Informazioni su Per un'informazione libera

Sono Donatella Quattrone. Sono una blogger da alcuni anni . Mi sono occupata prima di cultura generale e poi di controinformazione ( se preferite, vera informazione o informazione alternativa). Avevo un blog su splinder prima che la piattaforma chiudesse. Poi sono passata a iobloggo con http://parolenude.iobloggo.com/ e in seguito a blogspot con il blog http://donatellaquattrone.blogspot.it/ Per problemi tecnici ho abbandonato prima una poi l'altra piattaforma. A febbraio del 2014 sono approdata a altervista.

Intervista all’ideatrice della community @iamnakedontheinternet

Madia+Claudia

 (Madia e Claudia Ska ritratte da @Miss-Sorry, ideatrice del progetto https://iamnakedontheinternet.com, per gentile concessione dell’autrice)

Com’è nata l’idea di creare una community artistica e non basata sull’esposizione di corpi sul web?

Dalla mia necessità di fotografa di trovare un luogo dove poter raccontare, tramite immagini ma non solo, le storie di chi abitualmente frequentava il mio studio; persone che spesso venivano considerate “too much” dalla società o giudicate per le loro scelte.

Date spazio anche a chi, per vari motivi, vorrebbe mettersi a nud* solo in senso figurato?

Assolutamente sì, esiste per questo una sezione “Talk” che accoglie scritti, interviste e testimonianze e una sezione Video per chi non vuole mettersi a nudo ma desidera comunque “metterci la faccia”.

In che senso il vostro progetto può definirsi inclusivo?

Nel senso che chiunque è benvenuto, senza distinzioni di genere, particolarità fisiche o età anagrafica.

Quali altre arti, oltre alla fotografia, sono contemplate nel vostro progetto? 

La fotografia per ora è il motore cardine del progetto dato che io sono una fotografa. Ma mi auguro che possa ampliarsi con l’adesione di altri artisti/narratori ad altri mezzi espressivi, se il messaggio arriva ogni mezzo è valido.

Dato che internet è il vostro campo d’azione, come vi ponete in termini di contrasto e sicurezza verso fenomeni come il body-shaminglo slut-shaming, i dickpic e il cosiddetto revenge porn?

 
Credo che l’informazione, l’educazione e lo sviluppo di una maggiore empatia verso l’altro siano armi fondamentali per contrastare questi fenomeni.
In questi due anni di iamnkd siamo state spesso ponte tra la vittima, che trovava in noi una voce amica, e l’avvocato (collaboriamo con due studi legali che operano ove possibile pro bono). Senza arrivare a casi di questa gravità abbiamo visto con gioia quanto anche solo una conversazione tramite DM possa essere fondamentale per aprire una finestra di dialogo positiva sul corpo e sull’importanza di difenderci e dire no.

 
Riguardo al rischio di censura da parte delle piattaforme di social network, quali accortezze adoperate?

 
Purtroppo se si desidera diffondere il proprio messaggio attraverso una piattaforma pubblica con enormi interessi economici e precise regole è necessario adeguarsi alle stesse, seppure spesso incomprensibili e aberranti.
Sui social pubblichiamo solo ritratti o banner che portano ad una riflessione mentre su Twitter ci sentiamo più libere di postare dei nudi, ma sempre con un occhio di riguardo.
Mi auguro che con il nostro nuovo sito internet che debutterà i primi mesi dell’anno sia possibile offrire una valida alternativa priva di censura.

 
Come sostenete il vostro progetto?

 
Iamnkd è un progetto interamente autoprodotto che mira a vivere e a rinnovarsi tramite la sottoscrizione di un abbonamento.
(Abbonatevi!)

 
C’è qualcosa che vorreste aggiungere al termine di quest’intervista e/o lanciare un appello a chi la leggerà?

 
Sì certamente, conoscere l’altro è un meraviglioso modo per conoscere se stessi per cui prima di giudicare apritevi a chi avete davanti.

Agitu e il prezzo dell’essere donna

Si rincorrono in queste ore le immagini di un sogno infranto e di un sorriso spezzato dall’ennesimo femminicidio. Agitu Ideo Gudeta, pastora di origine etiope era emigrata nel Trentino dove, recuperando  terreni abbandonati e razze rustiche autoctone, aveva dato vita all’Azienda Agricola Biologica ‘La Capra Felice’. Ieri è stata trovata uccisa nel suo appartamento. Reo confesso un suo dipendente, Adams Suleimani, ghanese, il quale ha raccontato di aver ucciso la donna a martellate per il mancato pagamento di una mensilità. Agitu è stata anche violentata mentre era agonizzante (fonte: https://www.huffingtonpost.it/entry/omicidio-di-agitu-ideo-gudeta-arrestato-un-dipendente-ghanese-ha-confessato_it_5fec2d4dc5b66809cb356f15 ).

Agitu Ideo

(Immagine tratta dall’articolo sopra)

Non possiamo parlare di un omicidio qualsiasi. L’uccisione di Agitu è un femminicidio. Agitu era una donna nera migrante che c’è l’aveva fatta: aveva coronato il suo sogno di diventare un’imprenditrice. Era sfuggita a diversi mostri: la guerra, la povertà, il razzismo. Ma non aveva fatto i conti con un altro mostro atavico che è il patriarcato. Perché se è vero che la fame può portare un uomo ad uccidere, per arrivare a commettere un delitto in modo così violento, il movente economico non può essere tutto. E poco importa se non è stato razzismo perché sia la vittima che il carnefice erano migranti stranieri. In realtà il razzismo ha diverse forme e non riguarda solo le etnie. Esistono il patriarcato e il sessismo secondo i quali una donna non può avere più successo o fortuna di un uomo, neanche a pari condizioni di partenza. Agitu Ideo Gudeta era una donna nera migrante ed Adams Suleimani è un uomo nero migrante. Ma la prima era un’imprenditrice e il secondo un dipendente. E’ questo il vero prezzo di questo delitto ed è questo ad aver fatto sì che la vita di questa donna, agli occhi dell’uomo, valesse quanto il suo stipendio, ovvero quanto la percepita distanza fra i due. Distanza che l’uomo ha voluto cancellare a suo modo, accanendosi contro la donna e violentandola nell’essenza stessa della sua femminilità mentre era ancora in vita. Non più una datrice di lavoro e un dipendente, non più quindi due esseri umani in una legittima relazione economica, ma solo una donna ed un uomo con l’illegittimo potere di quest’ultimo di disporre del corpo e della vita della prima. Agitu ha pagato con la sua vita il prezzo dell’essere una donna. Spero che la sua tragica e violenta morte faccia riflettere chi dice che non ha senso parlare di femminicidio, di violenza di genere, di patriarcato, di femminismo.

 

D. Q. 

 

Intervista a Carmen Ferrara, attivista non-binary e ricercatrice in formazione

 

Carmen Ferrara

Io: Ti definisci un’attivista per i diritti LGBTI non-binary. Ti va di spiegarci cosa significa?

C.F.: Certo. Io sono una persona non binaria, non colloco la mia identità di genere in maniera binaria, non sono un mix di maschile e femminile, rifiuto proprio di definirmi in relazione a questi parametri. Per convenzione e per una scelta politica utilizzo i pronomi femminili. Rispetto alla mia identità di attivista, innanzitutto ci tengo a dire che non si fa attivismo, ma si è attiviste. Quando ero al terzo anno di liceo mi sono innamorata della mia compagna di banco. Non ho fatto coming-out come lesbica, perché questo presupponeva che io fossi donna. Ho semplicemente detto di provare dei sentimenti per una ragazza. Provengo da un piccolo paese vesuviano e non avevo internet a casa, ma lo usavo a casa di amici. Tramite un sito di incontri ho scoperto l’esistenza di associazioni e ho iniziato a frequentare Antinoo Arcigay Napoli, ormai quasi dieci anni fa. Ho preso consapevolezza dei miei diritti e delle ingiustizie sociali, per cui è stato naturale iniziare ad impegnarmi attivamente.

Io: Rispetto al tuo percorso di studi, cosa ti ha spinto al punto da voler intraprendere un dottorato di ricerca nell’ambito degli studi di genere?

C.F.: Ho fatto un liceo delle scienze umane, che all’epoca di chiamava socio-psico-pedagogico. Per la mia famiglia era strano che dopo il liceo volessi fare l’Università perché provengo da un contesto umile. La mia famiglia non aveva possibilità economiche e mi sono mantenuta facendo vari lavori: il call center, la cameriera, le pulizie, la badante. Sapevo che studiare era un modo per migliorare la qualità della mia vita, per prendere le distanze da modalità violente che caratterizzavano l’ambiente in cui sono cresciuta e soprattutto per potermi difendere. Sia alla triennale che alla magistrale ho studiato Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, volevo comprendere la società e imparare l’inglese per ampliare le mie opportunità. Durante la stesura della tesi mi sono approcciata alla ricerca e me ne sono appassionata. La prima è stata sui migranti LGBTI, la seconda è stata sulla pianificazione strategica delle politiche di inclusione a Malta. Dopo di che ho iniziato a collaborare con un think tank, spin-off dell’Università di Cambridge che si chiama GenPol- Gender & Policy Insights. Un dottorato in studi di genere mi sembrava la naturale evoluzione del mio percorso e quindi ho fatto domanda per un dottorato transdisciplinare dal titolo “Mind, Gender and Language” sempre alla Federico II di Napoli.

Io: Nel libro che hai pubblicato sottolinei l’importanza dell’intersezionalità, cos’è e perché è importante?

C.F.: L’intersezionalità è un concetto spesso abusato, ma se applicato con criterio consente di rendere visibili forme di oppressione che altrimenti sarebbero neutralizzate. Nel caso delle donne trans nere, ad esempio, è fondamentale adottare un approccio intersezionale per comprendere le discriminazioni che possono subire. Facciamo il caso che in un progetto per l’inclusione lavorativa delle persone trans e delle persone migranti i datori di lavoro accettino di assumere solo persone trans bianche e persone migranti cisgender. Cisgender, per intenderci, è il contrario di transgender. Come ci insegna Kimberlé Crenshaw, che è colei che ha teorizzato questo concetto, se una donna trans nera non viene assunta da nessuna azienda e per leggere l’accaduto si utilizza la lente dell’identità di genere, i datori di lavoro potranno dire che non hanno fatto alcuna discriminazione di genere, perché loro hanno assunto delle persone trans. Se guardiamo alla razza, loro diranno che non sono stati razzisti, perché hanno assunto persone migranti. Però non hanno assunto nessuna donna trans nera e questa discriminazione può essere vista solo se si osservano contestualmente le dimensioni del genere e della razza e il  loro punto di intersezione. Nelle pratiche politiche è importantissimo adottare un approccio intersezionale, perché non ci si può battere per i diritti delle persone LGBTI senza considerare le persone LGBTI migranti e/o disabili e, aggiungo, è controproducente impegnarsi per i diritti di una minoranza senza fare fronte comune.

Io: C’è qualcosa che vorresti aggiungere?

C.F.: Sì, un altro aspetto importante da considerare è legato alla povertà, alla lotta di classe. E quando parlo di povertà ovviamente parlo di povertà economica, educativa, deprivazione materiale e affettiva. Noi che siamo meridionali lo sappiamo bene. In questo momento, tra le varie cose, mi sto occupando di una particolare forma di violenza di genere, che è la violenza domestica nelle relazioni con partner LGBTI ed è sconvolgente il numero di survivors senza fissa dimora, per cui non esistono servizi, né rifugi. Questo è un dato che come associazione conosciamo bene, ma supportare la ricerca vuol dire raccogliere dati e avere contezza di un fenomeno consente di fare pressione sul legislatore e di porre in essere politiche e servizi che tengano conto dei bisogni specifici.

Raccogliere informazioni è propedeutico alla creazione di una società più giusta. Poi credo sia importante che chiunque lo faccia (come te hai un blog, da poco ne ho aperto uno anch’io) per sensibilizzare in più ambiti possibili.
In conclusione vorrei dire che in questo momento di pandemia, è fondamentale più che mai non dimenticare tutte le persone che vivono ai margini, in spazi senza privacy e senza poter accedere ai paracaduti sociali, pensa alle sex workers senza cittadinanza.
Io sono senza dubbio una persona privilegiata sotto tanti punti di vista e, tra l’altro, posso dirti che oltre ai legami di sangue che lasciano il tempo che trovano se non coltivati, per molte persone queer come me la comunità diventa la tua famiglia. Quando sono stata a Malta per il periodo di ricerca etnografica non conoscevo nessuno, ma il fatto che fossi un’attivista mi ha fatto trovare lì una comunità che mi ha accolta come se mi conoscesse da sempre. Mi ritengo veramente una persona molto fortunata.

Intervista a Martina Donna, attivista, scrittrice e blogger omodisabile

Martina Donna

Ho intervistato Martina Donna, attivista per i diritti lgbt+, scrittrice e blogger affetta da tetraparesi spastica dalla nascita, autrice del  romanzo IO SONO MARTINA una ragazza, una sedia a rotelle, un amore, un’avventura. Questo il suo profilo Instagram:
Ecco, di seguito, l’intervista:
  • Tu ti definisci omodisabile. Ti va di parlarmi di questo doppio canale con cui vivi la tua identità e il tuo attivismo?

Tante persone mi chiedono se penso di essere detentrice di due diversità e come mi sento. Penso di esserlo, ma usare la parola diversità oppure normalità non mi piace.  Mi domando invece: Che cos’è la diversità? Che cos’è la normalità? Semplice. Ognuno di noi può decidere che cosa considerare diverso oppure no, che cosa definire normale oppure no.  Non credo affatto di avere dei limiti o sfortune, a detta di alcuni. Sono convinta invece di possedere delle carte uniche e vincenti, che mi consentono di vivere una vita piena e appagante. Mi definisco attivista da quando sono stata nominata rappresentante della categoria e mi sento davvero onorata. Tutto ha avuto inizio quando mi è stato dato l’enorme privilegio di parlare sul palco del Milano Pride 2019. Amo interagire con le persone e essere attivista mi ha facilitato ulteriormente in questo. Il mio obbiettivo è raggiungere il cuore di chi lo desidera e dare così l’aiuto di cui si ha bisogno. Inoltre voglio lasciare una traccia positiva del mio passaggio su questa terra e fare il possibile per annullare pregiudizio e discriminazione.

  • Ti capita di subire discriminazioni? Se sì, avviene più spesso per la tua disabilità, per l’orientamento sessuale o in egual modo per entrambe le condizioni?

Sì, nella vita mi è capitato durante l’adolescenza. Gli anni della scuola, soprattutto le medie, sono stati anni difficili e duri. Venivo bullizzata a causa della mia disabilità, in quegli anni non era iniziato il mio processo  di accettazione e sono convinta che questo abbia facilitato gli atti di bullismo subiti. Riguardo il mio orientamento sessuale, invece, non ho subito alcun tipo di discriminazione. Piuttosto ho provato un totale senso di inclusione e accettazione all’interno dell’intera comunità LGBT+

  • Parlare della sessualità delle persone disabili è, purtroppo, un tabù diffuso. Disabilità e omosessualità insieme rappresentano un tabù nel tabù?

È un tabù sfortunatamente, non perché realmente lo sia, ma perché la nostra società è da sempre abituata a considerare questi due fattori tabù in quanto la persona con disabilità viene percepita ancora oggi come asessuata. Dunque essere anche omossessuali crea un ulteriore choc sociale. Uno dei miei obbiettivi come attivista è proprio quello di distruggere definitivamente questo tabù, perché non rispecchia la realtà, ma la distorce alimentando in maniera costante pregiudizio e discriminazione. I disabili fanno sesso, eccome se lo fanno! Hanno una sessualità normale, anzi a volte addirittura migliore di quella dei normodotati. Poi mi domando in ultimo quale diritto ha un normodotato di presumere o anche solo pensare che la persona con disabilità sia asessuata perché disabile? È perché non si pensa o si presume la stessa cosa per voi cari normodotati?

  • Nella società abilista ed eteronormata in cui viviamo, cosa potremmo fare per sensibilizzare sempre di più all’accettazione e valorizzazione dei corpi e delle sessualità non conformi?

Premetto che usare la parola abilista è discriminatorio verso tutte le persone disabili. Peraltro il termine abilismo è finalmente all’interno della Treccani. Perciò utilizzeremo la parola società normodotata, o ancora meglio nella società di persone non disabili. Per far sì che la sensibilizzazione funzioni è necessario interrompere la catena del pregiudizio mediante l’informazione. Dove non c’è informazione nascono i pregiudizi. È un circolo vizioso che deve essere spezzato. Bisogna ricordare come detto all’inizio che il diverso viene visto tale perché lo si vuole vedere in quel modo. Lo stesso vale per sessualità e corpi non conformi. La diversità, il problema, sta sempre negli occhi di chi vuole e continua a considerarlo come tale.

  • Quanto è importante, secondo te, l’intersezionalità delle lotte per i diritti umani?

L’intersezionatilità è importante ma non fondamentale. Ciò che conta a mio avviso sono le azioni compiute dal singolo individuo per portare a compimento l’obbiettivo prefissato. Possono esserci disabili eterosessuali, persone non disabili omosessuali oppure persone omodisabili come nel mio caso. Questo non rende diverso o meno importante l’impegno di tutti riguardo i diritti umani. Certo una persona con entrambe le cose può avere in alcuni casi una maggior apertura, ma non è affatto scontato.

  • Il sesso, nel senso di vivere anche fisicamente la sessualità, è un diritto? Perché?

Certamente! È un diritto e un bisogno per qualunque essere umano. I disabili sono persone con desideri e pulsioni eguali a quelle dei non disabili. Come già detto sopra. Per questo sarebbe fondamentale in Italia una legge che regolamenti la figura professionale dell’assistente sessuale, già regolamentata in Belgio, Svizzera, Danimarca, Germania, Olanda e Svezia. Negli USA questa figura è un connubio tra terapeuta, sessuologa e assistente personale. In Italia viene spesso associata alla prostituzione, ma non è affatto così. L’assistente sessuale non può praticare sesso in modo completo con il proprio assistito. Tale figura professionale si occupa non solo dell’aspetto fisico ma soprattutto dell’aspetto emozionale, aiutando la persona che assiste a trovare una sua dimensione sessuale. Il disegno di legge fortemente voluto da Sergio Lo Giudice (PD) e dalla parlamentare Monica Cirinnà rimane fermo al 2014. È disumano negare la sessualità a chi ne sente il bisogno, solo perché disabile.

  • Qualche giorno fa ricorreva la Giornata Mondiale della Disabilità? Ritieni utili simili iniziative?

Sì, il 3 dicembre era proprio la Giornata Mondiale Per Persone Con Disabilità. Questa data è importantissima e il suo obbiettivo è quello di sensibilizzare sul tema della disabilità ma soprattutto sul tema dei diritti. Purtroppo esistono ancora molte discriminazioni verso le persone con disabilità e questa giornata contribuisce all’abbattimento di tali discriminazioni. È inoltre concepita in un’ottica di dignità umana, perciò ritengo che questa data non sia soltanto utile ma fondamentale.

  • In quanto donna, disabile e lesbica, ritieni che il ddl Zan in contrasto al’omolesbobitransfobia, alla misoginia e all’abilismo, qualora approvato, cambierebbe l’impegno collettivo verso una sempre maggiore inclusione di tutte le soggettività?

Anche la legge Zan a mio parere è di fondamentale importanza e nutro la speranza che venga approvata anche al Senato. Sono fiduciosa che potrebbe cambiare l’impegno collettivo, ma soprattutto contribuirebbe ad un’apertura mentale a livello sociale della quale abbiamo estremamente bisogno, per poter essere una società sempre più inclusiva e sempre meno predisposta ad un qualunque tipo di discriminazione e pregiudizio.

  • C ‘è qualcosa che vuoi aggiungere al termine di quest’intervista e/o lanciare un appello a chi la leggerà?

Siate sempre fieri di voi stessi e di ciò che fate. Non vergognatevi mai delle vostre scelte, non abbiate paura di chiedere ciò che ancora non conoscete o semplicemente vi incuriosisce. Andate oltre i vostri limiti e le vostre paure, solo così riusciremo a creare una società migliore e potremmo essere sempre un passo avanti. Fate sempre sentire il vostro grido al mondo.

D. Q.

 

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Sessualità, esibizionismo e pornografia: ne parlo con Claudia Ska di agit-porn

Claudia_Ska_IamNakedOnTheInternet

 Claudia Ska per “I am Naked on the Internet” a cui vanno i crediti
*
Ciao, Claudia. Grazie per aver accettato quest’intervista.
  1. Tu ti definisci un’“agitatrice” e curi un sito internet chiamato agit-porn. Com’è nato questo progetto?

L’idea di aprire un sito in cui parlare di sesso e pornografia è di alcuni anni fa. In partenza mi sarebbe piaciuto aprire una sorta di magazine online che fosse pop ma dove poter dare spazio a interventi anche di stampo accademico con persone specializzate, col tempo si è fatta strada l’urgenza di non raccontare tanto le cosiddette “notizie calde”, ossia le news del giorno o della settimana, ma di fare una narrazione di più ampio respiro, dove proporre delle riflessioni che non si basassero semplicemente sull’attualità. Ci tenevo inoltre che il sito fosse strutturato come uno spazio fisico, una casa aperta a chiunque e con un’area dedicata alle esposizioni, di qui l’idea di aprire al suo interno l’Open Space, curato da Gea Di Bella de La camera di Valentina.

2. Affermi di essere esibizionista e parli spesso di esibizionismo. Cosa intendi nello specifico con questi termini?

Intendo esattamente quello che significano, ossia mettersi in mostra. Per quanto mi riguarda il mio è un esibizionismo puramente estetico, fisico, carnale, mi piace essere guardata, ma quando, come e da chi voglio io, ecco perché scelgo con cura le modalità di questa pratica. Sui social e in generale su Internet il mio esibizionismo è talvolta frivolo, fine a sé stesso mentre in altre occasioni lo sfrutto per fare storytelling. Non c’è una regola. Il mio esibizionismo è un modo per dire “Guardatemi, esisto!”. Tutto sommato attirare l’attenzione delle altre persone non è così difficile, è mantenerla su di sé la vera sfida.

3. Secondo te, perché parlare, scrivere, occuparsi di sessualità suscita, per molti, imbarazzo?

Se ti dico “senso del pudore”, che significa etimologicamente “senso della vergogna”, basta? Nonostante si parli e si fruisca di contenuti a tema sessuale, siano essi educativi (o più spesso ambiscano a essere tali) o ludici (la pornografia), e nonostante la nostra epoca sia caratterizzata da quello che in Sociologia è definito come “pornification” – ossia la pervasività a più livelli e in differenti contesti di codici derivanti dalla pornografia – non si possono cancellare millenni di mortificazione del corpo e della sessualità, pertanto è diffuso provare imbarazzo e vergogna ad affrontare questi argomenti tanto nel privato quanto pubblicamente. Il sesso e ciò che a esso è connesso sono ancora grandi tabù.

4. Una recente norma firmata Pillon vorrebbe creare un filtro antiporno per tutelare i minori. La pornografia è sempre diseducativa?

Ovviamente no! Questo emendamento all’articolo 7 bis nel Decreto Legge Giustizia è scritto male sotto l’aspetto sia formale che contenutistico. È moralista e pensa di sapere cosa sia giusto e sano per le persone piccole, di fatto volendo creare un blocco per chiunque, veicolando il messaggio che la pornografia sia sempre e solo sbagliata, diseducativa e pericolosa. Anche se così fosse, non sarebbe di certo un filtro censorio a risolvere il problema ma piuttosto un lavoro educativo fatto da persone lungimiranti e di mentalità aperta, non di certo un tizio notoriamente sessuofobo e omofobo.

5. In tempi di pandemia come possiamo adattare le nostre abitudini sessuali?

Questa potrebbe essere l’occasione per sperimentare (di più) con la masturbazione, anche utilizzando dei toy. Inoltre, dato che la tecnologia è stata utile per unirci e non farci perdere di vista, perché non utilizzare dei sex toy che possano essere controllati e gestiti anche da remoto? Potrebbe rivelarsi una buona un’occasione per perdere il controllo in modo soft. Sono inoltre una grande fan del sexting, ovviamente con l’uso di alcune accortezze per farlo in modo rilassato e quanto più possibile sicuro anche con persone sconosciute. Direi che la difficoltà reale sia trovare persone con cui sia piacevole farlo.
Il sexting è come il sesso: è soddisfacente se ci sono ascolto, empatia, curiosità, disinibizione e serenità. Senza giudicare e giudicarsi. Si tratta pur sempre di relazioni, che vanno create nell’arco di una singola chat, magari, non importa. L’intesa dipende non solo dai punti in comune, dalla visione che si ha del mondo, ma anche da come ci si approccia a esso.
A chi ha la possibilità di avere accanto delle persone con cui fare sesso, suggerirei di cercare senza ossessione nuovi stimoli nel quotidiano, ponendo attenzione a gesti che non hanno apparentemente relazione col sesso.
Comprendo, e mi permetto di consigliare di non forzare la mano, se le preoccupazioni e le ansie indotte da questa precarietà sanitaria e socio-economica dovessero far calare la libido o farla assopire temporaneamente. Credo sia fisiologico anche questo aspetto e ogni persona dovrebbe trovare il proprio equilibrio a modo suo senza sentirsi sbagliata o strana.

6. Che rapporto c’è tra sessualità e femminismo intersezionale?

Premetto subito che non sono una studiosa di femminismo e quindi la mia formazione è in itinere, pertanto non vorrei dare informazioni sbagliate o poco pertinenti. Quello che sto imparando rispetto al femminismo intersezionale è che, a dispetto di quello cosiddetto radicale  o separatista, non è oltranzista e discriminatorio e soprattutto mette in relazione le oppressioni, perché sono correlate. La posizione nei confronti della sessualità è quindi aperta e curiosa.

7. C’è qualcosa che vuoi aggiungere?

Secondo me c’è da fare ancora un enorme lavoro e per farlo in maniera significativa bisogna che chiunque si metta in discussione e metta in discussione le proprie posizioni. Dobbiamo ridiscutere le premesse di molte nostre argomentazioni, perché spesso sono inficiate dal principio. Penso a temi come “sessualizzazione” e “revenge porn”, per esempio, ma anche il lavoro sessuale e in generale il concetto di mercificazione (del corpo).

 

Grazie per la disponibilità e per il tempo che mi hai dedicato.

Donatella Quattrone

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Body positive e grassofobia: ne parlo con Carmen di @iononmemevergogno

foto1 (1)Nella foto l’intervistata, Carmen Mastrangelo

Io: Ciao, Carmen. Grazie per aver accettato quest’intervista.

1. Com’è nata l’idea della pagina Instagram @iononmenevergogno?

E’ nata in maniera graduale. Io non me ne vergogno era l’hashtag della mia campagna social nata nel 2016 che aveva l’obiettivo di aiutare chi faceva fatica a mostrarsi in foto a figura intera perché si vergognava del proprio corpo. Poi ho scelto di utilizzarlo per trasformare il mio profilo in una community body positive inclusiva con uno sguardo alle esperienze personali.

2. La body positive e la fat acceptance sono sinonimi o la prima riguarda anche le persone magre o normopeso?

Diciamo che spesso vengono confuse. La body positivity credendo nella validità dei corpi include inevitabilmente la fat acceptance, ovvero accettare la validità dei corpi grassi abolendo lo stigma sociale che da anni li opprime. Ad oggi, in Italia, questo concetto non è ancora ben chiaro. Non si può parlare di Body Positive e farsi i ganzi sui social facendo emergere ancora concetti grasso-fobici e senza parlare o avere come obiettivo almeno, l’accettazione delle persone grasse.

3. Che cos’è la grassofobia o fat shaming?

La grassofobia è un insieme di micro-aggressioni, di atteggiamenti e pensieri volti a denigrare, stigmatizzare, prendere in giro e stereotipare le persone grasse. Il fat shaming è il termine con cui viene definita la concretizzazione dei concetti sopra riportati, in azione offensive e a volte anche violente.

4. Uno dei pregiudizi più diffusi nei confronti delle persone grasse è che siano quelle che mangiano di più. E’ davvero sempre così?

Assolutamente no! Si può avere un peso differente da ciò che il BMI decide che sia corretto per noi, per svariati motivi non per forza legati al mangiare di più o alla sedentarietà, come tanti vogliono credere pur di stigmatizzare chi è grasso. Esistono questi casi ma non è mai solo un problema di piacere nel mangiare o pigrizia, ci sono fattori ambientali, economici, psicologici, sociali ecc. Inoltre questo tema si può totalmente slegare dalla questione cibo quando parliamo di problemi ormonali ad esempio. Detto questo chi sceglie la propria condizione perché preferisce non privarsi di nulla non vale comunque meno di chi fa delle rinunce o delle diete nonostante sia grasso. Dovremmo semplicemente smettere di parlare delle scelte di vita altrui in ogni campo.

 
5. Quando un’altra persona ti dice che faresti meglio a stare a dieta è sempre grassofobia o, in alcuni casi, potrebbe essere un consiglio lecito?

Bisogna vedere quanto sia necessario dare un consiglio del genere e quanto la persona grassa in questione ha piacere nel riceverlo. Solitamente è sempre un’azione grassofobica. Ti dico di metterti a dieta perché penso che da magra saresti più bella e anche quando ci infiliamo la salute di mezzo non è quasi mai questo il vero sentimento che spinge a dare il consiglio. Anche perché se ti consiglio di perdere peso proponendoti la dieta del sedano, o di spaccarti in palestra e mettere le catene al frigorifero, non ti sto facendo del bene, probabilmente ti sto introducendo ad un disturbo alimentare e nemmeno lo sai.

6. Cosa pensi dell’idea che l’essere grassi sia associato automaticamente dai più all’essere brutti?

E’ una convinzione che l’industria della bellezza e la cultura della dieta ci hanno indotto da tempo. Anzi forse la bruttezza legata al grasso ha origini ancora più antiche ma su questo dovrei farci una ricerca. Di sicuro la rappresentazione che dal secondo dopoguerra abbiamo delle persone grasse è sempre legata a qualcuno di strano, pigro, mangione, puzzolente e automaticamente brutto. Oggi a quanto pare i contorni di questi stereotipi si stanno sfumando anche grazie al movimento body positive che stacca e lo ripeto, stacca il concetto di bellezza dai corpi. Un corpo valido non deve essere necessariamente bello, dove per bello si intende accettabile ai più. Anche perché la bellezza da sempre è soggettiva altrimenti avremmo un mondo di splendidi cigni e anatroccoli in via di estinzione.

7. Si può affermare che la fat acceptance rientra nella sex positivity? Un corpo grasso potrebbe essere considerato non solo bello ma anche sexy e avere diritto, quindi, a mostrarsi come tale?

Io sono una di quelle che vuole parlare anche in termini di sex positivity delle persone grasse. C’è chi prova attrazione per loro e non per forza deve essere additato come pervertito o feederist (coloro che provano eccitazione nel veder mangiare le donne grasse). Le persone grasse hanno diritto a tutto come le altre sulla carta. Quello che però cambia è la considerazione che la maggior parte delle persone ha di loro a livello sociale. La cosa che mi incuriosisce è capire perché nel privato si provano pulsioni sessuali per le persone grasse ma poi si fa difficoltà nel dichiararlo in pubblico. Anche questa è grassofobia e alimenta lo stigma, limitando chi è grasso a dichiarare di avere una libertà sessuale come tutti. Dall’altra parte col fenomeno del curvy si è arrivati ad un livello estremo di sessualizzazione del corpo femminile, parlando di donne morbide come vere donne, della carne più apprezzata a letto ecc.
Questo è un modo sessista di vedere la funzione del corpo femminile, considerandolo unico oggetto di piacere per gli uomini quando sappiamo tutti che 1. ad oggi parlare di etero-normatività è riduttivo e 2. Un corpo femminile non è solo uno sforna bambini. Tra l’altro non amo chi espone la propria approvazione verso i corpi grassi comparandoli con quelli magri sulla base delle prestazioni sessuali.

8. Alcuni giustificano le critiche severe alle persone grasse facendo riferimento alla salute e al rischio di incentivare abitudini scorrette. Cosa rispondi in questi casi?

Le critiche severe non servono a niente, sono puro esercizio di potere sui corpi non conformi e che vogliamo portare alla nostra normalità perché ci si inceppa il cervello quando affrontiamo la diversità. Non è mai una vera attenzione alla salute altrimenti staremmo a commentare ogni abitudine sbagliata che la gente adotta. Le critiche verso le persone grasse sono sistemiche e dirò una cosa forte, sono incentivate anche dalle istituzioni. Volete dare una mano a chi è grasso? Cercate di conoscere quali sono i loro problemi se li hanno, di capire le loro istanze e di non intaccare la loro salute mentale con le vostre rotture di scatole perenni.

9. Cosa ne pensi degli eufemismi che si usano talvolta al posto dell’aggettivo grasso? Hanno a che fare col rispetto verso le persone grasse o sono piuttosto una velata forma di grassofobia?

Se ti riferisci a termini come curvy, morbida, burrosa, curvosa ecc. io non li preferisco e ho scelto già da tempo di usare grasso come unico termine che racchiuda ogni fat shape. Però questa è una scelta personale, non voglio assolutamente giudicare nessuno anche perché far pace con certi termini non è facile ed è un percorso lungo. E’ inevitabile però che se questo discorso lo estendiamo alle istituzioni (famiglia, media, scuola ecc.) e se questi ancora non normalizzano la parola grasso spogliandola dalla sua connotazione negativa, sarà difficile accettarla con facilità.

10. Le modelle curvy sono un passo avanti verso la body positive, sono solo una strategia di marketing delle case di moda, o entrambe le cose?

Su questa domanda potremmo starci per ore e per evitare di scriverti un papiro ti dirò ciò che penso a bruciapelo. Il 90% delle volte in Italia è marketing. Questo si vede già dal fatto che la moda non è inclusiva almeno nei confronti delle persone grasse, poiché le taglie delle grandi maison che hanno abbracciato la body positivity non vanno oltre la 54.

 
11. Cosa possiamo fare per contrastare il fenomeno del fat shaming ?

Non trattare le persone grasse con paternalismo, come se non avessero capito niente della vita e soprattutto cercare di normalizzare i corpi grassi rappresentandoli sempre di più e dandogli sempre di più spazio e voce. L’ educazione alla diversità è fondamentale cercando di non incappare in quelle argomentazioni ipocrite come: siamo tutti uguali, siamo tutti belli.

12. C’è qualcosa che vorresti aggiungere?

No! Solo grazie per l’opportunità e scusa per essermi dilungata in alcune domande.

Io: Grazie per la disponibilità e per il tempo che mi hai dedicato.

Donatella Quattrone

Linguaggi inclusivi tra terminologia e cinematografia: ne parlo con Stefania Ratzingeer

 

Nessuna descrizione disponibile. Immagine usata dall’autrice per firmarsi

Io: Ciao, Stefania. Grazie per aver accettato quest’intervista.

S.: Grazie a te. Mi fai sentire importante.

Io: Tu sei una docente d’italiano e hai scritto una tesi sulla democrazia linguistica. Cosa ne pensi del dibattito sul maschile sovraesteso nella nostra grammatica e sui nomi professionali al femminile?

S.: Io non insegno italiano, ma italiano seconda lingua. Ho scritto una tesi sull’ipotesi di democratizzazione della lingua dominante e sulla teorizzazione di una lingua comune per tutti, ovvero l’esperanto. Per quanto riguarda la lingua italiana, al momento credo che sia necessario introdurre termini che identifichino professionalmente anche il femminile, perché è dal linguaggio che passa la normalizzazione di concetti ancora eccessivamente stereotipati. In Italiano non abbiamo a disposizione pronomi neutri, come succede ad esempio con lo Svedese e con altre lingue di matrice anglosassone, e questo crea un importante ostacolo alla creazione prima dell’idea e poi della concretizzazione dell’esistenza di determinate figure professionali (e non) scevre da distinzioni di genere.

Io: Hai in parte anticipato la domanda successiva. Vorrei chiederti, infatti, qual è la tua opinione su asterisco, scevà e altre desinenze per superare il binarismo di genere.

S.:  E’ assolutamente necessario introdurre nella lingua italiana espedienti grammaticali che ci permettano di non concentrarci sul binarismo di genere, per poter passare dal concetto alla realtà. Sono piuttosto sfiduciata per quanto riguarda le tempistiche di questo cambiamento linguistico: l’italiano è una lingua che cambia in modo biologico, non a tavolino. Istituzioni come la nota Accademia della Crusca si occupano di legiferare in merito ai neologismi, ma si tratta di costrutti che nascono spontaneamente e non di decisioni prese a tavolino: per quanto riguarda l’annullamento nel linguaggio di quella che è una vera e propria discriminazione bisognerebbe valutare un intervento a tavolino, che va tuttavia contro le dinamiche di apprendimento cui siamo abituati. I tempi sono lunghi quindi, credo se ne possa parlare in modo sistematico almeno tra un paio di generazioni, iniziando a contare già dalla prossima, ma è una visione ottimistica.

Io: Sei anche una cultrice di cinema. Da qualche mese collabori con il sito agit-porn attraverso una rubrica di recensioni cinematografiche, nella quale rileggi trame di film horror in chiave pornografica. Come è nata quest’idea?

S.: Quest’idea è nata dal fatto che ho conosciuto Claudia Ska, la fondatrice di agit-porn insieme a Gea Di Bella, fondatrice di “La camera di Valentina”.  Parlando insieme a Claudia, è uscita fuori la mia passione per il cinema e abbiamo pensato che tra l’horror e il porno potessero esserci degli elementi in comune per via delle reazioni emotive che entrambi i generi suscitano: eccitazione nel caso del porno, paura nel caso dell’horror. Nell’horror c’è anche il fatto che spesso i personaggi vivono situazioni di non inclusione, oltre ad essere pure degli assassini, come nel film Psyco (di cui ho parlato nel mio ultimo articolo) o come (in un altro film di cui non ho ancora scritto) in Non aprite quella porta.

Ho messo insieme, quindi, due mie passioni, il cinema e il sesso, ed è nata una collaborazione proficua tra me e Claudia.

Io: Ci sono punti in comune fra il linguaggio letterario e il linguaggio cinematografico? Se sì, quali sono?

S: Io non sono particolarmente autorevole in materia ma una cosa su cui vorrei porre l’accento è la narrazione. Il cinema narra e la letteratura narra. Soprattutto i personaggi che nascono in contesti difficili hanno bisogno della narrazione. Oggi credo sia ancor più importante la contronarrazione. E’ quello che sto cercando di fare su agit-porn, rileggendo le trame di alcuni film conosciuti e creando delle contronarrazioni che le rendano meno tragiche. Per esempio, in uno dei film della saga di Alien c’è una narrazione traumatica di un aborto. Una contronarrazione potrebbe essere la rinuncia alla maternità non vista come un dramma ma come una libera scelta.

Riguardo alla letteratura, i romanzi evocano immagini nel lettore. Nel cinema, soprattutto mediorientale, esiste anche una tecnica di tipo evocativo. Il cinema horror è molto evocativo. Anche il cinema porno lo è. Penso, quindi, che anche da questo punto di vista cinema e letteratura si capiscano molto.

Io: Grazie per le tue risposte.

Donatella Quattrone

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Intervista a Ella Bottom Rouge, performer di burlesque lesbica

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Shooting metro Pasteur e Parco Nord 1-6-20

Nelle foto Ella Bottom Rouge

 

Ciao, Ella. Sono Donatella Quattrone. Grazie per aver accettato di fare quest’intervista.

1)    Tu sei una performer di burlesque. Cosa spinge una donna verso questa forma d’arte?

Dalla curiosità a dire il vero, molto semplice! Avevo visto degli spettacoli e mi avevano fatto dire: “cos’è sta figata, voglio farla subito!!” Così cercai un corso e cominciai dalla base come tutti. Molte allieve arrivano anche per una voglia di cambiamento, dopo un figlio, dopo una rottura, qualcuna in estrema rivolta, dopo il cancro. E ovviamente c’è chi arriva per riscoprire quel sapore retrò della seduzione e degli abiti d’altri tempi.

2)    Il burlesque è un’arte che risale al periodo vittoriano ed è andata via via modernizzandosi. Secondo te, è questa fusione tra vintage e modernità ad attrarre in queste performance?

Assolutamente. Si è attratti dai costumi, dall’estetica, dalle musiche e anche dalla riscoperta del potere seduttivo che ognuno ha. Uomini e donne.

3)    In un burlesque show prevale la sensualità, l’ironia o c’è un giusto mix fra queste componenti?

Mix è la parola vincente! Non dimentichiamoci che è uno spettacolo, deve intrattenere e avere il giusto ritmo per farlo. Se facessi la gattona per 5 minuti di fila la gente si annoierebbe. E sotto un altro punto di vista è questo che rende importante il messaggio del burlesque: sorridere e portare il pubblico a sorridere con noi dei nostri difetti, rotolini e smagliature è una forza.

4)    Da chi è composto solitamente il pubblico di un burlesque show?

Variegatissimo! Ma la parte femminile è sempre la percentuale più alta.

5)    In quali locali ti esibisci di solito?

 Precovid la vita era più facile e gli spettacoli tanti, ahimè. A Milano è rimasto il mio amato WET The Show, format nato ormai quattro anni fa sul legame dell’arte erotica e la cucina afrodisiaca. Si tiene tutti mesi a Lo Stacco, un ristorante con un palco veramente pazzesco, le prossime date sono il 25 settembre e il 9 ottobre, con un ospite veramente speciale. 

6)    Quale idea del femminile traspare da questi spettacoli?

 Sicuramente una persona forte, che sa quello che vuole e che non ha paura a prenderselo. Posso citare una delle mie grandi icone e artista preferita, Dirty Martini; “il burlesque è prendere uno spazio e farlo proprio.”

7)    Tu sei anche un’attivista per i diritti lgbtq+ lesbica. Nei tuoi spettacoli traspare il tuo impegno sociale?

Azz, attivista non lo so! Certamente ho le idee chiare su tante cose, e non sono una che sta zitta, ecco. Da adolescente mi sono interessata ai movimenti dei centri sociali e subito dopo Genova ho fatto un pezzo di rivoluzione anche io. Leggo, mi informo, cerco di incorporare la cronaca anche quando faccio il presentatore. Credo davvero che l’arte dell’intrattenimento sia un veicolo reale di informazione e denuncia, in un certo senso. È quello che faccio insieme a DRAMA, il Queer Cabaret che tra una risata e un lipsync parla di sessualità, pressione sociale, body positivity, body shaming e molto altro. 

8)    Che rapporto c’è in Italia, in generale, tra il mondo lgbtq+ e l’arte del burlesque?

Negli ultimi anni stiamo facendo dei passi in avanti! Quando nel 2018 il Pride mi ha commissionato uno spettacolo è sembrato un miracolo che 15 artisti da tutta Italia, più un headliner internazionale avessero “infettato” con boa e bumbs&grinds tutta Milano! Purtroppo è ancora un mondo eteroformato, dove la seduzione è a senso unico, femmina verso maschio, ma ci sono delle isole felici, e abbiamo bisogno del supporto degli Ally. Le scuole fanno tanto, con i corsi genderfree, idem i colleghi boylesquer. Ci vorrebbero più coming out, anche. Ma questa è un’altra storia.

9)    C’è qualcosa che vuoi aggiungere e/o un messaggio che vuoi lanciare al termine di questa intervista?

 

Siate onesti, siate voi stessi, e fate burlesque!

 

Ella Bottom Rouge
The Mediterranean Wave of Burlesque
 

 

Ti ringrazio per la disponibilità e il tempo che mi hai dedicato.

 

Donatella Quattrone

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La street art resiliente del collettivo Lediesis

Laika giugno 2020 (2)

Laika giugno 2020Frida Napoliburqa

 

 

 

Ciao, Ledies.  Sono Frida Napoli (3)burqa (2)Donatella Quattrone. Grazie per aver accettato quest’intervista.

1) Il vostro è un collettivo di street artist. Siete operative in diverse città italiane: Roma, Palermo, Napoli, Livorno, Firenze, L’Aquila, Venezia, Milano, Bari, Bologna. E avete anche partecipato a delle mostre. Molte delle figure che rappresentate fanno parte del mondo dell’arte, della poesia, del cinema e della musica: come Alda Merini, la collezionista d’arte Peggy Guggenheim, Maria Callas, la performance art Marina Abramović, Marlene Dietrich, Lina Wertmuller, l’artista Yayoy Kusama, Frida Kahlo. I luoghi e le figure da voi scelte possono essere letti come una manifestazione d’amore verso il nostro paese e verso l’arte in tutte le sue sfumature?

Viviamo di arte e per l’arte. Quello che ci muove è arrivare al cuore della gente, provocare emozioni. In nostro sogno è quello di cambiare la visione del mondo e delle menti attraverso l’arte.
Quello che creiamo è una dichiarazione d’amore nei confronti della vita. In quello che facciamo in realtà non seguiamo mai una scelta pensata, ma guidata dall’istinto. La nostra ricerca di cambiamento si riflette nella pittura e nella scelta dei personaggi che decidiamo di dipingere: donne libere e illuminate che danno un messaggio positivo, di crescita individuale che si riflette anche sulla crescita spirituale della società. Per questo sono rappresentate con la S di Superman e strizzano l’occhio al passante in gesto complice: perché ognuno possa riflettere e scoprire i propri superpoteri.

2) La maggior parte dei personaggi che raffigurate sono donne, non solo artiste ma anche persone conosciute per il loro impegno sociale o professionale, come, ad esempio, l’attivista ambientalista Greta Thunberg o la giornalista Giovanna Botteri, criticata a causa del suo aspetto considerato poco curato rispetto ai canoni estetici dominanti.  Quanto c’è di “politico” in questa scelta?

L’arte, soprattutto oggi non può prescindere da funzioni civile, divulgative, educative.

3) Fra le vostre opere troviamo, tra l’altro, anche un murales dedicato a Paolo Borsellino, uno a Laika, la cagnolina astronauta inviata nello spazio e diverse raffigurazioni sul tema della natura. Quanto sono importanti per voi temi come la giustizia, l’ambiente e il rispetto di tutti gli esseri viventi?

Il nostro ultimo lavoro è un omaggio a Laika e l’abbiamo attaccato vicino a Campo dei Fiori a Roma. Il cammino dell’uomo è costellato di errori che ci portano con il tempo a nuove consapevolezze per rispettare tutte le forme di vita del nostro pianeta, per questo ci siamo sentite di creare un tributo a Laika, la cagnolina astronauta, primo terrestre ad essere inviato nello spazio.
Eva è rappresentata come una maga che tra le mani ha il pianeta terra al posto della sfera di cristallo. Prevede un mondo nuovo, popolato da una nuova umanità che sentendosi parte indissolubile della Terra interagisce in maniera sacra.
La donna nel corso della pandemia si è mostrata più resiliente, anche fisicamente, degli uomini. Ha maggiori capacità di adattarsi alle situazioni nuove. Le donne stanno prendendo sempre più coscienza del loro potenziale e porteranno tanti cambiamenti nel mondo.
Ultimamente abbiamo realizzato in collaborazione con la Fondazione il Cuore si scioglie (che dal 2010 è sempre a fianco di chi è in difficoltà, per cercare di dare un’opportunità a quanti non l’hanno mai avuta) una campagna per promuovere la raccolta fondi dei progetti e delle iniziative di solidarietà.
Insieme abbiamo selezionato 7 persone che hanno cambiato e stanno cambiando la storia e abbiamo realizzato dei superhumans come Martin Luther King, Falcone e Borsellino, Greta Thumberg, Liliana Segre… quindi non solo donne, ma personaggi molto attuali, eroi dei nostri tempi che hanno a cuore la giustizia, l’integrazione, il coraggio.

4) I vostri personaggi ammiccano. La street art è la nuova pop art?

Ormai la street art è completamente sdoganata all’interno della scena artistica italiana e internazionale, ma continua a conservare delle specificità grazie ad un contatto più diretto, informale e quotidiano con lo spettatore ma anche per una maggiore “libertà” creativa e di espressione, per cui riesce a spingersi là dove gli artisti più tradizionali sembrano avere il timore di avventurarsi.
La street art è quindi un mezzo di comunicazione con un’energia incredibile. Il fatto che si realizzi per strada è un motivo in più per veicolare messaggi positivi. Gli street artists hanno una grandissima responsabilità perché sono sotto gli occhi di tutti. Arrivare alla street art, quindi per noi è stata una conseguenza del nostro percorso interiore.

5) La pandemia dovuta al covid 19 ha influenzato le nostre vite. In alcune vostre opere avete cercato di lanciare dei messaggi di speranza. Quanto può aiutare l’arte nei momenti più bui della storia dell’umanità?

Per noi il lockdown è stato un momento molto creativo. Il doverci fermare ci ha fatto sentire molto più libere perché non avevamo gli obblighi della quotidianità. Il lockdown ci ha permesso di avere tempo per il nostro percorso e focalizzarci sui nostri obiettivi. Crediamo che queste riflessioni si siano rispecchiate sicuramente nelle nostre scelte artistiche, cercando di veicolare messaggi di responsabilità individuale e possibilità di scelte diverse da quelle fatte fino ad ora.

6) I vostri personaggi hanno tutti la S sul petto, simbolo dei supereroi e delle supereroine. Chi salverà il mondo, secondo voi?

Ognuno di noi.

Vi ringrazio per la disponibilità e per il tempo che mi avete dedicato.

Donatella Quattrone

 

Una drag queen in cucina: intervista a Peperita


Immagine

Dal profilo instagram peperitadrag_bakeoff8

Alcuni giorni fa ho intervistato Peperita, una drag queen con una passione per la cucina e la pasticceria. Qui di seguito l’intervista:

 

Ciao, Peperita. Sono Donatella Quattrone. Grazie per aver accettato quest’intervista.
1) Tu di giorno sei un impiegato e di notte ti trasformi in una drag queen. Come concili queste attività?
Ciao. Parto con il ringraziarti per questa opportunità di raccontarmi a voi. Le mie vite convivono, a fatica e con molti sacrifici, perfettamente, ho imparato ad organizzarmi mentalmente in modo da essere pronto a tornare dal lavoro e trasformarmi per far vivere il mio personaggio.

 

2)Il momento del travestimento, prima degli spettacoli, è già un entrare nel personaggio che si andrà a rappresentare o questo avviene solo nel momento in cui si calca il palco?
Sì, assolutamente, nel momento in cui apro il beauty dei trucchi inizio piano piano a nascondere Giacomo, perché mi chiamo così, e lascio vivere Peperita, che puntualmente torna a dormire subito dopo essermi struccato.

 

3)In quali locali ti esibisci di solito?
Ho la fortuna di girare tutta la nostra meravigliosa Penisola.

 

4)Da chi è composto solitamente il pubblico di un drag queen show?
Il mio pubblico è vario ma ci sono sempre tantissimi bambini e la cosa mi rende super orgoglioso… Sono loro il nostro futuro e fargli vivere il mondo dell’arte vuol dire aiutarli a diventare open mind.

 

5)A quale/i modello/i femminile/i ti piace ispirarti per i tuoi spettacoli?
Mi ispiro a molte donne della musica nazionale ed internazionale ma, quando entro in azione come cabarettista, l’unica fonte di ispirazione è la mia amata nonnina.

 

6)In che rapporti sei con il mondo lgbtq+ in generale? C’è una parte di attivismo nella tua arte?
Sono integrato nella comunità lgbtq+ ed in tutti i miei show porto il mio esempio di figlio, fratello, nipote e fidanzato in modo da far capire ai più quanto sia meraviglioso essere liberi di amare.

 

7)Oltre al mondo drag, sei anche un’appassionata di cucina e, in special modo, di pasticceria. Com’è nato questo amore per i fornelli?
Sempre da mia nonna, lei era una grande cuoca, mi ha insegnato quasi tutto quello che so, soprattutto i segreti della cucina pugliese.

 

8) Sei tra i partecipanti del programma di pasticceria Back Off Italia su Real Time Tv e la prima drag queen aspirante pasticcera. Cosa ti aspetti da quest’esperienza e cosa speri di tramettere nel programma?
Sono molto orgoglioso di far parte del cast dei concorrenti di Bake Off 8, voglio far capire a tutta l’Italia quanto è bella la bandiera rainbow e quanto sia importante considerare le drag dei veri artisti capaci si intrattenere, cucinare, sorridere ed essere sempre impeccabili. Essere una drag non vuol dire essere legata solo alle disco, pizzerie, ristoranti o piazze, una drag sta bene OVUNQUE.

 

9)Qual è la tua specialità in cucina?
Ormai è famosa la mia focaccia barese.

 

10) E il dolce che ti piace di più preparare?
Il dolce che preferisco preparare sono i dolci da forno: tipo croissant, pan di spagna, biscotti e frolle.
11)Se tu stessa fossi un dolce quale saresti?
IO SONO UN DOLCE: SONO UNA RAINBOW CAKE. Dall’ aspetto candido e forte ma dentro ho mille colori e sono tenerissima.

 

*

Ti ringrazio per la tua disponibilità e per il tempo che mi hai dedicato.

Donatella Quattrone

 

Nota bene: la sera del 4 settembre 2020, in cui iniziava il programma Bake Off 8, Peperita ha purtroppo subito un infortunio ad un ginocchio proprio mentre si recava allo studio televisivo. Ha dovuto pertanto ritirarsi dalla gara di pasticceria prima ancora di cominciare. Quello di Peperita è però, come lei stessa ha pronunciato, solo un arrivederci. Da me il più sincero augurio di pronta guarigione e di poter presto realizzare il suo sogno di diventare pasticcera.

 D. Q.

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