da fare nei limiti del possibile e senza ovviamente interferire nelle nostre politiche, per questa soluzione.
Questo è lo scenario, a voi trarre ulteriori considerazioni.

Ing. Paolo Menossi
Global Consulting Team Srl, President

Fonte:

http://silenceinchains.blogspot.it/2016/06/brexit_26.html